La cosa che trovo stimolante del far parte di questo gruppo, è che su qualsiasi argomento può svilupparsi un dibattito. Non è detto che accada, spesso qualcuno parla semplicemente di ciò di cui ha voglia, ma nessuno raccoglie lo spunto e tutto muore lì. A volte, invece, ad una voce se ne aggiunge un'altra, che può affrontare un tema già introdotto da un altro punto di vista. E la cosa confortante è che, a differenza dei social, ambienti sempre più tossici e dominati da una psicopolizia isterica e ossessionata dall'imposizione del politicamente corretto, qui si può offrire la propria riflessione senza venir coperti di insulti o cancellati e bannati per un mese (salvo complicazioni, che nel mio caso portano il blocco a più mesi quando ancora non è scaduto il primo).
Così il fattaccio dell'omicidio di Giulia Tramontano, trattato in più occasioni su queste pagine, mi ha spinto ad approfittarne per esprimere ciò che avevo da tempo voglia di esprimere, al di là della tragedia capace di scuotere anche i più assuefatti agli spargimenti di sangue per motivi abietti, stavolta per la presenza della vita di un bambino ucciso dal suo stesso padre ancora nel ventre materno.
Naturalmente questa tragedia è stata usata dai soliti sciacalli della disinformazione mainstream per ricamarci le loro prevedibili cantilene sull'emergenza femminicidi, la mascolinità tossica e il patriarcato omicida (e poco ci mancasse che non abbiano tirato in ballo Putin e il riscaldamento climatico), ma si tratta di enormità che meritano davvero una sdegnosa indifferenza. Tuttavia, sull'ultima riflessione di Franco Marino avanzo un'interpretazione differente.
La questione Redpill è una fra quelle che ci vedono su fronti opposti, anche se io sospetto che si tratti di opposizioni non frontali, ma a latere. Da come ne parla, infatti, mi sembra che Franco parli di Repill avendo in mente gli incel, ossia quei disgraziati che, per ragioni di nascita, estetica e carattere risultano particolarmente impopolari presso al gentil sesso e si vedono condannati ad una vita di solitudine. Da cui la denominazione di in-cel, ossia celibatari involontari. La Redpill è altra cosa. La teoria della “Pillola Rossa”, che prende il nome da quella che nel film Matrix, se assunta, farebbe finalmente vedere il mondo come è, e non edulcorato da filtri mendaci e deformanti, sebbene particolarmente accettabile dall'ottica di un incel, è, per quello che ho potuto vederne frequentando gli ambienti, forum di discussione e pagine di divulgazione, solidamente sostenuta su basi empiriche e persino scientifiche, citando in maniera asettica studi sociologici ed esperimenti accademici sulle interazioni fra sessi che mostrano, in soldoni, questa dinamica: le donne occidentali, massimamente negli ultimi decenni, hanno paurosamente sollevato la propria asticella di desiderabilità di un partner, chiedendo livelli, per i più irraggiungibili, delle tre qualità giudicate irrinunciabili per andare a letto con qualcuno: denaro, status sociale (o popolarità), bellezza fisica. Non solo, ma una quota importante di donne pare attratta anche da quella che viene definita “Triade Oscura”, ossia tre aspetti poco rassicuranti del carattere, leggi narcisismo, machiavellismo e psicopatia, i quali, uniti, sembrano comporre non solo il profilo del perfetto criminale, ma anche quello del seduttore. Questa triade favorisce chiaramente individui poco empatici, e anzi singolarmente egoisti, quando non violenti, al punto che per avere una normale vita sessuale conviene più assomigliare ai fratelli Bianchi (quelli del pestaggio con omicidio di Colleferro, che si portavano le ragazze a fare sesso nel locale cimitero) che a William Shakespeare. Purtroppo, anche per esperienza personale, devo dire di aver dovuto verificare l'esattezza della tesi sulla mia stessa pelle, e anche sorvolando sulle storie viste e vissute posso assicurare che, statisticamente parlando (ovviamente ci sono e ci saranno sempre delle eccezioni) le ragazze si sono dimostrate molto più disponibili a concedersi quando ho iniziato a fare lo stronzo (scusate il francesismo) palesemente interessato innanzitutto ad andarci a letto e poco altro, curandomi più dell'abbigliamento e dell'auto sportiva, rispetto prima, quando giravo con fare timido e riservato e porgevo mazzi di rose alla fiamma di turno col cuore che mi batteva all'impazzata, incaponendomi a credere che, con quella “giusta” sarebbe bastato. Non bastò con nessuna, e anzi devo ammettere a malincuore che con il primo atteggiamento ho raccolto successi persino fra quelle che, sotto a tutti i rispetti, potevano essere viste come “brave ragazze”.
