Di fronte alla decisione di riscrivere i libri di Roald Dahl che hanno costituito un caposaldo dell'infanzia di molti di noi, è lecito trasecolare. Quel formidabile scrittore norvegese aveva indubbiamente uno stile irriverente e le caratteristiche morali dei personaggi negativi erano sovente associate a caratteristiche fisiche ben precise. E tuttavia, riscrivere i suoi racconti eliminando certi termini oggettivamente offensivi è assolutamente stupido e non ci sarebbe nemmeno bisogno di spiegare il perché. Di certo, si può decidere di non comprare i suoi libri, ma pensare di riscrivere millenni di storia e letteratura perché un gruppo di fanatici ha deciso che bisogna cancellare il passato per creare un futuro che si supporrebbe roseo e inclusivo, costituisce un motivo più che valido per preoccuparsi della preoccupante deriva totalitaria che, mentre additiamo Putin a novello Hitler, sta prendendo l'Occidente.

Chiarisco: il dolore che possono generare le discriminazioni - e il bullismo ad esse sottese - lo posso capire come chiunque abbia fatto parte di una categoria abitualmente vessata. E io ho fatto parte di diverse categorie. No, non sono gay e neanche negro, che sembrano essere le uniche categorie a subire persecuzioni. Sono stato napoletano al Nord - e in anni in cui la Lega iniziava a furoreggiare - e soprattutto, ho conosciuto l'esperienza del sovrappeso, in alcuni casi anche pesante, sia pure a fasi alterne della mia vita, nel senso che sono stato prima cicciottello ma non più di tanto durante l'infanzia, poi magrissimo a livelli Auschwitz durante la prima adolescenza, palestrato (perché facevo rugby) negli anni tra la maturità e l'università e infine sovrappeso quando non proprio obeso, quando ho smesso, salvo poi ricominciare a dimagrire quando mi è stato presentato il conto di certe cattive abitudini, sotto forma di qualche fastidio di salute.
Aver vissuto queste fasi è stato utilissimo per capire, in prima persona, come cambiava il giudizio delle persone - persino di quelle che sembrerebbero, per cultura e per status, evolute - in base al mio aspetto. Quando ero magro e atletico, le persone mi trattavano con una maggiore cortesia di quando ero parecchio sovrappeso. Del resto, "virtù non luce in disadorno ammanto", come ci ricorda Leopardi. E se le discriminazioni territoriali sono sempre state una realtà tracimante - alle quali in fin dei conti si reagisce con un po' di sana autoironia e non pretendendo di fare il "napoletano al Nord" - viceversa, il grasso ha sempre subito i peggiori ostracismi e soprattutto nessuna giustificazione. Per molti, l'immaginario del grasso è semplicissimo: uno che mangia come un maiale. Nessuno si chiede se sia tale per difficoltà psicologiche dovute ad una particolare situazione di vita (come fu nel mio caso) oppure per altre cose.
Sia detto per inciso, non me ne sono mai fatto una malattia. Intanto perché Madre Natura mi ha dotato di un aspetto fisico generale non disprezzabile che attenua il mio peso, poi perché penso di compensare ogni eventuale deficit estetico con molte altre qualità, che non sfuggono a quelle donne davvero di spessore che sono capaci di andare oltre. In sintesi, i miei "successi" con l'altro sesso li ho mietuti lo stesso. E infine perché non ho mai dato alcun peso al giudizio delle persone non importanti. La liberazione dalla schiavitù dell'altro è il primo vero grande passo verso una compiuta maturità. Magri o grassi che si sia.
E nondimeno, cosa non scontata, mi sono sempre tenuto lontano dalle scemenze consolatorie di "grasso è bello" oppure "non conta quello che si è fuori ma ciò che si è dentro" e dunque mai mi sono fatto propagandista della bellezza dell'obesità, perché è oggettivamente una condizione non sana. Chi pesa molto più della media, si candida ad una serie di patologie che gli abbreviano e gli rendono la vita molto difficile. Mi sono semplicemente messo a dieta, mangiando di meno, facendo lunghe passeggiate, comprendendo il fatto che dieta significa, dal greco, "stile di vita" e dunque l'obiettivo non deve essere fare una rincorsa stremante verso un fisico da sfilata di moda oppure da prova costume, ma adottare un modo di vivere che deve accompagnarci fino alla fine dei nostri giorni. Chi dimagrisce con lo scopo di dimagrire e non di cambiare vita, è destinato a riprendere tutti i chili persi e con gli interessi. Invece io quei chili persi non li ho più ripresi e sto molto, molto meglio in generale.

