Non parlerò del libro del generale Vannacci, che non ho letto, come la totalità dei suoi accusatori, i quali vorrebbero persino punirlo nel totale silenzio dei media per evitare che venga conosciuto dal pubblico (parole di un noto esponente PD). Parlerò invece, eccome, della persona, delle affermazioni che ne hanno portato alla pubblica crocifissione, e di ciò che questo significa per la società in cui viviamo.
Il generale Roberto Vannacci, spezzino, 55 anni, attualmente generale di divisione, già in forze al celebre “Col Moschin” e alla “Folgore”, ha partecipato a praticamente tutte le operazioni militari all'estero in cui l'Esercito Italiano è stato coinvolto dalla Somalia (1992) all'Afghanistan (2021), passando persino per paesi come Costa d'Avorio, Rwanda e Yemen, in cui il vasto pubblico italiano, così ben informato dalla stampa igienica di regime, neppure sospettava i nostri soldati fossero mai stati. Ha preso parte ad operazioni sul campo (i.e. ha rischiato la pelle coi propri uomini) e per questo ha ricevuto una dozzina di onorificenze sia italiane che straniere. Ha tre lauree magistrali, due in Italia e una in Romania. Parla correntemente quattro lingue straniere: inglese, spagnolo, rumeno e portoghese. Per questa lunga sfilza di meriti, oltre che per aver rischiato di suo, cosa inconsueta fra gli arrampicatori sociali del Belpaese, ha fatto una bella carriera che lo ha portato, lo scorso giugno, ai vertici dell'Istituto Geografico Militare, che con questo curriculum sembra più che titolato a dirigere. Ed è stato uno dei pochissimi, l'unico che mi risulti, ad aver preso posizione pubblicamente contro all'uso di munizioni all'uranio impoverito nei teatri di guerra in cui servono i nostri soldati, per i rischi alla loro salute che ciò comporta, contro alla posizione dei massimi vertici che era stata di pura negazione. Poi, però, ha pubblicato un libro, “Il mondo al contrario”, e qui è cascato l'asino.
In un paese in cui ormai chiunque, persino calciatori e conduttori televisivi pubblicano libri, il generale ha commesso e reiterato un crimine capitale nell'Italia repubblicana del XXI secolo: ha espresso liberamente le sue opinioni su categorie di intoccabili criticandole con criterio e senza mezzi termini. Ha definito l'omosessualità qualcosa di anormale, rispetto allo stato normale dei rapporti fra sessi (che già scritto così intende, eloquentemente, che si tratti di rapporti fra sessi differenti) che è l'eterosessualità. Ha denunciato un lavaggio del cervello generale che vorrebbe cancellare, nella percezione comune, ogni differenza fra individui, inclusa quella fra etnie, e ha usato la parola proibita “razze”, ormai vietata quando si parla di esseri umani e confinata all'ambito bovino, felino, canino e ittico. Ha parlato di lobby gay che condizionano, insieme ad altre, l'agenda politica e sociale. Per il resto, cito testualmente, la società è afflitta da «occupanti abusivi delle abitazioni che prevalgono sui loro legittimi proprietari; quando si spende più per un immigrato irregolare che per una pensione minima di un connazionale; quando l'estrema difesa contro il delinquente che ti entra in casa viene messa sotto processo; quando veniamo obbligati ad adottare le più stringenti e costosissime misure antinquinamento, ma i produttori della quasi totalità dei gas climalteranti se ne fregano e prosperano». Sul femminismo, invece, pur essendomi sorbito una buona parte della stampa igienica di regime, non ho potuto trovare nulla se non la generica accusa di “affermazioni contro il femminismo”. Che non mi risulta sia ancora reato penale, come tutto il resto, ma passiamo oltre.
È evidente che il generale Vannacci abbia espresso non solo, e non tanto, il suo libero pensiero, ma che si sia limitato a ciò che è patrimonio di una vastissima maggioranza dei cittadini italiani, quelli ancora non indottrinati e che per formarsi culturalmente non si riferiscono al TG1, a Raignù24 o a SkyBalle. Cose che, per chiunque abbia la pazienza di soffrire la presenza di esseri umani comuni, che vivano fuori dagli studi televisivi, le redazioni e le aule parlamentari, sono dette e ripetute (in termini ben più crudi, magari, e categorici, delle frasi bollate dagli imbrattacarte come “farneticazioni intolleranti”) ovunque e pubblicamente, per la strada, al bancone di un bar, in casa di amici, di fronte agli scaffali di un supermercato, al punto che possono essere considerate sentire comune, ossia delle ovvietà. E questo porta ad una seconda constatazione.