Esiste da molto tempo una psicopatologia dell'animo femminile che ha stigmatizzato come un numero impressionante di donne, soprattutto giovani, esteticamente dotate e di non infimo status sociale, si invaghissero di tipi poco raccomandabili, dalla vita di bohémien e, al limite, con la fedina penale sporca. Non è un'invenzione della Redpill che le giornaliste svedesi che scesero in Sicilia per seguire il caso del bandito Giuliano, attorno al '50, si portassero in valigia abbondante biancheria intima sexy in caso di fortunose interviste con il ricercato. Né le cose erano cambiate quando, una ventina d'anni dopo, i terroristi rossi e neri collezionavano come rockstar “ammiratrici” sedotte dalla figura dell'uomo d'azione dalla vita pericolosa.
Col triste caso di Giulia Tramontano le circostanze sono altrettanto disturbanti. Abbiamo qui non una ma due donne (ché a 29 anni si è una donna responsabile delle proprie azioni, non una ragazza in cerca di avventure), esteticamente gradevoli, istruite e di livello sociale non certo infimo, che sono andate dietro per anni, sino al punto di farsi mettere incinta entrambe, e una addirittura uccidere, da quello che non è se non uno psicopatico, abile manipolatore con nessun particolare pregio se non quello, ai loro occhi, di lavorare come barista al prestigioso Hotel Armani. Non so se Impagnatiello avesse chissà quali altri atout che gli donassero chissà quale potere di seduzione sul gentil sesso, dato che sia fisicamente che esteticamente mi pare abbastanza anonimo, ma è sorprendente come sia riuscito in un gioco che, senza voler fare apologia di reato, sembra oggettivamente un capolavoro. Diabolico, ma comunque di livello.
E qui sta il problema. Perché se ho letto e sentito di tutto, a livello interpretativo, sul caso, a nessuno è saltato in mente di analizzare il fatto dal punto di vista delle responsabilità femminili, probabilmente proprio perché di sesso femminile sono le vittime. È un compito rischioso, ma mi sembra doveroso assumerlo. Perché se le due giovani donne, che avevano tutte le carte in regola per selezionare partner uno più decoroso dell'altro, si son fatte prendere al laccio da uno psicopatico assassino, non si può non vedere come c'è un problema a monte, e non solo dal lato dell'omicida. Questo ha commesso il crimine, ma ha trovato un terreno fertile su cui operare il suo disegno manipolatorio e mistificatorio, sino al punto di attirare la povera Giulia nell'ultima, fatale trappola.
Oggi come oggi non tutte le relazioni sbagliate finiscono con un omicidio, e per fortuna: è per questo che i cosiddetti femminicidi non sono statisticamente così preoccupanti, ma bisogna ammettere che le basi dietro a molti di essi sono particolarmente diffuse. Grazie a decenni di sub-cultura femminista le nostre donne, figlie, madri e sorelle, si sentono giustificate nello scegliere partner anche solo sessuali in base a criteri i più svagati possibili e persino al solo piacere di un momento. Grazie ai social, anche la più sgraziata riceve like come se piovesse ad ogni centimetro di cellulite o dita dei piedi mostrate al pubblico, e crede di poter ragionevolmente aspirare a Brad Pitt rifiutando partiti decorosi ma poco "popolari". Personaggi insignificanti sotto a tutti i punti di vista, ma che avevano partecipato al Grande Fratello o si erano laureati tronisti, giravano per le discoteche assediati da orde di ragazze e ragazzine assatanate pronte a strappar loro le mutande in pubblico (non è una metafora, cercate nelle cronache). La nomea di “sfiga” si è così estesa a tutti quegli uomini che, pur essendo intellettualmente dotati, o forse proprio per questo, per un aspetto un po' trasandato, un paio di occhiali poco glamour, spalle troppo spioventi, aria di solitario, idee e passioni da “noioso” (lo studio e la lettura in primis) e magari, peggio di tutto, una dimensione spirituale, divenendo per tantissimi una condanna. Salvo poi, sulla soglia dei quaranta, ritrovarsi agognati dalle stesse che, dopo essere state usate e scartate da qualche dozzina di bellimbusti, si piegano a diverse strategie di sopravvivenza, senza vedere l'umiliante disprezzo di sé insito in questa parabola di vita.
Così il fattaccio dell'omicidio di Giulia Tramontano, trattato in più occasioni su queste pagine, mi ha spinto ad approfittarne per esprimere ciò che avevo da tempo voglia di esprimere, al di là della tragedia capace di scuotere anche i più assuefatti agli spargimenti di sangue per motivi abietti, stavolta per la presenza della vita di un bambino ucciso dal suo stesso padre ancora nel ventre materno.
