In questi giorni ho saputo che è uscito il nuovo film di Pio ed Amedeo. La critica ne parla malissimo e, appena ho letto le recensioni dei media, la prima cosa che ho pensato è: sicuramente sarà un film godibile. Naturalmente è un ragionamento che, se sistematico, è sbagliato. Quello di Pio ed Amedeo può tanto essere un film dai contenuti e dai significati mainstream, tanto essere un film di dissenso, tanto non essere né l'uno né l'altro. Mi interessa riflettere su un punto più semplice e banale: ormai non credo più a nulla di ciò che viene dai media. Appartengo a quel filone di persone sbrigativamente definite come complottisti, novax, putiniani, negazionisti, magari anche fascisti, antisemiti e chi più ne ha, più ne metta. Posto che non sono nessuna delle succitate cose, tra me e i media ormai è incomunicabilità totale: io disprezzo loro, loro disprezzano me. E la cosa peggiora di giorno in giorno. Ci odiamo, semplicemente. Ma perché?
Quando si affronta il problema dell'odio in rete, si danno per scontate cose che non lo sono per niente: che quello in rete sia un odio virtuale, che i cosiddetti odiatori si sveglino al mattino con la volontà di odiare qualcuno, che chi odia sia ignorante, che il problema sia l'odio e soprattutto, che la gente che "odia in rete" sia diversa da quelli che incontriamo tutti i giorni per strada. In realtà, l'odio è un sentimento, una sensazione, proprio come la febbre. E la Rete sono le terminazioni nervose ove fluisce il dolore. L'odio si manifesta dove può ed essendo la Rete una delle modalità espressive in cui il singolo può sfogarsi, ivi sfogherà il proprio malumore esattamente come gli stessi odiatori di ieri si sfogavano sulle segreterie di Radio Radicale. In sostanza, ci si concentra sulla febbre e sul dolore, ignorando la malattia che li origina. E intendiamoci, che la febbre e il dolore possano generare sofferenze cerebrali e cardiache, è vero. Ma se si cura il dolore senza curare la malattia, il dolore ritornerà ancora più forte, ci vorranno terapie contro il dolore ancora più forti fin quando il cuore non si spappola e il paziente muore. Il vero punto è: perché la gente odia?
La gente non odia per malvagità ma perché si sente tradita. Non importa dissertare - perché su queste pagine lo abbiamo fatto a sufficienza - su quanto artificiale fosse il benessere degli anni d'oro. Gli schemi su cui si sviluppa l'odio sono molto più basici di quanto si possa pensare. Negli ultimi venticinque anni, il tenore di vita della gente è peggiorato, la gente lo confronta con quello dei momenti migliori, vede chi comanda e, dunque, collega le pessime scelte finanziarie e politiche di chi è al potere con tutti i valori collaterali, almeno in apparenza, non connessi a quelle scelte. Se quella stessa classe dirigente che manda in mezzo alla strada il popolo, nel mentre, propagandasse la famiglia tradizionale, gli stessi che oggi la difendono - perché in automatico la collegano ai momenti migliori della propria vita - la stramaledirebbero. Si è già visto in Russia negli anni Novanta. I russi non guardano con forte diffidenza i gay perché, in sé, pensano che siano pericolosi ma perché li collegano ad un periodo storico in cui la Russia ha rischiato la balcanizzazione ad opera di quello stesso potere, completamente asservito al deep state americano, che mentre devastava il sistema produttivo russo, provocando carestie e assideramenti, poi propagandava la fluidità, il femminismo isterico, il multiculturalismo e quant'altro.
Non c'è quindi da stupirsi che lo stesso avvenga in Italia. Quando Gino Cecchettin, dopo manco due mesi che è morta la figlia, diventa l'emblema - anche in buonafede (io quella non la discuto a priori) - di un'insensata lotta contro il maschio bianco, mentre passa totalmente in cavalleria che pochi giorni dopo venga ammazzata una donna che tradiva regolarmente il marito con amanti extracomunitari, al punto che non si sa di chi fosse il feto che portava in grembo; quando nel frattempo si fa una costante e quotidiana propaganda della fluidità di genere; e, dunque, quando lo sbandieramento dei cosiddetti "diritti civili" avviene in un'era di impoverimento economico e sociale e di svuotamento di altri diritti fondamentali, c'è da stupirsi che ritornino in auge l'omofobia e il razzismo?
