I greci lo sapevano bene: la bellezza genera amore. Nell'aurea schiera divina che popola l'Olimpo, ritroviamo questa corrispondenza in due divinità, Afrodite ed Eros. La prima, la più bella tra le dee, è madre del secondo, dio dell'amore.
Ogni giorno facciamo esperienza di questa verità, nell'incontro con un uomo o una donna, nella contemplazione di un'opera d'arte, in una semplice passeggiata in mezzo alla natura. La bellezza emerge e si manifesta in forme svariate e noi ne rimaniamo semplicemente incantati, tanto da riuscire a sentire un forte trasporto verso ciò che è bello.
Si passa da quella più superficiale ed evidente per poi entrare in contatto con quella più profonda e che spesso è più simile a un'aura che circonda una persona non necessariamente di bell'aspetto.
Perfino l'essere innamorati rende belli e chi vive una relazione a distanza lo sa bene: nei giorni in cui si sta con la persona amata, capita spesso che ci si senta dire dagli altri "caspita, ti trovo in forma!", "Sei più bello/a dell'ultima volta che ti ho visto!", perché la semplice presenza di chi si ama trasfigura l'aspetto degli amanti.
La relazione tra Afrodite e suo figlio può essere letta a diversi livelli se si risale ai miti sulla paternità di Eros: quello più noto lo presenta come figlio di Ares. Ma esiste un altro mito che, invece, ne fa figlio di Ermes. A voler andare a fondo, c'è addirittura un terzo mito che lo presenta come primo dio, nato ancor prima di tutti gli altri dei, come a dire che l'Amore sta all'origine di tutto.
Stando alla doppia paternità, si può pensare che essa alluda a due qualità dell'amore, che possono presentarsi anche in ordine di successione.
In quanto figlio di Ares, Eros sarebbe personificazione dell'amore passionale, irruento, istintivo, caratteristiche che sono proprie del dio della guerra, ma che anche la stessa Afrodite non esclude dalla sua natura.
Diversamente, la discendenza da Ermes darebbe caratteristiche più nobili al dio dell'amore, in particolare una verticalità della tensione amorosa, protesa verso un orizzonte più ampio.
Ermes, infatti, alla pari di Afrodite, nelle versioni latinizzate di Mercurio e Venere, partecipa al processo alchemico di trasmutazione dei metalli.
Se convertiamo questi termini in senso esoterico, ossia nella reale dimensione dell'Alchimia, si può parlare di processo di purificazione dell'anima.
Il ruolo di Venere è estremamente importante nel processo, in quanto è la forza trasformatrice, senza la quale lo stesso processo non sarebbe possibile.
Torniamo, per un momento, agli attributi della dea: libera, amante, seducente, magnetica, persuasiva, totalmente femminile. Venere vive immersa nella sua forza attrattiva, nei suoi amori, la passione è inscindibile da lei, così come lo sono la bellezza e il sesso. Per Venere venne istituita la prostituzione sacra e la verginità, in riferimento a questa dea, è un oltraggio alla stessa.
Ma qual è l'anello che unisce la Venere amante alla Venere alchemica?
Venere vive la corporeità e il sesso in maniera estremamente libera, si fa penetrare dalla forza dei suoi amanti, che sceglie con trasporto. Venere non subisce mai la forza maschile, ma la attrae a sé. Il povero Efesto, infatti, che era sposato con lei, ma da lei non era amato, non gioì mai dei doni di sua moglie.
Sono i piccoli attimi della venerea osservazione che ci conducono a quelli di realizzazione.
Venere è la dea mediana per eccellenza per un altro motivo: come scrive Jean Bolen, essa è libera come le dee vergini, ma vive la dimensione relazionale come le dee madri. Nella relazione con l'altro da sé, Venere si manifesta quale dea della bellezza e sorgente d'amore.
Questo aspetto della dea lo incontriamo quando abbiamo imparato ad amare noi stessi e siamo pronti ad amare l'altro. L'anima ha incontrato e integrato le sue miserie nella fase di Nigredo, ha raggiunto la purezza nell'Albedo e, scevra da egoismi, può amare in maniera spontanea, trasparente, disinteressata, proprio come amava Venere.
Questo è l'apoteosi dell'amore, che, a questo livello, è riduttivo confinare entro i limiti del sentimento, ma si propone come un'autentica espansione del cuore che si dona e si irradia all'altro, perché pronta ad accogliere la pienezza divina.
Qui è vana ogni immagine, goffa ogni parola, perché si entra nel regno dell'essere e del silenzio.
A questo porta il dono di Venere.
