I sogni notturni mi hanno portato, attraverso una catena di ricerche, a imbattermi in un meraviglioso film d'animazione di cui non avevo mai sentito parlare: 'La canzone del mare'.
Il film è retto sul mito nordico, nello specifico irlandese, della selkie. La selkie è una donna-foca, ossia una donna la cui natura fondamentale è animale e, per questo, non deve mai perdere il suo manto da foca, che le consente di abbandonare la pelle umana per tornare alle origini acquatiche. Se il manto le viene sottratto, non può tornare dalla sua gente e, cosa peggiore, rischia la sua stessa vita.
Nel film incontriamo una madre selkie, Bronagh, che racconta la storia della sua stirpe al figlio, ma la racconta nella forma della fiaba, di qualcosa che il piccolo Ben comincerà a trasferire nella sfera del fantastico. La sera in cui Bronagh abbandonerà il figlio e il marito per tornare all'oceano sarà anche quella in cui partorirà la piccola Saoirse, unico ricordo della madre, che padre e figlio sanno defunta. Ben sente che la nascita della sorellina è responsabile dell'abbandono materno, per cui prova un profondo astio verso di lei, perché in principio non sa che sarà proprio la piccola Saoirse a ricomporre quel canto che permetterà alla famiglia di ritrovare se stessa e la propria storia.
Questo film è prezioso sotto diversi aspetti: ciò che mi ha colpito è stato il simbolismo ricorrente. A livello grafico, la sfera è un simbolo che ritorna più volte e che cattura un occhio attento. Le storie che interessano i personaggi della storia sono le stesse e si ripetono ciclicamente, in un eterno insegnamento di ciò che già è in noi, ma che non conosciamo finché non decidiamo di scavare in profondità. E questo divenire ciclico ci comunica un'altra cosa: il mito vivifica la nostra storia personale, si fa specchio di essa.
Nella strega Macha e in suo figlio, il gigante Mac Lir, rivediamo il dolore di Conor, marito di Bronagh e il tentativo di sua madre di rimuoverlo, nell'illusione che reprimere le emozioni - piuttosto che guardarle per ciò che sono, per poi trasformarle in maniera costruttiva - possa condurre a una vera pace interiore.
In Ben ritroviamo l'eroe che, abbandonata una visione egoistica dell'esistenza, si dona anima e corpo alla sua missione e lo fa perché sa che è giusto.
Nella piccola Saoirse c'è la sapienza semplice dell'anima, che si affida all'intuizione e, grazie a questa, può guidare saggiamente l'eroe attraverso le insidie del viaggio, puntando il dito alla luna, alla verità ultima.
La musica è semplicemente magia, vivifica tutto. Il canto di Saoirse, che è canto del popolo selkie, è la melodia dell'anima che, finalmente, ritrova se stessa e, nel suo nuovo fulgore, spezza l'incantesimo maldestro di Macha, che aveva pietrificato - irrigidito, mortificato - ogni cosa, nel timore che il movimento della vita fosse meramente distruttivo. Ogni cosa si desta al canto della selkie, ogni cosa si anima quando è l'anima a cantare!
Anche il dolore, che un tempo faceva paura, riacquista il suo senso originario, viene riconosciuto come parte imprescindibile della propria esistenza. Dolore senza il quale il nostro cammino nel mondo non può andare avanti; senza il quale siamo privati di quella conoscenza esperienziale che si esprime, poi, nella compassione verso il prossimo, che non è altro che il frutto di quella verso noi stessi.
Fate un regalo alla vostra anima, consentitele di guardarsi negli occhi attraverso 'La canzone del mare'. Non ve ne pentirete, parola di selkie!
Il film è retto sul mito nordico, nello specifico irlandese, della selkie. La selkie è una donna-foca, ossia una donna la cui natura fondamentale è animale e, per questo, non deve mai perdere il suo manto da foca, che le consente di abbandonare la pelle umana per tornare alle origini acquatiche. Se il manto le viene sottratto, non può tornare dalla sua gente e, cosa peggiore, rischia la sua stessa vita.
Nel film incontriamo una madre selkie, Bronagh, che racconta la storia della sua stirpe al figlio, ma la racconta nella forma della fiaba, di qualcosa che il piccolo Ben comincerà a trasferire nella sfera del fantastico. La sera in cui Bronagh abbandonerà il figlio e il marito per tornare all'oceano sarà anche quella in cui partorirà la piccola Saoirse, unico ricordo della madre, che padre e figlio sanno defunta. Ben sente che la nascita della sorellina è responsabile dell'abbandono materno, per cui prova un profondo astio verso di lei, perché in principio non sa che sarà proprio la piccola Saoirse a ricomporre quel canto che permetterà alla famiglia di ritrovare se stessa e la propria storia.
Questo film è prezioso sotto diversi aspetti: ciò che mi ha colpito è stato il simbolismo ricorrente. A livello grafico, la sfera è un simbolo che ritorna più volte e che cattura un occhio attento. Le storie che interessano i personaggi della storia sono le stesse e si ripetono ciclicamente, in un eterno insegnamento di ciò che già è in noi, ma che non conosciamo finché non decidiamo di scavare in profondità. E questo divenire ciclico ci comunica un'altra cosa: il mito vivifica la nostra storia personale, si fa specchio di essa.
Nella strega Macha e in suo figlio, il gigante Mac Lir, rivediamo il dolore di Conor, marito di Bronagh e il tentativo di sua madre di rimuoverlo, nell'illusione che reprimere le emozioni - piuttosto che guardarle per ciò che sono, per poi trasformarle in maniera costruttiva - possa condurre a una vera pace interiore.
In Ben ritroviamo l'eroe che, abbandonata una visione egoistica dell'esistenza, si dona anima e corpo alla sua missione e lo fa perché sa che è giusto.
Nella piccola Saoirse c'è la sapienza semplice dell'anima, che si affida all'intuizione e, grazie a questa, può guidare saggiamente l'eroe attraverso le insidie del viaggio, puntando il dito alla luna, alla verità ultima.
La musica è semplicemente magia, vivifica tutto. Il canto di Saoirse, che è canto del popolo selkie, è la melodia dell'anima che, finalmente, ritrova se stessa e, nel suo nuovo fulgore, spezza l'incantesimo maldestro di Macha, che aveva pietrificato - irrigidito, mortificato - ogni cosa, nel timore che il movimento della vita fosse meramente distruttivo. Ogni cosa si desta al canto della selkie, ogni cosa si anima quando è l'anima a cantare!
Anche il dolore, che un tempo faceva paura, riacquista il suo senso originario, viene riconosciuto come parte imprescindibile della propria esistenza. Dolore senza il quale il nostro cammino nel mondo non può andare avanti; senza il quale siamo privati di quella conoscenza esperienziale che si esprime, poi, nella compassione verso il prossimo, che non è altro che il frutto di quella verso noi stessi.
Fate un regalo alla vostra anima, consentitele di guardarsi negli occhi attraverso 'La canzone del mare'. Non ve ne pentirete, parola di selkie!