Il Big Bang della finanza globale sta arrivando? Non voglio fare il profeta, anche perché furono sin troppi quelli a dichiarare, frettolosamente, che il fallimento della Lehman Brothers nel 2008 fosse “Il crollo del muro di Berlino del capitalismo”. Il capitalismo finanziario, come abbiamo visto, ha mille vite e capacità di riadattamento enormi, altrimenti non sarebbe riemerso dopo pochi mesi vivo, vegeto, e a rifare le stesse porcate di prima. Se non pure peggio.
Però, però... è anni che sento parlare, da amici e conoscenti che lavorano nel mondo delle banche e della finanza, delle magagne enormi nascoste nei bilanci della principale banca d'Europa, la Deutsche Bank. Magagne di proporzioni stratosferiche, se pensiamo che siamo stati per anni dietro al debito greco e allo spread italiano come se potessero essere minacce letali per l'economia europea, mentre i problemi dietro al blasonato istituto di credito tedesco superano di molti multipli il PIL di tutta la Germania (che è anche il quarto o quinto al mondo, a seconda di come lo si calcoli). Ma andiamo con ordine.
Nel mio scorso articolo accennavo alla gestione assai poco oculata del patrimonio bancario da parte di una dirigenza che, di fronte alle catastrofi da essa causate, cadeva dalle nuvole. E citavo il caso di Unicredit, la banca che, con la crisi dei Subprime, si era rivelata quella più esposta, in Italia, nell'acquisto di titoli tossici statunitensi. In realtà non era neppure il caso peggiore, perché in quegli stessi anni la Deutsche Bank era riuscita a fare molto peggio. Nel primo decennio del secolo, infatti, il proliferare di derivati e titoli di debito legati al boom immobiliare soprattutto nordamericano non solo non era stato avversato dal mondo della finanza europeo, che si vanta tutt'ora di avere tradizioni e abitudini più solide, ma era stato accolto come la nuova imperdibile moda. Come esplicitò candidamente l'AD di una delle principali banche americane, “Lo sappiamo che prima o poi il party finirà. Ma l'unica cosa che possiamo fare è ballare finché dura la musica”. Ballare, ossia far ballare il denaro ricevuto dalla clientela e inventato dal nulla con macchinazioni finanziarie il cui funzionamento non è poi stato ben chiaro a nessuno eccetto un pugno di tecnici, e anche a loro con l'ausilio di un programma ed un computer. Così tutte le banche di questo mondo, almeno di quello che si definisce democratico e all'avanguardia, si riempirono di titoli che, dopo qualche anno, erano pura carta straccia in quanto le case su cui fondavano il proprio valore erano finite tutte all'asta a due o tre dollari (esagero, ma mica tanto). La Deutsche Bank era una di queste. E aveva fatto un incetta talmente colossale di questi titoli, che dichiararli al loro valore reale, ossia zero, non sarebbe stato più possibile. Non solo perché l'azzeramento si sarebbe portato via il valore stesso della banca, ma perché, per il gioco perverso e che ci hanno spacciato come bellissimo dal nome di “globalizzazione”, era ormai legata da una rete così fitta di collegamento con le banche del resto di Germania e d'Europa, che una sua bancarotta sarebbe divenuta automaticamente quella dell'intero sistema-paese. E di tutto quello che dal made in Germany dipendeva (e dipende). Chiaro che nessun governo tedesco né la Bundesbank avrebbero potuto accettare una soluzione simile. Il problema però è che non avevano neppure i mezzi per un qualsiasi tipo di salvataggio. Né li hanno ora.
Il peso specifico dei titoli tossici, ossia della carta straccia, che sino ad oggi ha fatto parte integrante del bilancio DB è stato stimato in oltre cinquantamila MILIARDI di euro. E, tanto per far capire le proporzioni, il PIL tedesco si aggira, anno su anno, attorno ai cinquemila miliardi. Quindi, qualcosa come dieci volte tutto il prodotto interno lordo della Germania. È chiaro anche ad un profano che nessun governo tedesco sarebbe mai in grado di tappare un buco del genere, né avrebbe senso pensarci: nessuno sano di mente sacrificherebbe dieci volte la ricchezza materiale di un paese come la Germania per tenere in vita i bilanci di una banca. Eppure i grandi banchieri hanno ragionato sinora in questi termini, calcolando persino quanto sarebbe costato ai correntisti tedeschi (tutti, non solo quelli DB) il salvataggio della prima banca del Paese.