Naturalmente questa tragedia è stata usata dai soliti sciacalli della disinformazione mainstream per ricamarci le loro prevedibili cantilene sull'emergenza femminicidi, la mascolinità tossica e il patriarcato omicida (e poco ci mancasse che non abbiano tirato in ballo Putin e il riscaldamento climatico), ma si tratta di enormità che meritano davvero una sdegnosa indifferenza. Tuttavia, sull'ultima riflessione di Franco Marino avanzo un'interpretazione differente.
La questione Redpill è una fra quelle che ci vedono su fronti opposti, anche se io sospetto che si tratti di opposizioni non frontali, ma a latere. Da come ne parla, infatti, mi sembra che Franco parli di Repill avendo in mente gli incel, ossia quei disgraziati che, per ragioni di nascita, estetica e carattere risultano particolarmente impopolari presso al gentil sesso e si vedono condannati ad una vita di solitudine. Da cui la denominazione di in-cel, ossia celibatari involontari. La Redpill è altra cosa. La teoria della “Pillola Rossa”, che prende il nome da quella che nel film Matrix, se assunta, farebbe finalmente vedere il mondo come è, e non edulcorato da filtri mendaci e deformanti, sebbene particolarmente accettabile dall'ottica di un incel, è, per quello che ho potuto vederne frequentando gli ambienti, forum di discussione e pagine di divulgazione, solidamente sostenuta su basi empiriche e persino scientifiche, citando in maniera asettica studi sociologici ed esperimenti accademici sulle interazioni fra sessi che mostrano, in soldoni, questa dinamica: le donne occidentali, massimamente negli ultimi decenni, hanno paurosamente sollevato la propria asticella di desiderabilità di un partner, chiedendo livelli, per i più irraggiungibili, delle tre qualità giudicate irrinunciabili per andare a letto con qualcuno: denaro, status sociale (o popolarità), bellezza fisica. Non solo, ma una quota importante di donne pare attratta anche da quella che viene definita “Triade Oscura”, ossia tre aspetti poco rassicuranti del carattere, leggi narcisismo, machiavellismo e psicopatia, i quali, uniti, sembrano comporre non solo il profilo del perfetto criminale, ma anche quello del seduttore. Questa triade favorisce chiaramente individui poco empatici, e anzi singolarmente egoisti, quando non violenti, al punto che per avere una normale vita sessuale conviene più assomigliare ai fratelli Bianchi (quelli del pestaggio con omicidio di Colleferro, che si portavano le ragazze a fare sesso nel locale cimitero) che a William Shakespeare. Purtroppo, anche per esperienza personale, devo dire di aver dovuto verificare l'esattezza della tesi sulla mia stessa pelle, e anche sorvolando sulle storie viste e vissute posso assicurare che, statisticamente parlando (ovviamente ci sono e ci saranno sempre delle eccezioni) le ragazze si sono dimostrate molto più disponibili a concedersi quando ho iniziato a fare lo stronzo (scusate il francesismo) palesemente interessato innanzitutto ad andarci a letto e poco altro, curandomi più dell'abbigliamento e dell'auto sportiva, rispetto prima, quando giravo con fare timido e riservato e porgevo mazzi di rose alla fiamma di turno col cuore che mi batteva all'impazzata, incaponendomi a credere che, con quella “giusta” sarebbe bastato. Non bastò con nessuna, e anzi devo ammettere a malincuore che con il primo atteggiamento ho raccolto successi persino fra quelle che, sotto a tutti i rispetti, potevano essere viste come “brave ragazze”.
Esiste da molto tempo una psicopatologia dell'animo femminile che ha stigmatizzato come un numero impressionante di donne, soprattutto giovani, esteticamente dotate e di non infimo status sociale, si invaghissero di tipi poco raccomandabili, dalla vita di bohémien e, al limite, con la fedina penale sporca. Non è un'invenzione della Redpill che le giornaliste svedesi che scesero in Sicilia per seguire il caso del bandito Giuliano, attorno al '50, si portassero in valigia abbondante biancheria intima sexy in caso di fortunose interviste con il ricercato. Né le cose erano cambiate quando, una ventina d'anni dopo, i terroristi rossi e neri collezionavano come rockstar “ammiratrici” sedotte dalla figura dell'uomo d'azione dalla vita pericolosa.
Col triste caso di Giulia Tramontano le circostanze sono altrettanto disturbanti. Abbiamo qui non una ma due donne (ché a 29 anni si è una donna responsabile delle proprie azioni, non una ragazza in cerca di avventure), esteticamente gradevoli, istruite e di livello sociale non certo infimo, che sono andate dietro per anni, sino al punto di farsi mettere incinta entrambe, e una addirittura uccidere, da quello che non è se non uno psicopatico, abile manipolatore con nessun particolare pregio se non quello, ai loro occhi, di lavorare come barista al prestigioso Hotel Armani. Non so se Impagnatiello avesse chissà quali altri atout che gli donassero chissà quale potere di seduzione sul gentil sesso, dato che sia fisicamente che esteticamente mi pare abbastanza anonimo, ma è sorprendente come sia riuscito in un gioco che, senza voler fare apologia di reato, sembra oggettivamente un capolavoro. Diabolico, ma comunque di livello.