Nella società cosiddetta democratica esiste un'ideologia ufficiale, onnipervasiva, imposta al discorso pubblico, che è vietato trasgredire o contraddire, pena l'esclusione dalla stessa vita sociale, la perdita del lavoro, l'umiliazione pubblica. Il generale Vannacci è stato sollevato nel giro di una giornata dall'incarico all'Istituto Geografico Militare, mettendo al suo posto un illustre sconosciuto già collaboratore del governo-fantoccio Monti (che è tutto dire), e sospeso anche da incarichi militari. Ma questo all'inquisizione di regime non basta. Le opposizioni, che da tempo impongono la linea al Paese pur non rappresentando che una netta minoranza e perdendo regolarmente ad ogni verifica elettorale, hanno invocato la sua destituzione e, quando questa è arrivata, non gli è bastata, chiedendo anche gli venissero tolte le onorificenze conquistate sul campo (loro che i gradi se li guadagnano al chiuso di una segreteria di partito, ai piedi di qualche multinazionale o nel segreto di qualche loggia). E sono state puntualmente accontentate da un governo che si dice “patriottico” e “nazionale”. Il generale è stato infatti insultato pubblicamente dal cosiddetto Ministro della Difesa Crosetto come autore di “farneticazioni” da cui ha “preso le distanze”, immagino dopo non averne letto neppure una pagina, data la velocità di reazione. E non è finita. L'ineffabile ministro ha annunciato azioni disciplinari, commentando, da testa assai fine (Prigožin insegna) che “chi indossa la divisa le opinioni se le tiene per sè”. Crosetto, infatti, ha una concezione assai superiore del militare rispetto a Giulio Cesare, Marco Aurelio, Federico il Grande, Napoleone, von Hindenburg, e praticamente chiunque, da qualche secolo avanti Cristo in poi, abbia scritto delle memorie o lasciato traccia letteraria di come la pensasse sul mondo e sugli uomini. Lui li avrebbe degradati e mandati a casa in punizione, Crosetto Magno.
In pratica, siamo ridotti come l'Unione Sovietica degli anni successivi al 1953, quando ai dissidenti veniva tolto tutto ma non li ammazzavano più. Certo, come faranno notare gli acuti leccapiedi di regime, non possiamo certo paragonarci ai regimi stalinisti, fascisti o nazisti: lì se non eri d'accordo ti ammazzavano. Sicuro, cari intellettuali, a loro no. Ma all'Unione Sovietica di Krušev e Brežnev sì: un posto in cui una gerontocrazia eletta da nessuno governa su di un popolo impotente e impossibilitato ad esprimere una qualsiasi idea rilevante sui temi sociali pena la persecuzione, l'ostracismo e, magari, l'esilio interno. Aggiungendoci le forme degradanti del processo a Dreyfus, spogliato delle decorazioni e del grado dopo un processo irregolare. Ma nella Francia repubblicana di centoventi anni fa, almeno, il processo fu rivisto e Dreyfus reintegrato. Oggi abbiamo appena assistito ad una punizione sommaria, per reati d'opinione, di un militare che ha servito con onore lo Stato, decorato e promosso sul campo, senza alcun processo oltre agli schizzi di bile della peggior sinistra mafiosa parlamentare e la viltà degli altri. Un bel progresso davvero, non c'è che dire.
In tutto questo, spicca come un lume la condotta del generale, che in mezzo a questa immonda canaglia e alla persecuzione di cui è stato fatto oggetto ha tenuto alta la testa e difeso la propria dignità rifiutando di piegarsi alle solite ritrattazioni e di strisciare di fronte ai servi di un potere ben più alto (e che, da quanto letto, pare aver anche lui ben identificato nelle sue pagine, altrimenti non si sarebbe meritato anche il canonico “complottista”). Una condotta esemplare, che mostra come non sia lui ad essere indegno della divisa che indossa, ma questo Stato a non meritare affatto di venir difeso e rappresentato da uomini come lui.
Mi resta una semplice domanda, stavolta ai vertici dell'Esercito, che so, in segreto, non proprio supinamente d'accordo con le farneticazioni di Crosetto, Fratojanni e della marmaglia progressista, né con la vigliaccheria delle marionette di maggioranza. Se fino a ieri si poteva dire che i generali non sarebbero intervenuti, di fronte allo sfascio generale italiano, perché avrebbero avuto troppo da perdere, oggi che i vertici dell'Esercito vengono insultati, puniti, cacciati dal posto che si erano meritati con onore, quando arriverà ad un limite anche la vostra pazienza? Sino a quando, per riprendere la famosa citazione ciceroniana, potranno abusare anche di voi? O fa piacere a qualcuno che venga punito, per vie traverse, chi aveva osato rompere il muro di omertà sull'uranio impoverito?