L'odio è come la febbre. Va certamente contenuto ma va curata anche la malattia. E la malattia è un paese che, mentre dedica ampie pagine al crollo di follower della Ferragni, tace sulla deindustrializzazione del settore produttivo italiano, sulla recessione, sulla crescente disoccupazione, sull'insicurezza del futuro che pesa sulle spalle di trentenni e quarantenni, ben consapevoli che gli anni volano e che in men che non si dica ci ritroveremo sessantenni senza una pensione, specialmente noi partite IVA che lavoriamo per mantenere una pletora di parassiti burocrati lautamente pagati, assai spesso, per non fare nulla.
Chiunque non abbia la razionalità di scriverci sopra un articolo come questo - bello o brutto, intelligente o stupido, lo deciderete voi che leggete - e in generale chiunque abbia un approccio basico alle cose della vita, reagirà con rabbia, con malumore, con malessere, odiando chi è responsabile di questa situazione.
Potrete arrestare chi osa sfottere Valerio Scanu che si sposa vestito con l'abito bianco, Cecchi Paone che esibisce il suo nuovo amore col suo giovane eromenos - se fosse stata una coppia eterosessuale, tutti avrebbero malignato sulla differenza di età tra i due - o Gino Cecchettin e la nonna di Giulia che si presentano in TV come se non avessero subito un gravissimo lutto. Potete querelare e ridurre in mutande chiunque insulti quegli stessi giornalisti che ogni giorno insultano chiunque non la pensi come loro. Cosa avrete ottenuto? Che, non avendo curato la malattia, placherete la febbre e il dolore, certo. Che successivamente torneranno più forti che mai. Fino al punto che qualcuno semplicemente passerà alle vie di fatto, come quelli che stanno distruggendo gli autovelox in giro per l'Italia e che domani potrebbero ricominciare ad ammazzare gente come avveniva negli anni Settanta.
Quando si affronta il problema dell'odio in rete, si danno per scontate cose che non lo sono per niente: che quello in rete sia un odio virtuale, che i cosiddetti odiatori si sveglino al mattino con la volontà di odiare qualcuno, che chi odia sia ignorante, che il problema sia l'odio e soprattutto, che la gente che "odia in rete" sia diversa da quelli che incontriamo tutti i giorni per strada. In realtà, l'odio è un sentimento, una sensazione, proprio come la febbre. E la Rete sono le terminazioni nervose ove fluisce il dolore. L'odio si manifesta dove può ed essendo la Rete una delle modalità espressive in cui il singolo può sfogarsi, ivi sfogherà il proprio malumore esattamente come gli stessi odiatori di ieri si sfogavano sulle segreterie di Radio Radicale. In sostanza, ci si concentra sulla febbre e sul dolore, ignorando la malattia che li origina. E intendiamoci, che la febbre e il dolore possano generare sofferenze cerebrali e cardiache, è vero. Ma se si cura il dolore senza curare la malattia, il dolore ritornerà ancora più forte, ci vorranno terapie contro il dolore ancora più forti fin quando il cuore non si spappola e il paziente muore. Il vero punto è: perché la gente odia?