E qui sta il problema. Perché se ho letto e sentito di tutto, a livello interpretativo, sul caso, a nessuno è saltato in mente di analizzare il fatto dal punto di vista delle responsabilità femminili, probabilmente proprio perché di sesso femminile sono le vittime. È un compito rischioso, ma mi sembra doveroso assumerlo. Perché se le due giovani donne, che avevano tutte le carte in regola per selezionare partner uno più decoroso dell'altro, si son fatte prendere al laccio da uno psicopatico assassino, non si può non vedere come c'è un problema a monte, e non solo dal lato dell'omicida. Questo ha commesso il crimine, ma ha trovato un terreno fertile su cui operare il suo disegno manipolatorio e mistificatorio, sino al punto di attirare la povera Giulia nell'ultima, fatale trappola.
Oggi come oggi non tutte le relazioni sbagliate finiscono con un omicidio, e per fortuna: è per questo che i cosiddetti femminicidi non sono statisticamente così preoccupanti, ma bisogna ammettere che le basi dietro a molti di essi sono particolarmente diffuse. Grazie a decenni di sub-cultura femminista le nostre donne, figlie, madri e sorelle, si sentono giustificate nello scegliere partner anche solo sessuali in base a criteri i più svagati possibili e persino al solo piacere di un momento. Grazie ai social, anche la più sgraziata riceve like come se piovesse ad ogni centimetro di cellulite o dita dei piedi mostrate al pubblico, e crede di poter ragionevolmente aspirare a Brad Pitt rifiutando partiti decorosi ma poco "popolari". Personaggi insignificanti sotto a tutti i punti di vista, ma che avevano partecipato al Grande Fratello o si erano laureati tronisti, giravano per le discoteche assediati da orde di ragazze e ragazzine assatanate pronte a strappar loro le mutande in pubblico (non è una metafora, cercate nelle cronache). La nomea di “sfiga” si è così estesa a tutti quegli uomini che, pur essendo intellettualmente dotati, o forse proprio per questo, per un aspetto un po' trasandato, un paio di occhiali poco glamour, spalle troppo spioventi, aria di solitario, idee e passioni da “noioso” (lo studio e la lettura in primis) e magari, peggio di tutto, una dimensione spirituale, divenendo per tantissimi una condanna. Salvo poi, sulla soglia dei quaranta, ritrovarsi agognati dalle stesse che, dopo essere state usate e scartate da qualche dozzina di bellimbusti, si piegano a diverse strategie di sopravvivenza, senza vedere l'umiliante disprezzo di sé insito in questa parabola di vita.
Ecco, se c'è qualcosa di tossico da cui salvare le nostre donne, questa è il lavaggio del cervello ormai generale che le ha ridotte a poco più che marionette dell'ideologia dominante. Non è l'educazione sentimentale che manca, ma l'educazione
tout court. Intesa non come galateo, ma come formazione intima e personale che nasca dall'esempio dei genitori e venga sostenuta da quello della scuola e dei mezzi di comunicazione. Finché i modelli di prostituzione e prostitute (virtuali o meno) vengono promossi come esempi magnificandone i lauti compensi (mendaci anche in questo, ma è un discorso che affronterò altrove), finché uomini vuoti, balordi ben azzimati e serpenti a sonagli griffati saranno proposti come l'ideale per una notte di sesso e trofei da esibire con le amiche, non potremo sperare di non vedere ragazze e donne trattate come bambole gonfiabili, con lo stesso rispetto e riguardo che con una bambola gonfiabile si può avere. Le donne hanno bisogno di vedersi insegnato il rispetto di sé, per poi pretenderlo dagli uomini. Il femminismo, che era nato proprio per affermare questo rispetto, è ormai il primo canale con cui si inocula lo svilimento della donna, ridotta a unità lavorativa e ninfomane a tempo perso, mentre il ruolo di madre ed educatrice è ormai calunniato e relegato alle usanze medievali. Certo, vedendo blasonati quotidiani esaltare come imprenditrici di sé stesse quelle sgualdrinelle che su Onlyfans si infilano falli di gomma negli orifizi o si fanno montare da un iscritto al loro canale ogni mese per poi ricevere i 5€ a visualizzazione da un pubblico di onanisti, è giocoforza rivalutare anche le usanze medievali, primo fra tutti il rogo (della carta stampata e anche dell'autore). Ma fino a che non capiremo che la cosiddetta modernità è ormai divenuta l'incubo peggiore in cui l'umanità si trova invischiata dall'inizio della civiltà, continueremo a sentire gente che usa “medievale” come impropero mentre vive l'abominio come normalità.