Il generale Roberto Vannacci, spezzino, 55 anni, attualmente generale di divisione, già in forze al celebre “Col Moschin” e alla “Folgore”, ha partecipato a praticamente tutte le operazioni militari all'estero in cui l'Esercito Italiano è stato coinvolto dalla Somalia (1992) all'Afghanistan (2021), passando persino per paesi come Costa d'Avorio, Rwanda e Yemen, in cui il vasto pubblico italiano, così ben informato dalla stampa igienica di regime, neppure sospettava i nostri soldati fossero mai stati. Ha preso parte ad operazioni sul campo (i.e. ha rischiato la pelle coi propri uomini) e per questo ha ricevuto una dozzina di onorificenze sia italiane che straniere. Ha tre lauree magistrali, due in Italia e una in Romania. Parla correntemente quattro lingue straniere: inglese, spagnolo, rumeno e portoghese. Per questa lunga sfilza di meriti, oltre che per aver rischiato di suo, cosa inconsueta fra gli arrampicatori sociali del Belpaese, ha fatto una bella carriera che lo ha portato, lo scorso giugno, ai vertici dell'Istituto Geografico Militare, che con questo curriculum sembra più che titolato a dirigere. Ed è stato uno dei pochissimi, l'unico che mi risulti, ad aver preso posizione pubblicamente contro all'uso di munizioni all'uranio impoverito nei teatri di guerra in cui servono i nostri soldati, per i rischi alla loro salute che ciò comporta, contro alla posizione dei massimi vertici che era stata di pura negazione. Poi, però, ha pubblicato un libro, “Il mondo al contrario”, e qui è cascato l'asino.
In un paese in cui ormai chiunque, persino calciatori e conduttori televisivi pubblicano libri, il generale ha commesso e reiterato un crimine capitale nell'Italia repubblicana del XXI secolo: ha espresso liberamente le sue opinioni su categorie di intoccabili criticandole con criterio e senza mezzi termini. Ha definito l'omosessualità qualcosa di anormale, rispetto allo stato normale dei rapporti fra sessi (che già scritto così intende, eloquentemente, che si tratti di rapporti fra sessi differenti) che è l'eterosessualità. Ha denunciato un lavaggio del cervello generale che vorrebbe cancellare, nella percezione comune, ogni differenza fra individui, inclusa quella fra etnie, e ha usato la parola proibita “razze”, ormai vietata quando si parla di esseri umani e confinata all'ambito bovino, felino, canino e ittico. Ha parlato di lobby gay che condizionano, insieme ad altre, l'agenda politica e sociale. Per il resto, cito testualmente, la società è afflitta da «occupanti abusivi delle abitazioni che prevalgono sui loro legittimi proprietari; quando si spende più per un immigrato irregolare che per una pensione minima di un connazionale; quando l'estrema difesa contro il delinquente che ti entra in casa viene messa sotto processo; quando veniamo obbligati ad adottare le più stringenti e costosissime misure antinquinamento, ma i produttori della quasi totalità dei gas climalteranti se ne fregano e prosperano». Sul femminismo, invece, pur essendomi sorbito una buona parte della stampa igienica di regime, non ho potuto trovare nulla se non la generica accusa di “affermazioni contro il femminismo”. Che non mi risulta sia ancora reato penale, come tutto il resto, ma passiamo oltre.
È evidente che il generale Vannacci abbia espresso non solo, e non tanto, il suo libero pensiero, ma che si sia limitato a ciò che è patrimonio di una vastissima maggioranza dei cittadini italiani, quelli ancora non indottrinati e che per formarsi culturalmente non si riferiscono al TG1, a Raignù24 o a SkyBalle. Cose che, per chiunque abbia la pazienza di soffrire la presenza di esseri umani comuni, che vivano fuori dagli studi televisivi, le redazioni e le aule parlamentari, sono dette e ripetute (in termini ben più crudi, magari, e categorici, delle frasi bollate dagli imbrattacarte come “farneticazioni intolleranti”) ovunque e pubblicamente, per la strada, al bancone di un bar, in casa di amici, di fronte agli scaffali di un supermercato, al punto che possono essere considerate sentire comune, ossia delle ovvietà. E questo porta ad una seconda constatazione.