Quindi, la soluzione è stata quella di non cercare soluzioni. Si è fatto finta di niente, facendo finta che il valore e il bilancio della Deutsche Bank fossero quelli nominali, e che quindi quella massa di titoli che nessuno al mondo si sognerebbe mai di comprare valgano in effetti al prezzo a cui sono stati acquistati ormai quindici e più anni fa. Non è una strategia particolarmente intelligente, ma bisogna ammettere che, in una situazione così potenzialmente catastrofica, non vi fossero molte altre alternative. Alla fine dei conti, è l'intero sistema finanziario che si regge sulla finzione di considerare esistenti i soldi che le banche prestano ai propri clienti. La stessa cosa vale per i titoli derivati, che sono tipicamente acquistabili e vendibili impegnando solo una percentuale minima del valore totale.
Questo però vale solo se i nodi non vengono al pettine. E per quanto si giochi a procrastinare, i nodi hanno l'antipatica tendenza ad arrivare, comunque, presto o tardi, proprio al pettine. Che, in questo caso, rischia di essere micidiale.
Come detto, la quantità di carta straccia da cancellare dal bilancio della Deutsche Bank è superiore di dieci volte tanto al PIL di tutta la Germania. Siccome la DB non è stata certo l'unica banca al mondo a fare quel tipo di investimenti, il suo tracollo porterebbe ad innescare un effetto domino sulle altre banche tedesche che hanno gli stessi problemi. Sarebbe la fine del sistema creditizio tedesco. E non solo. Perché abbiamo appena visto come la Credit Suisse avesse problemi assai simili, che l'hanno portata a venire acquistata per pochi soldi dal suo maggior concorrente. Parliamo quindi di tedeschi e svizzeri, ossia l'esempio universale della trasparenza, della correttezza, della precisione e dell'efficienza. Figuriamoci gli altri, allora.
Come ben sappiamo, l'Unione Europea è stata modellata e concepita in funzione della Germania e dei suoi interessi. E così l'Euro: o forse qualcuno penserà che la sede della Banca Centrale Europea stia a Francoforte per caso. Una coincidenza piuttosto fortunata, se così fosse. La Francia è riuscita a strappare condizioni migliori, tant'è che le politiche UE sono strettamente funzionali a quello che Francia e Germania decidono nei bilaterali che siamo soliti vedere, e non per altro il Regno Unito è uscito da una gabbia che non prevedeva la tutela anche degli interessi britannici. Se cadono le banche tedesche, cade l'Euro. Se cade l'Euro, cade l'Unione Europea. Non ci vogliono grosse analisi e blasonati analisti per rendersi conto che, così come l'UE oggi esiste, questo è quello che ci aspetterebbe da un collasso del sistema finanziario tedesco. Il problema maggiore sarebbe cosa succederebbe a noi. Perché se è vero che l'Italia ha sempre avuto grosse capacità di arrangiarsi, è anche vero che, dagli anni '80 ad oggi, quei mezzi, ossia l'intero apparato industriale e produttivo, ci sono venuti a mancare. Grazie alle politiche suicide e da rapina messe in atto da chi, oggi in larga parte dietro all'identità del cosiddetto partito “Democratico”, ci ha privati della spina dorsale della nostra economia riducendoci a zerbino d'Europa in cui, al massimo, passare le vacanze, abbiamo perso quelle grandi imprese che hanno tutte trasferito baracca e burattini all'estero, mentre le piccole, non potendo fare altrettanto, stanno finendo di chiudere bottega ora, grazie prima alle lungimiranti misure anti-pandemia, poi con le altrettanto lungimiranti sanzioni alla Russia per fare un piacere ai padroni e occupanti. Perché se è vero che, nel 1945, abbiamo perso una guerra mondiale, è anche vero che il prezzo non ce lo hanno fatto pagare subito, ma il conto è comunque arrivato, e lo abbiamo pagato negli ultimi trent'anni.
