di Manuel Berardinucci
Se si è monarchici, benché si sia in presenza di una monarchia liberale, eretica e massona, come quella inglese, non si può comunque non guardare con curiosità alle vicende dell’ultima casa reale la cui regalità è visibile. I sovrani nel mondo ormai sono più sobri dei Presidenti della Repubblica, cercano di essere più giovanili, smart, all’avanguardia, col pretesto di legittimare la persistenza del sistema monarchico nel secolo ventunesimo. E tuttavia a me pare che vadano sempre più delegittimando tale istituzione. Se infatti il Re è “umano troppo umano”, se vive come un qualsivoglia politicante democraticamente eletto, se perde la sacralità della propria investitura, l’origine divina del suo mandato, il mistero dell’unzione, da dove dovrebbe sgorgare il diritto di nascita che lo lega al trono? Da sempre, sotto qualsiasi forma si sia presentata, in qualunque tempo e luogo, la monarchia si è fondata sul rapporto inscindibile col sacro e con l’impersonalità del sovrano. Egli smette di essere un semplice umano ed entra in una dimensione mistica che unicamente può legittimare il suo diritto di regnare. “Noblesse oblige”, ovvero ai privilegi che la propria posizione include in sé stessa, corrispondono degli obblighi molto stringenti. In epoche passate, quando i Re erano davvero Re e il mondo funzionava certamente meglio, tali obblighi comprendevano la protezione del popolo, il perseguimento del bene comune e il riconoscimento dei diritti di Dio. In epoca contemporanea, dopo l’ubriacatura moderna degli assolutismi sei-settecenteshi, le monarchie sono state gradualmente svuotate di sostanza, i loro poteri annichiliti, le proprie prerogative ridotte a simboli, la loro reale incidenza sulla vita dei sudditi praticamente azzerrata. La monarchia sopravvive tuttavia come elemento unificante della Nazione e preserva il proprio potere di influenza e consiglio, con gradazioni diverse a seconda dei Paesi. Resta ordunque come obbligo per coloro investiti da tale privilegio, l’impersonalità, la capacità di sparire innanzi all’istituzione, di unire anziché suscitare scandali e polemiche; essere onnipresenti ma dicendo e facendo il meno possibile, esporsi continuamente senza sbilanciarsi mai, divenire delle cartoline ambulanti, la luccicante fotografia della Nazione.
Va detto che la monarchia britannica, negli ultimi decenni, è stata l’unica delle monarchie europee a preservare tale funzione; le altre, le tanto ammirate case reali del nord-Europa, hanno praticamente trasformato lo Stato nella personale ditta di famiglia da cui continuare a percepire lauti compensi a vita, senza tuttavia assumersi l’onere degli obblighi sociali che la posizione comporta. Vita da Presidente ma posto fisso da Re. Per questo non comprenderò mai la simpatia nei confronti di personaggi come Lady D. o più recentemente per il suo secondogenito rosso, che pretendono di godere dei privilegi di classe comportandosi alla stregua di comuni plebei. Andando oltre la volgare finzione dell’operazione-simpatia, non c’è che la volontà di slegarsi dal ruolo che la Provvidenza ha assegnato, mantenendone tuttavia lo status. Sono Diana ed Henry i veri classisti, poiché desiderano vivere liberi e spensierati come i loro sudditi, ma ricevendo un compenso e dei privilegi in cambio di un ruolo cui non assolvono.
Ed ecco perché invece non posso non guardare con vivace curiosità ad una cerimonia di incoronazione che ribadisce e palesa al mondo la bellezza mistica dell’istituzione monarchica. Una cerimonia gravemente invalidata dall’eresia anglicana, dall’ecumenismo trionfante, dal protestantesimo, dalla presenza di “befane vestite da vescovo”, per citare un amico, da ArciLaici spacciati per ArciVescovi, dall’ermellino sintetico indossato dal Re e dal crisma per l’unzione privato dei suoi elementi animali (questi ultimi due elementi non invalidano ma intristiscono per l’irruzione dell’ecologicamente corretto in funzioni millenarie), ma che sul piano estetico e mistico-simbolico ci consente di assaporare un trafiletto di medioevo nel grigiore della modernità. E se la monarchia non può più far nulla, che almeno ci regali attimi di tradizione. Il rito dell’incoronazione, che farebbe impallidire anche la più solenne celebrazione del Novus Ordo Missae, posto che i modernisti abbiano trovato “solennità” sul vocabolario, è una diretta eredità del Cattolicesimo medievale che persino la setta anglicana non ha osato urtare in modo eccessivo tanto è oggettivamente bella, sacrale, mistica ed austera. Serviva il barbaro coraggio di Bugnini e compagnia modernista per rinunciare a tutto questo in cambio della cena luterana. Tra tutti gli eretici hanno copiato quelli anche esteticamente più desolanti.
