La grande mistica e dottore della Chiesa, santa Teresa d'Avila, metteva in guardia le sue consorelle-allieve dalle voci che sembravano angeliche. Raccomandava loro di non farsene distrarre: se si fosse trattato, in realtà, di voci maligne, il non ascoltarle le avrebbe protette dal peccato; se, diversamente, fosse stato un richiamo divino, avrebbero goduto comunque dei benefici connessi ad esse.
Nelle fasi più avanzate di un percorso spirituale, l'ego comincia a farsi più furbo e a utilizzare tutti quelli espedienti, di matrice spirituale, che abbiamo sperimentato nel corso degli anni e della pratica. Pensiamo di essere distaccati, di aver raggiunto la pace del cuore, ma ecco che la superbia per il nostro livello di consapevolezza inquina la purezza della consapevolezza stessa. Se non vigiliamo su questo, rischiamo di fare tre passi indietro dopo un singolo passetto in avanti.
Capita, poi, che le cose del mondo ci diano fastidio: i problemi familiari, gli obblighi legati al lavoro o allo studio, i problemi di coppia, gli imprevisti che smuovono la regolarità del nostro quotidiano.
È in questa condizione che, in genere, si matura quello che chiamo "desiderio dell'eremo".
Non so se siate mai entrati in un convento o semplicemente in una chiesa vuota. Il silenzio, l'assoluta mancanza di elementi di disturbo, la tranquillità, i volti dei santi, di Cristo e della Madonna che ci accolgono in pieno raccoglimento sono molto piacevoli per chi ha gustato i frutti dello spirito. Si comincia a pensare che si voglia e si possa passare una vita intera in quella dimensione ovattata, così distante dal mondo esterno.
Si inizia a fantasticare su un futuro da monaco o da suora claustrale, con le giornate scandite dal lavoro e soprattutto dalla contemplazione.
Sebbene molte sincere vocazioni comincino in questo modo, bisogna stare attenti, perché spesso questo desiderio, di per sé nobile, non è altro che una voglia di fuggire da ciò che invece dovremmo fare, dal luogo in cui dovremmo stare, dalle persone alle quali dovremmo stare vicini.
Bisogna distinguere la voce dell'angelo di Dio da quella del nostro ego.
Siamo sicuri che il desiderio di consacrazione sia puro e scevro da qualsiasi fastidio per la nostra condizione attuale? Siamo sicuri di non voler fuggire da alcune responsabilità legate al rapporto coi nostri genitori, con chi amiamo o legate a un lavoro che non ci piace?
Quando siamo aperti alle infinite strade del Signore, siamo disposti a riconoscere i segni della sua volontà sulla nostra vita, di modo che l'egoismo, la superbia o la fretta non ci facciano prendere una strada santa, certo, ma nella misura in cui fa per noi ed è veramente ciò che dobbiamo fare durante la nostra permanenza terrena. Non c'è bisogno di vestirsi di stracci e girovagare per il mondo, non c'è bisogno di vivere in clausura per incontrare Cristo. Perché spesso Cristo è tua madre che ti fa impazzire, tuo padre che ha bisogno di assistenza e cura, i tuoi figli che fanno i capricci e che ti amano totalmente, la tua fidanzata che ti fa arrabbiare ma sa anche chiederti perdono e sa perdonare.
Cristo è il prossimo tuo, quello che non riesci ancora ad amare completamente, perché non hai ancora amato completamente te stesso.
C'è un detto: "Meglio realizzare male la mia vocazione che realizzare bene quella di un altro", perché non c'è santità senza consapevolezza di sé, non c'è compassione che possa esprimersi senza il riconoscimento di ciò che ci abita e a cui dobbiamo conformarci.
Siate vigili, praticate discernimento.
Nelle fasi più avanzate di un percorso spirituale, l'ego comincia a farsi più furbo e a utilizzare tutti quelli espedienti, di matrice spirituale, che abbiamo sperimentato nel corso degli anni e della pratica. Pensiamo di essere distaccati, di aver raggiunto la pace del cuore, ma ecco che la superbia per il nostro livello di consapevolezza inquina la purezza della consapevolezza stessa. Se non vigiliamo su questo, rischiamo di fare tre passi indietro dopo un singolo passetto in avanti.
Capita, poi, che le cose del mondo ci diano fastidio: i problemi familiari, gli obblighi legati al lavoro o allo studio, i problemi di coppia, gli imprevisti che smuovono la regolarità del nostro quotidiano.
È in questa condizione che, in genere, si matura quello che chiamo "desiderio dell'eremo".
Non so se siate mai entrati in un convento o semplicemente in una chiesa vuota. Il silenzio, l'assoluta mancanza di elementi di disturbo, la tranquillità, i volti dei santi, di Cristo e della Madonna che ci accolgono in pieno raccoglimento sono molto piacevoli per chi ha gustato i frutti dello spirito. Si comincia a pensare che si voglia e si possa passare una vita intera in quella dimensione ovattata, così distante dal mondo esterno.
Si inizia a fantasticare su un futuro da monaco o da suora claustrale, con le giornate scandite dal lavoro e soprattutto dalla contemplazione.
Sebbene molte sincere vocazioni comincino in questo modo, bisogna stare attenti, perché spesso questo desiderio, di per sé nobile, non è altro che una voglia di fuggire da ciò che invece dovremmo fare, dal luogo in cui dovremmo stare, dalle persone alle quali dovremmo stare vicini.
Bisogna distinguere la voce dell'angelo di Dio da quella del nostro ego.
Siamo sicuri che il desiderio di consacrazione sia puro e scevro da qualsiasi fastidio per la nostra condizione attuale? Siamo sicuri di non voler fuggire da alcune responsabilità legate al rapporto coi nostri genitori, con chi amiamo o legate a un lavoro che non ci piace?
Quando siamo aperti alle infinite strade del Signore, siamo disposti a riconoscere i segni della sua volontà sulla nostra vita, di modo che l'egoismo, la superbia o la fretta non ci facciano prendere una strada santa, certo, ma nella misura in cui fa per noi ed è veramente ciò che dobbiamo fare durante la nostra permanenza terrena. Non c'è bisogno di vestirsi di stracci e girovagare per il mondo, non c'è bisogno di vivere in clausura per incontrare Cristo. Perché spesso Cristo è tua madre che ti fa impazzire, tuo padre che ha bisogno di assistenza e cura, i tuoi figli che fanno i capricci e che ti amano totalmente, la tua fidanzata che ti fa arrabbiare ma sa anche chiederti perdono e sa perdonare.
Cristo è il prossimo tuo, quello che non riesci ancora ad amare completamente, perché non hai ancora amato completamente te stesso.
C'è un detto: "Meglio realizzare male la mia vocazione che realizzare bene quella di un altro", perché non c'è santità senza consapevolezza di sé, non c'è compassione che possa esprimersi senza il riconoscimento di ciò che ci abita e a cui dobbiamo conformarci.
Siate vigili, praticate discernimento.