So che i profeti di sventura hanno sempre abbondato, e sempre, dopo pur difficili crisi, la vita è ripresa e l'economia di stampo capitalista si è risollevata. Ma non lo presenterei come un successo in sé, dato che il prezzo per salvare un sistema che predica l'egoismo e la legge della giungla è sempre stato pagato da quelli su cui tale sistema si è pulito le scarpe, dopo avergli succhiato il sangue. Infatti dalla Grande Depressione gli USA sono usciti solo dopo tredici anni, e grazie ad una guerra mondiale da cinquanta milioni di morti. Ora chi dovrebbe pagare il conto?
Altra obiezione è quella di chi fa presente che, oggi come in altre crisi passate, valga la regola del “Too big to fail”. Se la Deutsche Bank è troppo grossa per fallire, così lo è la Germania, e pur di evitare lo scenario più catastrofico tutti, al mondo, si impegnerebbero per uscirne con un atterraggio morbido. Sarebbe vero, se in quel “tutti” fossero presenti anche le prime economie del pianeta. E si dà il caso che una di queste, quella russa, è attualmente sotto attacco proprio dall'asse euroatlantico. La Cina, che è invece la prima, sostiene la Russia. Ma la Cina è anche il primo detentore al mondo di titoli di Stato americani. Un collasso finanziario tedesco sarebbe anche un collasso occidentale, e i cinesi non potrebbero accettare di perdere tutti quei soldi che hanno in riserva. O no?
Se i cinesi ragionassero come i banchieri di Londra, Francoforte e Wall Street, magari sarebbe così. Ma la Cina non è governata da banchieri. I cinesi potrebbero invece trovare conveniente sacrificare quella parte di riserve valutarie in euro e dollari, che sono comunque solo cartamoneta virtuale, contando sul fatto che la loro vera forza economica, quella materiale delle fabbriche, della tecnologia, della conoscenza e della forza lavoro, rimarrebbe intatta, mentre all'Occidente, senza la moneta, non rimarrebbe granché. Un segnale di come la Cina abbia deciso di sganciarsi dalla moneta, e dalle finanze occidentali, è nel fatto che gli scambi di materie prime con la Russia vengono già da ora negoziati sul cambio rublo/yuan. E non è il solo caso al mondo. Sarebbe assai bizzarro se la Cina decidesse di mollare il proprio principale alleato e fornitore di materie prime rimanendo poi da sola a fronteggiare i propri avversari geopolitici principali, ossia gli USA, solo per mantenere valida una cifra stampata sugli schermi.
Però, però... è anni che sento parlare, da amici e conoscenti che lavorano nel mondo delle banche e della finanza, delle magagne enormi nascoste nei bilanci della principale banca d'Europa, la Deutsche Bank. Magagne di proporzioni stratosferiche, se pensiamo che siamo stati per anni dietro al debito greco e allo spread italiano come se potessero essere minacce letali per l'economia europea, mentre i problemi dietro al blasonato istituto di credito tedesco superano di molti multipli il PIL di tutta la Germania (che è anche il quarto o quinto al mondo, a seconda di come lo si calcoli). Ma andiamo con ordine.