La gente non odia per malvagità ma perché si sente tradita. Non importa dissertare - perché su queste pagine lo abbiamo fatto a sufficienza - su quanto artificiale fosse il benessere degli anni d'oro. Gli schemi su cui si sviluppa l'odio sono molto più basici di quanto si possa pensare. Negli ultimi venticinque anni, il tenore di vita della gente è peggiorato, la gente lo confronta con quello dei momenti migliori, vede chi comanda e, dunque, collega le pessime scelte finanziarie e politiche di chi è al potere con tutti i valori collaterali, almeno in apparenza, non connessi a quelle scelte. Se quella stessa classe dirigente che manda in mezzo alla strada il popolo, nel mentre, propagandasse la famiglia tradizionale, gli stessi che oggi la difendono - perché in automatico la collegano ai momenti migliori della propria vita - la stramaledirebbero. Si è già visto in Russia negli anni Novanta. I russi non guardano con forte diffidenza i gay perché, in sé, pensano che siano pericolosi ma perché li collegano ad un periodo storico in cui la Russia ha rischiato la balcanizzazione ad opera di quello stesso potere, completamente asservito al deep state americano, che mentre devastava il sistema produttivo russo, provocando carestie e assideramenti, poi propagandava la fluidità, il femminismo isterico, il multiculturalismo e quant'altro.
Non c'è quindi da stupirsi che lo stesso avvenga in Italia. Quando Gino Cecchettin, dopo manco due mesi che è morta la figlia, diventa l'emblema - anche in buonafede (io quella non la discuto a priori) - di un'insensata lotta contro il maschio bianco, mentre passa totalmente in cavalleria che pochi giorni dopo venga ammazzata una donna che tradiva regolarmente il marito con amanti extracomunitari, al punto che non si sa di chi fosse il feto che portava in grembo; quando nel frattempo si fa una costante e quotidiana propaganda della fluidità di genere; e, dunque, quando lo sbandieramento dei cosiddetti "diritti civili" avviene in un'era di impoverimento economico e sociale e di svuotamento di altri diritti fondamentali, c'è da stupirsi che ritornino in auge l'omofobia e il razzismo?
L'odio è come la febbre. Va certamente contenuto ma va curata anche la malattia. E la malattia è un paese che, mentre dedica ampie pagine al crollo di follower della Ferragni, tace sulla deindustrializzazione del settore produttivo italiano, sulla recessione, sulla crescente disoccupazione, sull'insicurezza del futuro che pesa sulle spalle di trentenni e quarantenni, ben consapevoli che gli anni volano e che in men che non si dica ci ritroveremo sessantenni senza una pensione, specialmente noi partite IVA che lavoriamo per mantenere una pletora di parassiti burocrati lautamente pagati, assai spesso, per non fare nulla.
Chiunque non abbia la razionalità di scriverci sopra un articolo come questo - bello o brutto, intelligente o stupido, lo deciderete voi che leggete - e in generale chiunque abbia un approccio basico alle cose della vita, reagirà con rabbia, con malumore, con malessere, odiando chi è responsabile di questa situazione.
Potrete arrestare chi osa sfottere Valerio Scanu che si sposa vestito con l'abito bianco, Cecchi Paone che esibisce il suo nuovo amore col suo giovane eromenos - se fosse stata una coppia eterosessuale, tutti avrebbero malignato sulla differenza di età tra i due - o Gino Cecchettin e la nonna di Giulia che si presentano in TV come se non avessero subito un gravissimo lutto. Potete querelare e ridurre in mutande chiunque insulti quegli stessi giornalisti che ogni giorno insultano chiunque non la pensi come loro. Cosa avrete ottenuto? Che, non avendo curato la malattia, placherete la febbre e il dolore, certo. Che successivamente torneranno più forti che mai. Fino al punto che qualcuno semplicemente passerà alle vie di fatto, come quelli che stanno distruggendo gli autovelox in giro per l'Italia e che domani potrebbero ricominciare ad ammazzare gente come avveniva negli anni Settanta.
Se non si cura il malessere economico e sociale degli italiani, gli episodi di violenza aumenteranno e diventeranno concreti. A quel punto, le classi dirigenti al potere rimpiangeranno gli insulti sui social. Che, detta come va detta, sono una manifestazione di impotenza, anche perché il sistema non si bonifica insultando la Ferragni, Fedez, i Maneskin o Cecchettin. I personaggi della cultura pop sono soltanto servi di un regime che, ne potete star certi, se un giorno dovesse cambiare padrone, vedrà i provax, filoucraini e antifà di ieri convertirsi in novax, putiniani e fascisti. Piazzale Loreto, del resto, sta in Italia, non in Uzbekistan.