Ogni giorno facciamo esperienza di questa verità, nell'incontro con un uomo o una donna, nella contemplazione di un'opera d'arte, in una semplice passeggiata in mezzo alla natura. La bellezza emerge e si manifesta in forme svariate e noi ne rimaniamo semplicemente incantati, tanto da riuscire a sentire un forte trasporto verso ciò che è bello.
Si passa da quella più superficiale ed evidente per poi entrare in contatto con quella più profonda e che spesso è più simile a un'aura che circonda una persona non necessariamente di bell'aspetto.
Perfino l'essere innamorati rende belli e chi vive una relazione a distanza lo sa bene: nei giorni in cui si sta con la persona amata, capita spesso che ci si senta dire dagli altri "caspita, ti trovo in forma!", "Sei più bello/a dell'ultima volta che ti ho visto!", perché la semplice presenza di chi si ama trasfigura l'aspetto degli amanti.
La relazione tra Afrodite e suo figlio può essere letta a diversi livelli se si risale ai miti sulla paternità di Eros: quello più noto lo presenta come figlio di Ares. Ma esiste un altro mito che, invece, ne fa figlio di Ermes. A voler andare a fondo, c'è addirittura un terzo mito che lo presenta come primo dio, nato ancor prima di tutti gli altri dei, come a dire che l'Amore sta all'origine di tutto.
Stando alla doppia paternità, si può pensare che essa alluda a due qualità dell'amore, che possono presentarsi anche in ordine di successione.
In quanto figlio di Ares, Eros sarebbe personificazione dell'amore passionale, irruento, istintivo, caratteristiche che sono proprie del dio della guerra, ma che anche la stessa Afrodite non esclude dalla sua natura.
Diversamente, la discendenza da Ermes darebbe caratteristiche più nobili al dio dell'amore, in particolare una verticalità della tensione amorosa, protesa verso un orizzonte più ampio.
Ermes, infatti, alla pari di Afrodite, nelle versioni latinizzate di Mercurio e Venere, partecipa al processo alchemico di trasmutazione dei metalli.
Se convertiamo questi termini in senso esoterico, ossia nella reale dimensione dell'Alchimia, si può parlare di processo di purificazione dell'anima.
Il ruolo di Venere è estremamente importante nel processo, in quanto è la forza trasformatrice, senza la quale lo stesso processo non sarebbe possibile.
Torniamo, per un momento, agli attributi della dea: libera, amante, seducente, magnetica, persuasiva, totalmente femminile. Venere vive immersa nella sua forza attrattiva, nei suoi amori, la passione è inscindibile da lei, così come lo sono la bellezza e il sesso. Per Venere venne istituita la prostituzione sacra e la verginità, in riferimento a questa dea, è un oltraggio alla stessa.
Ma qual è l'anello che unisce la Venere amante alla Venere alchemica?
Venere vive la corporeità e il sesso in maniera estremamente libera, si fa penetrare dalla forza dei suoi amanti, che sceglie con trasporto. Venere non subisce mai la forza maschile, ma la attrae a sé. Il povero Efesto, infatti, che era sposato con lei, ma da lei non era amato, non gioì mai dei doni di sua moglie.
Venere, dicevamo, si rende permeabile alla vita stessa. Poiché è forza che trasforma, non vive né nel passato né nel futuro, ma è completamente radicata nel presente. Venere ci indica il "Qui e Ora" che ci sfugge, a noi esseri mediani tra ricordi e proiezioni nel futuro; è colei che ci dice
stai in questa linea di mezzo, nel momento che stai vivendo, muoviti all'interno dell'attimo e, in questo tempo minuscolo, ma costante, osserva te stesso, prendi consapevolezza della tua esperienza immediata.Sono i piccoli attimi della venerea osservazione che ci conducono a quelli di realizzazione.
Venere è la dea mediana per eccellenza per un altro motivo: come scrive Jean Bolen, essa è libera come le dee vergini, ma vive la dimensione relazionale come le dee madri. Nella relazione con l'altro da sé, Venere si manifesta quale dea della bellezza e sorgente d'amore.
Questo aspetto della dea lo incontriamo quando abbiamo imparato ad amare noi stessi e siamo pronti ad amare l'altro. L'anima ha incontrato e integrato le sue miserie nella fase di Nigredo, ha raggiunto la purezza nell'Albedo e, scevra da egoismi, può amare in maniera spontanea, trasparente, disinteressata, proprio come amava Venere.
Questo è l'apoteosi dell'amore, che, a questo livello, è riduttivo confinare entro i limiti del sentimento, ma si propone come un'autentica espansione del cuore che si dona e si irradia all'altro, perché pronta ad accogliere la pienezza divina.
Qui è vana ogni immagine, goffa ogni parola, perché si entra nel regno dell'essere e del silenzio.
A questo porta il dono di Venere.