Naturalmente, le discriminazioni sono da condannare sempre e comunque. Certamente, se una persona viene cacciata da un bar perché col suo aspetto rovina l'immagine del locale - è una notizia che spesso abbiamo letto sui giornali - siamo di fronte ad una discriminazione che va punita. Se viene bocciata a scuola o trattata diversamente perché obesa, gay, negra etc, siamo di fronte alla limitazione di un diritto individuale non giustificata da nessun motivo, idem.
Ma ecco il punto: dove finisce la lotta contro la discriminazione e inizia il tentativo di cogliere in essa il pretesto per limitare i diritti altrui, fino a sconfinare nell'ossessione per il politicamente corretto? Un grasso può anzi deve pretendere di veder rispettati i propri diritti ma non può certo pretendere di piacere ad una donna che, per un motivo o per l'altro, si attizza soltanto di fronte a corpi scolpiti e di imporle un gradimento per il suo aspetto che non ha e non avrà mai. Oltre al fatto che in generale ogni provvedimento contro le discriminazioni è destinato a fallire di fronte ad una difficoltà tangibile e a mio avviso insolubile: come dimostrare che un rifiuto sia avvenuto per un'effettiva discriminazione? Quando l'avvocato gay e malato di AIDS del film Philadelphia, interpretato da Tom Hanks, viene cacciato dallo studio dove lavora, il motivo ufficiale del licenziamento non è "in quanto finocchio" ma "scarso rendimento" e infatti il nocciolo del film ruota sulla capacità da parte dell'avvocato interpretato da Denzel Washington di dimostrare che in realtà il licenziamento fosse dovuto ad un'effettiva discriminazione. E quello è un film. Nella realtà, portare la gente che, per i più disparati motivi, ci rifiuta in tribunale nel tentativo di dimostrare che il rifiuto derivi da una discriminazione e non dal fatto che semplicemente "gli stiamo sulle palle", paralizzerebbe il sistema giudiziario di ogni paese.

La cosa che nessuno vuole capire è che l'avversione per il diverso non è figlia di un capriccio ma di una reazione che l'architettura del sistema nervoso umano mette in atto nei confronti di qualsiasi cosa percepisca come un pericolo per la specie. In tal senso, il diverso è sempre un pericolo perché rendendo identificabile e bersagliabile un gruppo, ne mette in pericolo la sopravvivenza. Gli omosessuali sono, di fatto, incapaci di riprodursi naturalmente e dunque riducono la popolazione del gruppo sociale, i grassi non sono produttivi perché hanno meno energie e sono in salute peggiore, quindi sono un pericolo per il gruppo sociale. Un individuo che parla con un accento strano perché viene da un altro posto, riduce la caratterizzazione identitaria di un gruppo, indebolendolo. In generale, tutto ciò che non fa bene ad un gruppo sociale, non piace a Madre Natura che quindi predispone gli esseri umani a provare ostilità nei confronti di ogni forma di diversità. E' del tutto inutile pretendere di essere accettati per la propria diversità: o ci si omologa oppure si crea un gruppo di persone con le nostre stesse caratteristiche, circostanza che, va da sé, poi provoca faide all'interno del gruppo stesso. Si pensi per esempio all'ostilità che i bisessuali incontrano nei gruppi LGBT. Oppure a chi è contrario alle operazioni bariatriche e sceglie di dimagrire naturalmente. O anche all'interno dei gruppi Incel. Naturalmente si può sorridere all'idea che oggi certe dinamiche relazionali si regolino secondo meccanismi tipici della preistoria, ma una cosa è certa: qualsiasi tentativo di pervertire l'architettura del sistema nervoso degli esseri umani si rivela un fallimento perché nonostante tutte le evoluzioni della civiltà, l'essere umano non è diverso dal progenitore che, migliaia di anni fa, nella preistoria, ragionava con quegli schemi, a meno che non cambi il suo DNA. L'umanità, anche quando - per convenienza - si dà le pose di apertura mentale, detesterà sempre i diversi e, in una maniera o nell'altra, farà sempre loro la guerra. Pensare di esorcizzare la cosa riscrivendo la storia e la letteratura, è totalmente inutile. Una persona che conosco digitalmente, una giornalista, quindi una persona che sa scrivere e intelligentissima per molte cose, durante una nostra conversazione se ne uscì con un "Odio i grassi, non so come mai io attiro prevalentemente i tripponi", tradendo un palese disgusto. Ora, cosa può fregare all'obeso se una donna invece di dire "Odio i grassi, non so come mai attiro prevalentemente tripponi" gli fa mille sorrisi e gli dice "ma no, sei solo un po' robusto", se poi per lei è completamente trasparente? Cosa può fregare ad un omosessuale intelligente di essere chiamato gay invece che frocio e ricchione, se di fronte si trova uno che i gay li brucerebbe nei forni?

