Da qualche giorno, due notizie tengono banco nelle trasmissioni di informazione e intrattenimento: la morte di Alice Neri e la palpatina di terga ai danni di un giornalista, inviato in Qatar per i mondiali di calcio.
A una prima occhiata, le due notizie pare non c'entrino l'una con l'altra, soprattutto per le reazioni diverse che generano in chi le legge.
Infatti non voglio muovermi nella dimensione emotiva, ma in quella del ragionamento.
Alice Neri era una moglie, madre e lavoratrice che è stata trovata uccisa e bruciata all'interno della sua auto. In base ad alcune testimonianze e alle telecamere di sicurezza del bar in cui era andata, ultimo luogo da lei frequentato, si sa che la notte del suo omicidio ha incontrato due uomini, attuali sospettati.
Il marito di Alice afferma che la moglie gli aveva mentito, dicendogli che sarebbe andata a cena con un'amica. Alice, infatti, si è ritrovata con un collega di lavoro e ha passato le sue ultime ore di vita con lui al bar, fino alle tre di notte circa. Il suo collega ha puntato il dito contro un tunisino che "la guardava insistentemente" e che ora si trova in Svizzera, senza la minima intenzione di tornare in Italia per collaborare alle indagini.
Dall'altra parte, su toni decisamente più leggeri, c'è la notizia della palpata di natiche del giornalista. Come si collega al caso di Alice? Si collega attraverso un precedente, quello della palpata alla giornalista dopo una partita di non ricordo quali squadre italiane. Al di là della differenza di trattamento delle due palpate, ciò che è interessante notare è la contrapposizione tra realtà e ideale. È questo che unisce i due casi.
Alice era l'unica donna, piacente aggiungo io, in una fabbrica in cui lavoravano soltanto degli uomini. Si ipotizza che uno di questi, il collega che stava appunto con lei al bar, fosse innamorato di lei e che forse lei gli avrebbe dato picche perché felicemente sposata. Forse il tunisino, che sostiene di averle solamente chiesto un passaggio a casa, ha pensato di poter molestare una donna sola (il collega l'aveva lasciata al bar dieci minuti prima che anche lei uscisse), in un luogo isolato, alle tre di notte.
La giornalista che lavorava fuori dallo stadio, oggetto di una molesta pacca sul culo che, nelle intenzioni, voleva essere un gesto goliardico, si è sentita vulnerabile in mezzo a un branco di uomini esaltati da adrenalina post-partita, forse pure alticci, sicuramente incapaci di essere razionali e composti come chi esce da una prima alla Scala. Sembrerò retrograda, ma, in un contesto simile, a meno che non si abbia pelo sullo stomaco e si riesca a rimettere in riga l'irriverente di turno, è giusto inviare un uomo.
È giusto che una donna subisca una molestia o venga addirittura uccisa e bruciata, forse dopo essere stata pure stuprata? Ovviamente no.
La realtà garantisce adeguata protezione da queste situazioni? Ovviamente no.
Inutile scandalizzarsi sul mondo brutto e cattivo, sulla rozzezza di alcuni uomini, sul fatto che le donne non siano abbastanza protette da poter uscire liberamente, di notte, financo nei quartieri malfamati.
Una donna, lungi dal sentirsi privata di una libertà che esiste solo nel mondo delle idee, deve saper riconoscere le situazioni di pericolo, attrezzarsi contro persone potenzialmente pericolose e, spiacerà a molte ciò che scrivo, non avventurarsi in zone isolate, soprattutto durante le ore notturne.
A Milano, ad esempio, delle donne si sono organizzate come gruppo di supporto per tutte quelle ragazze e donne che, per necessità o casualità, devono attraversare luoghi pericolosi per rientrare a casa di sera. Il loro servizio volontario spazia dalla presenza in videochiamata al passaggio in auto, così da rappresentare quell'occhio premuroso che, in situazioni simili, talvolta è assente.
Mi spiace che la realtà sia contraria all'ideale di donna libera sempre e comunque, ma il male è sempre esistito e non risparmia nessuna categoria. Affrontiamolo con saggezza, intelligenza e spirito di coesione. Solo così, piuttosto che lamentarci, potremo imparare a valutare il pericolo, prevenirlo e difenderci.
