Credo di aver già raccontato che con me i colpi di fulmine funzionano al contrario. Mentre mi affeziono con gran difficoltà a qualcuno, sin dal primo momento invece capisco che una persona non mi va a genio e mi sbaglio rarissimamente. E' il caso di Papa Francesco, che non mi è mai piaciuto fin dalla sua prima apparizione. Già il nome, Francesco, indicava gli intenti programmatici di un pontificato grillino, ammiccante agli umori di un popolino alla ricerca del Personal Jesus, invidioso nei confronti di qualsiasi forma di ricchezza, alla ricerca di un capo che dica "Fai quel che vuoi senza renderne conto a nessuno, non ti giudico". La sua comunicazione non avrebbe tradito le mie attese: fu il tempo delle telefonate a casa, a sorpresa, di emeriti sconosciuti, fu il tempo delle ascese sulle scalette degli aerei portando la borsa a mano, il tempo delle interviste da Fazio come un Burioni qualsiasi, e soprattutto venne il giorno dell'abbraccio mortale con un altro papa della religione dell'ateismo: Eugenio I, al secolo Eugenio Scalfari, fondatore di Repubblica. Con questo pontefice del laicismo recentemente scomparso, Bergoglio intavolò una lunga e vivida intesa dalla quale ricevette la benedizione papale di Eugenio I: era lui il Papa tanto atteso dai cultori del Personal Jesus, quello che avrebbe spalancato le porte di Cristo, invero già schiudenti dai tempi di Giovanni XXIII, alla contaminazione del modernismo. Quando l'intesa tra i due papi fu abbondantemente strombazzata dalle stampe di regime, la mente mi portò a quando un altro Papa, di fronte a Eugenio I, che come al solito distribuiva la quotidiana dose di ignoranza e arroganza dal sacro soglio di San Repubblica, lo mise semplicemente a tacere indicandogli i riferimenti da cui attingere: era accaduto che Eugenio I l'aveva fatta, come di consueto, fuori dal vaso, sostenendo che l'esistenza di Cristo non era dimostrata da alcun testo che non fosse sotto il controllo della Chiesa, e il risultato fu che il Papa di quel tempo gli indicò per filo e per segno i riferimenti biblici ove cercare, consacrando una colossale figura cacina, peraltro già riservata ad un altro fondamentalista dell'ateismo: il matematico Odifreddi.

Quel Papa è scomparso oggi, si chiamava Benedetto XVI, al secolo Joseph Ratzinger. Trattandosi di un uomo che ho avuto il piacere di conoscere personalmente, è tanto oggi un gran dispiacere annunciarne la scomparsa, quanto fu una gran gioia vederne annunciata l'elezione come Papa nel 2005. Molti non capivano esattamente come mai io apprezzassi quella figura, tanto più che non ero allora, come non lo sono oggi, un credente. La ragione è semplice: proprio perché lo conobbi, oltre ad aver più volte letto i suoi discorsi, ascoltato le sue interviste. Quando ancora era un eminente cardinale, fu protagonista di un incontro nell'università nella quale studiavo, dove non si limitò a tenere una brillante "lectio magistralis", ma poi si intrattenne con noi studenti, in una conversazione brillante e divertente. Di lui mi colpirono i modi paterni, il suo sguardo sornione, da furbacchione ammiccante che sembrava sempre dire "conosco i miei polli", e quando nel lodare la zona dove vivevamo io gli dissi che abitavo a cinquanta metri, mi disse col suo proverbiale accento tedesco e il suo fare sornione "Ah ciusto ciusto, cvindi fa casa e bottega Lei eh?".

Passava per papa freddo e antipatico e non era né l'uno né l'altro. Semplicemente non era a suo agio con le ingannevoli leggi dei media ritagliate sulla massa stupida, ai quali egli, un Papa conservatore, che sulla dottrina aveva idee chiare, nette, non voleva vendere il messaggio di Dio. Il suo grande nemico dichiarato era il "relativismo", la concezione che tutto sia relativo e che non esista il Bene e il Male, togliendo centralità all'individuo e assegnandola al potere tirannico. Il suo messaggio, essendo quel Papa poco a suo agio con i media, non fu capito e fu naturalmente strumentalizzato dal totalitarismo progressista col quale fu odio a prima vista e che, sfruttando qualche scheletro nell'armadio non tanto di Ratzinger ma forse di qualche figura a lui vicina, è stato probabilmente anche responsabile delle sue premature e sospette dimissioni. In realtà dietro le parole di Benedetto XVI c'era soltanto l'ammonimento rivolto ai popoli europei in merito al rischio della dittatura del relativismo, che avrebbe provocato attraverso la perdita della propria identità, il culto di un personalismo che è solo soggiogamento alle leggi della moda, e dunque lo smarrimento di sé. A quel tempo, agli ignoranti - anche, ahimè, ad una parte di quelli che oggi lo celebrano e lo beatificano - quelle parole apparvero come la profezia di una reincarnazione di Torquemada. E invece Benedetto XVI, alla maniera dei veri intellettuali, quelli che le cose le capiscono con vent'anni di anticipo, non con quaranta di ritardo, descrisse esattamente quello che sta accadendo oggi: la crisi dell'Occidente, lo sradicamento delle sue origini. Perché Ratzinger, prima ancora che un capo della cristianità - del quale certamente mancava di alcune caratteristiche fondamentali oggi - era un grandissimo intellettuale, di quelli che se la Chiesa, invece di assecondare il populismo dei suoi nemici, riempisse le proprie istituzioni, forse non rischierebbe di percorrere in discesa il mortale piano inclinato del secolarismo.

Perché ci mancherà Ratzinger? Perché la Chiesa può tornare centrale nel mondo soltanto se non cerca il consenso degli opportunisti alla ricerca della benedizione di Dio per inseguire l'egoismo dei personali comodi, e dunque sia in grado di riproporre la potenza della propria dottrina. Un vero Papa non svende il messaggio di Dio per ottenere il consenso ma cerca di convincere, in forza delle proprie capacità, le pecorelle smarrite a seguire il pastore. E' solo quella la vera fede.
Il Personal Jesus è il nemico che sta uccidendo la Chiesa. Proprio come diceva Joseph Ratzinger.

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Franco Marino
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