Gli storici di scuola liberale e marxista tendono a sopravvalutare gli aspetti economici e ideologici e a sottacere le ragioni geopolitiche, specie quando trattano le vicende dell’Otto-Novecento. Per esempio, la guerra ispano-americana (1898) viene presentata nei seguenti termini: una versione economicista suggerisce che si trattò di una guerra per la frutta e la canna da zucchero (Cuba e le Filippine erano e sono tuttora grandi produttori di zucchero); la versione ideal-eccezionalista che fu una crociata contro l’oscurantismo ispanico, una lotta di liberazione panamericana finalizzata ad espugnare l’ultima roccaforte europea (ma francesi, olandesi e soprattutto inglesi continuarono a trafficare nello spazio caraibico), l’ultima eresia contrapposta alla dottrina Monroe; la versione minimalista ci parla di una maniera di conformarsi alla moda del colonialismo territorialista, in voga nella vecchia europa. Ancora oggi, in maniera ingenua e superficiale, definiamo “guerre per il petrolio” gli interventi in Iraq e Medio Oriente. Ma è davvero così? Gli USA, energeticamente autosufficienti, avevano veramente bisogno di impadronirsi manu militari dell’oro nero contenuto nei giacimenti iracheni, libici, siriani? In realtà lo hanno fatto per sottrarli a quei soggetti – come l’Italia e l’Europa tutta – assetati di idrocarburi a buon mercato e per padroneggiare il mercato energetico, in parole povere per manipolare il prezzo del petrolio e poter ricattare e mettere in difficoltà i rivali produttori e consumatori come UE, Russia, Cina, Iran, Venezuela eccetera. Tornando alla guerra ispano-americana, cos’è che non torna nelle ricostruzioni suesposte? Non sono erronee, ma risultano inficiate dal “non detto”. E ciò che non si dice è che, nella storia geopolitica degli USA, quel conflitto rappresentò una tappa fondamentale nella grande corsa al mercato asiatico. La corsa iniziò con la conquista del selvaggio Ovest, dopo la vittoria del nord industriale sul sud schiavista, proseguì con l’Alaska purchase (l’acquisto dell’Alaska dall’Impero russo) fino alla vigilia della Grande Guerra, con l’apertura del canale di Panama (1914), e arrivò fino alla seconda guerra mondiale, con la “conquista” di Giappone, Corea del Sud e Taiwan, ma non del boccone più grosso e prelibato, la Cina. Panama era una provincia colombiana; la Colombia negò a Washington il permesso di costruire il canale; per tutta risposta lo zio Sam organizzò una rivoluzione colorata ante litteram che portò all’indipendenza (si fa per dire) di Panama. A proposito della guerra ispano-americana, l’insigne storico tedesco Theodor Mommsen ebbe a dire: Quando ero giovane, si era concordi generalmente nel credere che l’ordine del mondo fosse costantemente in progresso verso il meglio, e che questo progresso si sarebbe tradotto nell’instaurazione sempre più generale della Repubblica. Non ci si aspettava tuttavia l’amaro disinganno di questa guerra causata dai sostenitori della Repubblica. L’ipocrisia umanitaria, la violenza esercitata sul più debole, la condotta della guerra a fini speculativi e in vista dello scontato aggiotaggio conferiscono all’impresa americana un carattere ancor più indegno di quello delle peggiori “guerre di gabinetto”.

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