Il politicamente corretto non impedisce la discriminazione, la rende solo molto più ipocrita e sotterranea. Per il resto, se alle persone fanno schifo i diversi, non è cambiando le parole che imporrete loro di accettarli: fanno prima i diversi ad omologarsi. Fa prima l'omosessuale a vedere se può cercare di diventare eterosessuale e l'obeso a dimagrire, invece di tentare di cambiare l'architettura del sistema nervoso umano, che tanto non cambia. Forse l'umanità un giorno riuscirà ad accettare tutti, ma prevedo che ciò avvenga quantomeno nel 3000 o 4000 dopo Cristo. Con tutto l'ottimismo di questo mondo, non credo che arriveremo a vederlo. E sicuramente non ci arriveremo eliminando Roald Dahl dalle nostre librerie. I suoi meravigliosi racconti erano il punto di vista di uno scrittore nato nel 1916, in un'era in cui le diversità e le stentatezze costituivano un effettivo pericolo da combattere. E' ridicolo anche solo concepire di poterlo adattare ad un'era in cui la pancia piena e la fallace convinzione che la storia sia finita, fanno trovare sane cose che non lo sono.

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E...di grazia chi è come riscriverebbe racconti come "Le streghe" ??? In quanto alla discriminazione....nel 73 sono tornata in Italia dall'estero divorziata e con un figlio, in un'Italia in cui il divorzio venne approvato nel 70 ma ben pochi "osavano" divorziare in un'atmosfera di perbenismo tale che la dicci provò ad eliminarlo con un referendum nel 74 e per fortuna gli andò buca. Avevo una buona posizione lavorativa dato che le mie competenze tecniche e linguistiche compensavano il mio essere femmina, madre, divorziata e non cattolica. Il mio datore di lavoro disse "Lei può fare una carriera importante ma....non posso presentarla al CdA. Si trovi un marito e mettiamo tutto a posto" . Il marito l'ho trovato, presentato, gradito, approvato, dopo due mesi li ho mandati a fanc....
 
Quando vidi chiamare "non vedente" un CIECO capii la deriva che avrebbe subito la lingua (tutte eh, non solo quella italiana).
Semplicemente non ha alcun senso: il fatto tecnico rimane, un CIECO è di certo uno che non vede,... puoi chiamarlo come ti pare!
La parola CIECO è l'evoluzione di una lingua, è civiltà, è l'attribuzione di una parola specifica che stabilisce cosa sei o chi sei. Decidere di usare "formule descrittive" invece che quello specifico sostantivo è un ritorno alla BARBARIE (diversamente civile?)
Infine, giusto per far capire a che livello di pensiero io sia giunto e, dunque, mi senta sempre più prigioniero di una IDIOZIA MONDIALE:
Io, che sono "diversamente diverso", in che ambito mi colloco in questa società? Chi difendera i miei diritti di percezione? MALEDETTA PERCEZIONE!!!
 
Mesi fa mi inventai una storiella.

IL NANO E IL SALTO IN ALTO

Un nano era deciso a diventare campione olimpionico di salto in alto.
Ne aveva diritto e volle provarci.
Si allenò duramente per anni.
Purtroppo però non riuscì mai a superare i 170cm.
A quel punto decise che c'era qualcosa che non andava, si sentiva discriminato!
Si infuriò tantissimo e decise di recarsi al Comitato Olimpico con un avvocato.
Morale della favola?
Il salto in alto fu eliminato da tutte le gare di atletica nel mondo, nelle scuole, nei campus... il Salto in Alto era una discriminazione e come tale andava abolito.
Rifletteteci, inventatevi tutte le storielle che vi vengono in mente, io ne ho a centinaia in testa e sono una più surreale dell'altra ma: Politicamente correttissime.
Finiremo tutti per evirarci perché avere un pene è discriminante!
 

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Franco Marino
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