Tornando all’incoronazione, la vestizione è di chiara matrice bizantina e il rito con cui il Principe William si è reso vassallo di Carlo III è direttamente legato alle modalità del feudalesimo medievale. Si dirà che tutto ciò è soltanto il simulacro di un cadavere, ma questo non interessa la nostra trattazione. E’ stato bello vedere una cerimonia dal sapore medievale -con celebranti ammantati da bellissimi piviali romani, ormai quelli gotici li usa solo Bergoglio- senza che questo ci induca in simpatia l’eresia anglicana o diminuisca il nostro amore per la Chiesa Cattolica e il suo antichissimo e venerabile rito che certo nulla ha da invidiare a quello andato in scena sabato mattina, ma che anzi ha in sovrappiù- un sovrappiù fondamentale- validità e legittimità. E’ stato bello dunque, lo ripeto, ammirare l’incoronazione di Carlo III, ma è anche giusto sapere che esiste un rito più bello, più sacro e soprattutto cattolico, che è la Santa messa celebrata secondo il Rito di sempre, l’unico e il solo.
Al contempo l’attenzione mediatica riservata ad una cerimonia così esteticamente anti-moderna, sia un monito contro quei novatori che pensavano di avvicinare Dio alla gente ed hanno invece solo allontanato la gente da Dio: persino l’uomo contemporaneo, abituato a brutture di ogni sorta, cerca il sacro, il bello, il verticale, l’austero. E a livello mediatico la Royal Family continua a darci questo. Lo diciamo con le parole che il filosofo brasiliano Plinio Correa de Oliveira scriveva nel 1952 in occasione dell’incoronazione di Elisabetta II:
Infine, guardiamo con simpatica curiosità ad un Re dai tratti anti-moderni, esponente di un ecologismo anti-industriale e tradizionale ben lontano dal gretismo cui lo vorrebbero associare le banalizzazioni mediatiche, appassionato di arte ed architettura.
Dio salvi il Re e magari un giorno lo converta.
E preghiamo che un giorno ci regali nuovamente l'incoronazione di un Re Cattolico.
Se si è monarchici, benché si sia in presenza di una monarchia liberale, eretica e massona, come quella inglese, non si può comunque non guardare con curiosità alle vicende dell’ultima casa reale la cui regalità è visibile. I sovrani nel mondo ormai sono più sobri dei Presidenti della Repubblica, cercano di essere più giovanili, smart, all’avanguardia, col pretesto di legittimare la persistenza del sistema monarchico nel secolo ventunesimo. E tuttavia a me pare che vadano sempre più delegittimando tale istituzione. Se infatti il Re è “umano troppo umano”, se vive come un qualsivoglia politicante democraticamente eletto, se perde la sacralità della propria investitura, l’origine divina del suo mandato, il mistero dell’unzione, da dove dovrebbe sgorgare il diritto di nascita che lo lega al trono? Da sempre, sotto qualsiasi forma si sia presentata, in qualunque tempo e luogo, la monarchia si è fondata sul rapporto inscindibile col sacro e con l’impersonalità del sovrano. Egli smette di essere un semplice umano ed entra in una dimensione mistica che unicamente può legittimare il suo diritto di regnare. “Noblesse oblige”, ovvero ai privilegi che la propria posizione include in sé stessa, corrispondono degli obblighi molto stringenti. In epoche passate, quando i Re erano davvero Re e il mondo funzionava certamente meglio, tali obblighi comprendevano la protezione del popolo, il perseguimento del bene comune e il riconoscimento dei diritti di Dio. In epoca contemporanea, dopo l’ubriacatura moderna degli assolutismi sei-settecenteshi, le monarchie sono state gradualmente svuotate di sostanza, i loro poteri annichiliti, le proprie prerogative ridotte a simboli, la loro reale incidenza sulla vita dei sudditi praticamente azzerrata. La monarchia sopravvive tuttavia come elemento unificante della Nazione e preserva il proprio potere di influenza e consiglio, con gradazioni diverse a seconda dei Paesi. Resta ordunque come obbligo per coloro investiti da tale privilegio, l’impersonalità, la capacità di sparire innanzi all’istituzione, di unire anziché suscitare scandali e polemiche; essere onnipresenti ma dicendo e facendo il meno possibile, esporsi continuamente senza sbilanciarsi mai, divenire delle cartoline ambulanti, la luccicante fotografia della Nazione.