A una prima occhiata, le due notizie pare non c'entrino l'una con l'altra, soprattutto per le reazioni diverse che generano in chi le legge.
Infatti non voglio muovermi nella dimensione emotiva, ma in quella del ragionamento.
Alice Neri era una moglie, madre e lavoratrice che è stata trovata uccisa e bruciata all'interno della sua auto. In base ad alcune testimonianze e alle telecamere di sicurezza del bar in cui era andata, ultimo luogo da lei frequentato, si sa che la notte del suo omicidio ha incontrato due uomini, attuali sospettati.
Il marito di Alice afferma che la moglie gli aveva mentito, dicendogli che sarebbe andata a cena con un'amica. Alice, infatti, si è ritrovata con un collega di lavoro e ha passato le sue ultime ore di vita con lui al bar, fino alle tre di notte circa. Il suo collega ha puntato il dito contro un tunisino che "la guardava insistentemente" e che ora si trova in Svizzera, senza la minima intenzione di tornare in Italia per collaborare alle indagini.
Dall'altra parte, su toni decisamente più leggeri, c'è la notizia della palpata di natiche del giornalista. Come si collega al caso di Alice? Si collega attraverso un precedente, quello della palpata alla giornalista dopo una partita di non ricordo quali squadre italiane. Al di là della differenza di trattamento delle due palpate, ciò che è interessante notare è la contrapposizione tra realtà e ideale. È questo che unisce i due casi.
Alice era l'unica donna, piacente aggiungo io, in una fabbrica in cui lavoravano soltanto degli uomini. Si ipotizza che uno di questi, il collega che stava appunto con lei al bar, fosse innamorato di lei e che forse lei gli avrebbe dato picche perché felicemente sposata. Forse il tunisino, che sostiene di averle solamente chiesto un passaggio a casa, ha pensato di poter molestare una donna sola (il collega l'aveva lasciata al bar dieci minuti prima che anche lei uscisse), in un luogo isolato, alle tre di notte.
La giornalista che lavorava fuori dallo stadio, oggetto di una molesta pacca sul culo che, nelle intenzioni, voleva essere un gesto goliardico, si è sentita vulnerabile in mezzo a un branco di uomini esaltati da adrenalina post-partita, forse pure alticci, sicuramente incapaci di essere razionali e composti come chi esce da una prima alla Scala. Sembrerò retrograda, ma, in un contesto simile, a meno che non si abbia pelo sullo stomaco e si riesca a rimettere in riga l'irriverente di turno, è giusto inviare un uomo.
È giusto che una donna subisca una molestia o venga addirittura uccisa e bruciata, forse dopo essere stata pure stuprata? Ovviamente no.
La realtà garantisce adeguata protezione da queste situazioni? Ovviamente no.
Inutile scandalizzarsi sul mondo brutto e cattivo, sulla rozzezza di alcuni uomini, sul fatto che le donne non siano abbastanza protette da poter uscire liberamente, di notte, financo nei quartieri malfamati.
Una donna, lungi dal sentirsi privata di una libertà che esiste solo nel mondo delle idee, deve saper riconoscere le situazioni di pericolo, attrezzarsi contro persone potenzialmente pericolose e, spiacerà a molte ciò che scrivo, non avventurarsi in zone isolate, soprattutto durante le ore notturne.
A Milano, ad esempio, delle donne si sono organizzate come gruppo di supporto per tutte quelle ragazze e donne che, per necessità o casualità, devono attraversare luoghi pericolosi per rientrare a casa di sera. Il loro servizio volontario spazia dalla presenza in videochiamata al passaggio in auto, così da rappresentare quell'occhio premuroso che, in situazioni simili, talvolta è assente.
Mi spiace che la realtà sia contraria all'ideale di donna libera sempre e comunque, ma il male è sempre esistito e non risparmia nessuna categoria. Affrontiamolo con saggezza, intelligenza e spirito di coesione. Solo così, piuttosto che lamentarci, potremo imparare a valutare il pericolo, prevenirlo e difenderci.