La mente è insidiosa. Non è un caso se Buddha e, con lui, tutto il buddhismo fino allo zen, abbiano messo in guardia dall'illusione creata dalla mente.
In Occidente, la mente è stata assurta, da un certo momento in poi, come unico metro di valutazione della realtà. Un metro che si è esteso capillarmente su vaste aree dello scibile umano, fino ad approdare al linguaggio.
Sulla scia dell'ideologia woke, la mente di chi vi ha acriticamente aderito ha preso a dare un valore univoco alle parole, che vengono così decontestualizzate e demonizzate indipendentemente dall'intenzione di chi le utilizza. Così parole come "grasso" o "negro" cessano di far parte dell'immenso patrimonio lessicale che una lingua come l'italiano ha.
E si va a limare grossolanamente la letteratura, a volerla riscrivere secondo criteri "accettabili" per la (iper)sensibilità dell'uomo dei tempi ultimi. Mi ha dato la nausea la terminologia "politicamente corretto", perché questa operazione di rimozione culturale è semplicemente politicamente soffocante.
Mi piange il cuore quando leggo che vogliono riscrivere Roald Dahl, perché so che si vuole partire da lui per giungere a profanare molti altri autori.
E poi: Roald Dahl, autore dell'infanzia, che ci ha fatto rabbrividire con le sue Streghe (altro termine messo all'indice) e ha incantato tutti con la sua Matilda. Hanno un'ossessione per il mondo infantile, vogliono privarlo della sua magia, del meraviglioso, di quell'origine archetipica da cui sono scaturite le figure fantastiche che troviamo nelle fiabe.
Nessun bambino della mia generazione è mai stato traumatizzato dalla parola "grasso" letta su un libro, perché attorniata da un contesto che ti comunicava che quella parola, messa lì, non era utilizzata per deridere, ma per descrivere, creare un immaginario, dare un carattere a quel personaggio.
Il personaggio grasso non è necessariamente goffo: se voglio introdurre il personaggio di una donna accogliente e materna, è facile che le dia un corpo morbido, in cui sia facile e piacevole abbandonarsi, quindi grasso e sinuoso.
In letteratura, il personaggio è simbolo, allegoria, non è mai solo se stesso, altrimenti sarebbe mera cronaca.
Questa gente ossessionata dal linguaggio inclusivo, perfettino, bigotto non è capace di godere della poesia, ha la vista troppo corta per perdersi nell'orizzonte infinito della letteratura. Non è gente che scenderebbe con Dante all'inferno o insulterebbe, col cuore sanguinante, l'amata e odiata Lesbia.
Ci vuole un cuore pulsante per comprendere tutto questo e questa gente non ha nemmeno un'anima che si possa dire viva.
Per loro mi spiace, sì, ma il tanto giusto per abbatterli con profonda compassione.
In Occidente, la mente è stata assurta, da un certo momento in poi, come unico metro di valutazione della realtà. Un metro che si è esteso capillarmente su vaste aree dello scibile umano, fino ad approdare al linguaggio.
Sulla scia dell'ideologia woke, la mente di chi vi ha acriticamente aderito ha preso a dare un valore univoco alle parole, che vengono così decontestualizzate e demonizzate indipendentemente dall'intenzione di chi le utilizza. Così parole come "grasso" o "negro" cessano di far parte dell'immenso patrimonio lessicale che una lingua come l'italiano ha.
E si va a limare grossolanamente la letteratura, a volerla riscrivere secondo criteri "accettabili" per la (iper)sensibilità dell'uomo dei tempi ultimi. Mi ha dato la nausea la terminologia "politicamente corretto", perché questa operazione di rimozione culturale è semplicemente politicamente soffocante.
Mi piange il cuore quando leggo che vogliono riscrivere Roald Dahl, perché so che si vuole partire da lui per giungere a profanare molti altri autori.
E poi: Roald Dahl, autore dell'infanzia, che ci ha fatto rabbrividire con le sue Streghe (altro termine messo all'indice) e ha incantato tutti con la sua Matilda. Hanno un'ossessione per il mondo infantile, vogliono privarlo della sua magia, del meraviglioso, di quell'origine archetipica da cui sono scaturite le figure fantastiche che troviamo nelle fiabe.
Nessun bambino della mia generazione è mai stato traumatizzato dalla parola "grasso" letta su un libro, perché attorniata da un contesto che ti comunicava che quella parola, messa lì, non era utilizzata per deridere, ma per descrivere, creare un immaginario, dare un carattere a quel personaggio.
Il personaggio grasso non è necessariamente goffo: se voglio introdurre il personaggio di una donna accogliente e materna, è facile che le dia un corpo morbido, in cui sia facile e piacevole abbandonarsi, quindi grasso e sinuoso.
In letteratura, il personaggio è simbolo, allegoria, non è mai solo se stesso, altrimenti sarebbe mera cronaca.
Questa gente ossessionata dal linguaggio inclusivo, perfettino, bigotto non è capace di godere della poesia, ha la vista troppo corta per perdersi nell'orizzonte infinito della letteratura. Non è gente che scenderebbe con Dante all'inferno o insulterebbe, col cuore sanguinante, l'amata e odiata Lesbia.
Ci vuole un cuore pulsante per comprendere tutto questo e questa gente non ha nemmeno un'anima che si possa dire viva.
Per loro mi spiace, sì, ma il tanto giusto per abbatterli con profonda compassione.