Va detto che la monarchia britannica, negli ultimi decenni, è stata l’unica delle monarchie europee a preservare tale funzione; le altre, le tanto ammirate case reali del nord-Europa, hanno praticamente trasformato lo Stato nella personale ditta di famiglia da cui continuare a percepire lauti compensi a vita, senza tuttavia assumersi l’onere degli obblighi sociali che la posizione comporta. Vita da Presidente ma posto fisso da Re. Per questo non comprenderò mai la simpatia nei confronti di personaggi come Lady D. o più recentemente per il suo secondogenito rosso, che pretendono di godere dei privilegi di classe comportandosi alla stregua di comuni plebei. Andando oltre la volgare finzione dell’operazione-simpatia, non c’è che la volontà di slegarsi dal ruolo che la Provvidenza ha assegnato, mantenendone tuttavia lo status. Sono Diana ed Henry i veri classisti, poiché desiderano vivere liberi e spensierati come i loro sudditi, ma ricevendo un compenso e dei privilegi in cambio di un ruolo cui non assolvono.
Ed ecco perché invece non posso non guardare con vivace curiosità ad una cerimonia di incoronazione che ribadisce e palesa al mondo la bellezza mistica dell’istituzione monarchica. Una cerimonia gravemente invalidata dall’eresia anglicana, dall’ecumenismo trionfante, dal protestantesimo, dalla presenza di “befane vestite da vescovo”, per citare un amico, da ArciLaici spacciati per ArciVescovi, dall’ermellino sintetico indossato dal Re e dal crisma per l’unzione privato dei suoi elementi animali (questi ultimi due elementi non invalidano ma intristiscono per l’irruzione dell’ecologicamente corretto in funzioni millenarie), ma che sul piano estetico e mistico-simbolico ci consente di assaporare un trafiletto di medioevo nel grigiore della modernità. E se la monarchia non può più far nulla, che almeno ci regali attimi di tradizione. Il rito dell’incoronazione, che farebbe impallidire anche la più solenne celebrazione del Novus Ordo Missae, posto che i modernisti abbiano trovato “solennità” sul vocabolario, è una diretta eredità del Cattolicesimo medievale che persino la setta anglicana non ha osato urtare in modo eccessivo tanto è oggettivamente bella, sacrale, mistica ed austera. Serviva il barbaro coraggio di Bugnini e compagnia modernista per rinunciare a tutto questo in cambio della cena luterana. Tra tutti gli eretici hanno copiato quelli anche esteticamente più desolanti.
Tornando all’incoronazione, la vestizione è di chiara matrice bizantina e il rito con cui il Principe William si è reso vassallo di Carlo III è direttamente legato alle modalità del feudalesimo medievale. Si dirà che tutto ciò è soltanto il simulacro di un cadavere, ma questo non interessa la nostra trattazione. E’ stato bello vedere una cerimonia dal sapore medievale -con celebranti ammantati da bellissimi piviali romani, ormai quelli gotici li usa solo Bergoglio- senza che questo ci induca in simpatia l’eresia anglicana o diminuisca il nostro amore per la Chiesa Cattolica e il suo antichissimo e venerabile rito che certo nulla ha da invidiare a quello andato in scena sabato mattina, ma che anzi ha in sovrappiù- un sovrappiù fondamentale- validità e legittimità. E’ stato bello dunque, lo ripeto, ammirare l’incoronazione di Carlo III, ma è anche giusto sapere che esiste un rito più bello, più sacro e soprattutto cattolico, che è la Santa messa celebrata secondo il Rito di sempre, l’unico e il solo.
Al contempo l’attenzione mediatica riservata ad una cerimonia così esteticamente anti-moderna, sia un monito contro quei novatori che pensavano di avvicinare Dio alla gente ed hanno invece solo allontanato la gente da Dio: persino l’uomo contemporaneo, abituato a brutture di ogni sorta, cerca il sacro, il bello, il verticale, l’austero. E a livello mediatico la Royal Family continua a darci questo. Lo diciamo con le parole che il filosofo brasiliano Plinio Correa de Oliveira scriveva nel 1952 in occasione dell’incoronazione di Elisabetta II:
“L’uomo contemporaneo, ferito e maltrattato nella sua natura da tutto un tenore di vita costruito su astrazioni, chimere, teorie vane, nei giorni della incoronazione di Elisabetta si è rivolto, affascinato verso il miraggio di un passato aristocratico e anti-ugualitario così diverso dal terribile giorno d’oggi.
Se la monarchia inglese dovesse cadere, perderemo un pezzo di medioevo, perderemo un pezzo di civiltà cristiana, anche se questa monarchia ha contribuito alla distruzione della Civiltà cristiana medioevale. Per questo dobbiamo ammirare la monarchia, non solo quella inglese, ma il sistema monarchico in sé stesso, malgrado le colpe o anche i meriti dei sovrani”
Infine, guardiamo con simpatica curiosità ad un Re dai tratti anti-moderni, esponente di un ecologismo anti-industriale e tradizionale ben lontano dal gretismo cui lo vorrebbero associare le banalizzazioni mediatiche, appassionato di arte ed architettura.
Dio salvi il Re e magari un giorno lo converta.
E preghiamo che un giorno ci regali nuovamente l'incoronazione di un Re Cattolico.