Nella cultura orientale, si fa spesso riferimento alla "morte dell'ego" in ambito spirituale. Quando il risvegliato realizza sé stesso, l'ego muore, si dissolve.
Questo potrebbe fare pensare a un'azione violenta contro l'ego, soprattutto perché è l'ego stesso a ribellarsi man mano che ci addentriamo in noi stessi.
Ma è veramente così?
Voglio raccontarvi un pezzo della mia infanzia: sono la maggiore di due figli, la responsabile per antonomasia. Giacché i miei non hanno mai navigato nell'oro, già da piccola ho sempre desiderato tantissime cose, ma chiedevo un regalo soltanto a Natale e per il mio compleanno. Mio fratello aveva imparato che, piangendo e sbattendosi a terra nei negozi, avrebbe ottenuto ciò che voleva e, puntualmente, i miei cedevano ai suoi capricci. Oltretutto era il più piccolo e questo gli dava una sorta di diritto di precedenza rispetto a me.
Sono stata una bambina diligente, tranquilla e giudiziosa, ma con un senso di ingiustizia e frustrazione che ha poi forgiato il lato oscuro del mio carattere.
Mi sentivo buona e giusta a essere responsabile, ma ho poi dovuto imparare, con estrema fatica, a dire di no e, soprattutto, a esternare il mio fastidio o il mio disappunto, a dire "questa cosa non mi va bene". Sono migliorata? Sì. Ho risolto il problema? Ci sto lavorando.
Cosa c'entra tutto questo con l'ego? L'ego è esattamente ciò che ero io da bambina: desidera sempre, guarda gli altri e pensa "perché loro sì e io no?" Si agita sempre, l'ego, e la sua agitazione si chiama mente. Fa un rewatch continuo degli stessi pensieri, che lo fanno sognare o gli generano frustrazione. L'ego è sempre affamato ed è sempre insaziabile, dunque vive in un tormento che sembra inestinguibile.
Come si può aggredire un essere tanto misero?
E se mi avvicino a lui, se lo guardo con attenzione, non vedo altro che il mio volto da bambina, i miei vani desideri, l'invidia per mio fratello, il mio dolore per essere messa in secondo piano, il mio pianto muto perché, ogni tanto, avrei voluto essere io quella capricciosa, quella a cui concedere tutto, quella che non doveva pensare alle risorse economiche dei suoi genitori.
E quando lo guardo, quando lo riconosco e lo porto alla luce, allora posso davvero provare compassione per la mia miseria umana e abbracciarla fino in fondo.
Ora puoi andare, puoi riposare in pace. Ora so perché stavi così male. Sei libero adesso.
Questo potrebbe fare pensare a un'azione violenta contro l'ego, soprattutto perché è l'ego stesso a ribellarsi man mano che ci addentriamo in noi stessi.
Ma è veramente così?
Voglio raccontarvi un pezzo della mia infanzia: sono la maggiore di due figli, la responsabile per antonomasia. Giacché i miei non hanno mai navigato nell'oro, già da piccola ho sempre desiderato tantissime cose, ma chiedevo un regalo soltanto a Natale e per il mio compleanno. Mio fratello aveva imparato che, piangendo e sbattendosi a terra nei negozi, avrebbe ottenuto ciò che voleva e, puntualmente, i miei cedevano ai suoi capricci. Oltretutto era il più piccolo e questo gli dava una sorta di diritto di precedenza rispetto a me.
Sono stata una bambina diligente, tranquilla e giudiziosa, ma con un senso di ingiustizia e frustrazione che ha poi forgiato il lato oscuro del mio carattere.
Mi sentivo buona e giusta a essere responsabile, ma ho poi dovuto imparare, con estrema fatica, a dire di no e, soprattutto, a esternare il mio fastidio o il mio disappunto, a dire "questa cosa non mi va bene". Sono migliorata? Sì. Ho risolto il problema? Ci sto lavorando.
Cosa c'entra tutto questo con l'ego? L'ego è esattamente ciò che ero io da bambina: desidera sempre, guarda gli altri e pensa "perché loro sì e io no?" Si agita sempre, l'ego, e la sua agitazione si chiama mente. Fa un rewatch continuo degli stessi pensieri, che lo fanno sognare o gli generano frustrazione. L'ego è sempre affamato ed è sempre insaziabile, dunque vive in un tormento che sembra inestinguibile.
Come si può aggredire un essere tanto misero?
E se mi avvicino a lui, se lo guardo con attenzione, non vedo altro che il mio volto da bambina, i miei vani desideri, l'invidia per mio fratello, il mio dolore per essere messa in secondo piano, il mio pianto muto perché, ogni tanto, avrei voluto essere io quella capricciosa, quella a cui concedere tutto, quella che non doveva pensare alle risorse economiche dei suoi genitori.
E quando lo guardo, quando lo riconosco e lo porto alla luce, allora posso davvero provare compassione per la mia miseria umana e abbracciarla fino in fondo.
Ora puoi andare, puoi riposare in pace. Ora so perché stavi così male. Sei libero adesso.