Nella società cosiddetta democratica esiste un'ideologia ufficiale, onnipervasiva, imposta al discorso pubblico, che è vietato trasgredire o contraddire, pena l'esclusione dalla stessa vita sociale, la perdita del lavoro, l'umiliazione pubblica. Il generale Vannacci è stato sollevato nel giro di una giornata dall'incarico all'Istituto Geografico Militare, mettendo al suo posto un illustre sconosciuto già collaboratore del governo-fantoccio Monti (che è tutto dire), e sospeso anche da incarichi militari. Ma questo all'inquisizione di regime non basta. Le opposizioni, che da tempo impongono la linea al Paese pur non rappresentando che una netta minoranza e perdendo regolarmente ad ogni verifica elettorale, hanno invocato la sua destituzione e, quando questa è arrivata, non gli è bastata, chiedendo anche gli venissero tolte le onorificenze conquistate sul campo (loro che i gradi se li guadagnano al chiuso di una segreteria di partito, ai piedi di qualche multinazionale o nel segreto di qualche loggia). E sono state puntualmente accontentate da un governo che si dice “patriottico” e “nazionale”. Il generale è stato infatti insultato pubblicamente dal cosiddetto Ministro della Difesa Crosetto come autore di “farneticazioni” da cui ha “preso le distanze”, immagino dopo non averne letto neppure una pagina, data la velocità di reazione. E non è finita. L'ineffabile ministro ha annunciato azioni disciplinari, commentando, da testa assai fine (Prigožin insegna) che “chi indossa la divisa le opinioni se le tiene per sè”. Crosetto, infatti, ha una concezione assai superiore del militare rispetto a Giulio Cesare, Marco Aurelio, Federico il Grande, Napoleone, von Hindenburg, e praticamente chiunque, da qualche secolo avanti Cristo in poi, abbia scritto delle memorie o lasciato traccia letteraria di come la pensasse sul mondo e sugli uomini. Lui li avrebbe degradati e mandati a casa in punizione, Crosetto Magno.
In pratica, siamo ridotti come l'Unione Sovietica degli anni successivi al 1953, quando ai dissidenti veniva tolto tutto ma non li ammazzavano più. Certo, come faranno notare gli acuti leccapiedi di regime, non possiamo certo paragonarci ai regimi stalinisti, fascisti o nazisti: lì se non eri d'accordo ti ammazzavano. Sicuro, cari intellettuali, a loro no. Ma all'Unione Sovietica di Krušev e Brežnev sì: un posto in cui una gerontocrazia eletta da nessuno governa su di un popolo impotente e impossibilitato ad esprimere una qualsiasi idea rilevante sui temi sociali pena la persecuzione, l'ostracismo e, magari, l'esilio interno. Aggiungendoci le forme degradanti del processo a Dreyfus, spogliato delle decorazioni e del grado dopo un processo irregolare. Ma nella Francia repubblicana di centoventi anni fa, almeno, il processo fu rivisto e Dreyfus reintegrato. Oggi abbiamo appena assistito ad una punizione sommaria, per reati d'opinione, di un militare che ha servito con onore lo Stato, decorato e promosso sul campo, senza alcun processo oltre agli schizzi di bile della peggior sinistra mafiosa parlamentare e la viltà degli altri. Un bel progresso davvero, non c'è che dire.
In tutto questo, spicca come un lume la condotta del generale, che in mezzo a questa immonda canaglia e alla persecuzione di cui è stato fatto oggetto ha tenuto alta la testa e difeso la propria dignità rifiutando di piegarsi alle solite ritrattazioni e di strisciare di fronte ai servi di un potere ben più alto (e che, da quanto letto, pare aver anche lui ben identificato nelle sue pagine, altrimenti non si sarebbe meritato anche il canonico “complottista”). Una condotta esemplare, che mostra come non sia lui ad essere indegno della divisa che indossa, ma questo Stato a non meritare affatto di venir difeso e rappresentato da uomini come lui.
Mi resta una semplice domanda, stavolta ai vertici dell'Esercito, che so, in segreto, non proprio supinamente d'accordo con le farneticazioni di Crosetto, Fratojanni e della marmaglia progressista, né con la vigliaccheria delle marionette di maggioranza. Se fino a ieri si poteva dire che i generali non sarebbero intervenuti, di fronte allo sfascio generale italiano, perché avrebbero avuto troppo da perdere, oggi che i vertici dell'Esercito vengono insultati, puniti, cacciati dal posto che si erano meritati con onore, quando arriverà ad un limite anche la vostra pazienza? Sino a quando, per riprendere la famosa citazione ciceroniana, potranno abusare anche di voi? O fa piacere a qualcuno che venga punito, per vie traverse, chi aveva osato rompere il muro di omertà sull'uranio impoverito?
P.S. In tutto questo miserevole spettacolo, c'è stato spazio anche per un momento di leggerezza. Non sapendo chi altri intervistare per raccogliere l'ennesima condanna, alcuni prostituti di regime sono andati a pescare la Pinotti, quella che, anni fa, fu Ministro della Difesa senza aver mai preso in mano neppure una pistola ad acqua. La signora ovviamente ha ripetuto la pappardella sul “comportamento disonorevole” del generale. La Pinotti, capite? Quella che, anni fa, prese per una bandiera nazista lo stendardo di guerra dell'Impero Germanico. Che sarebbe come se Sbirulino criticasse il feldmaresciallo Rommel.
Quousque tandem...