Nel mio scorso articolo accennavo alla gestione assai poco oculata del patrimonio bancario da parte di una dirigenza che, di fronte alle catastrofi da essa causate, cadeva dalle nuvole. E citavo il caso di Unicredit, la banca che, con la crisi dei Subprime, si era rivelata quella più esposta, in Italia, nell'acquisto di titoli tossici statunitensi. In realtà non era neppure il caso peggiore, perché in quegli stessi anni la Deutsche Bank era riuscita a fare molto peggio. Nel primo decennio del secolo, infatti, il proliferare di derivati e titoli di debito legati al boom immobiliare soprattutto nordamericano non solo non era stato avversato dal mondo della finanza europeo, che si vanta tutt'ora di avere tradizioni e abitudini più solide, ma era stato accolto come la nuova imperdibile moda. Come esplicitò candidamente l'AD di una delle principali banche americane, “Lo sappiamo che prima o poi il party finirà. Ma l'unica cosa che possiamo fare è ballare finché dura la musica”. Ballare, ossia far ballare il denaro ricevuto dalla clientela e inventato dal nulla con macchinazioni finanziarie il cui funzionamento non è poi stato ben chiaro a nessuno eccetto un pugno di tecnici, e anche a loro con l'ausilio di un programma ed un computer. Così tutte le banche di questo mondo, almeno di quello che si definisce democratico e all'avanguardia, si riempirono di titoli che, dopo qualche anno, erano pura carta straccia in quanto le case su cui fondavano il proprio valore erano finite tutte all'asta a due o tre dollari (esagero, ma mica tanto). La Deutsche Bank era una di queste. E aveva fatto un incetta talmente colossale di questi titoli, che dichiararli al loro valore reale, ossia zero, non sarebbe stato più possibile. Non solo perché l'azzeramento si sarebbe portato via il valore stesso della banca, ma perché, per il gioco perverso e che ci hanno spacciato come bellissimo dal nome di “globalizzazione”, era ormai legata da una rete così fitta di collegamento con le banche del resto di Germania e d'Europa, che una sua bancarotta sarebbe divenuta automaticamente quella dell'intero sistema-paese. E di tutto quello che dal made in Germany dipendeva (e dipende). Chiaro che nessun governo tedesco né la Bundesbank avrebbero potuto accettare una soluzione simile. Il problema però è che non avevano neppure i mezzi per un qualsiasi tipo di salvataggio. Né li hanno ora.
Il peso specifico dei titoli tossici, ossia della carta straccia, che sino ad oggi ha fatto parte integrante del bilancio DB è stato stimato in oltre cinquantamila MILIARDI di euro. E, tanto per far capire le proporzioni, il PIL tedesco si aggira, anno su anno, attorno ai cinquemila miliardi. Quindi, qualcosa come dieci volte tutto il prodotto interno lordo della Germania. È chiaro anche ad un profano che nessun governo tedesco sarebbe mai in grado di tappare un buco del genere, né avrebbe senso pensarci: nessuno sano di mente sacrificherebbe dieci volte la ricchezza materiale di un paese come la Germania per tenere in vita i bilanci di una banca. Eppure i grandi banchieri hanno ragionato sinora in questi termini, calcolando persino quanto sarebbe costato ai correntisti tedeschi (tutti, non solo quelli DB) il salvataggio della prima banca del Paese.
Quindi, la soluzione è stata quella di non cercare soluzioni. Si è fatto finta di niente, facendo finta che il valore e il bilancio della Deutsche Bank fossero quelli nominali, e che quindi quella massa di titoli che nessuno al mondo si sognerebbe mai di comprare valgano in effetti al prezzo a cui sono stati acquistati ormai quindici e più anni fa. Non è una strategia particolarmente intelligente, ma bisogna ammettere che, in una situazione così potenzialmente catastrofica, non vi fossero molte altre alternative. Alla fine dei conti, è l'intero sistema finanziario che si regge sulla finzione di considerare esistenti i soldi che le banche prestano ai propri clienti. La stessa cosa vale per i titoli derivati, che sono tipicamente acquistabili e vendibili impegnando solo una percentuale minima del valore totale.
Questo però vale solo se i nodi non vengono al pettine. E per quanto si giochi a procrastinare, i nodi hanno l'antipatica tendenza ad arrivare, comunque, presto o tardi, proprio al pettine. Che, in questo caso, rischia di essere micidiale.
Come detto, la quantità di carta straccia da cancellare dal bilancio della Deutsche Bank è superiore di dieci volte tanto al PIL di tutta la Germania. Siccome la DB non è stata certo l'unica banca al mondo a fare quel tipo di investimenti, il suo tracollo porterebbe ad innescare un effetto domino sulle altre banche tedesche che hanno gli stessi problemi. Sarebbe la fine del sistema creditizio tedesco. E non solo. Perché abbiamo appena visto come la Credit Suisse avesse problemi assai simili, che l'hanno portata a venire acquistata per pochi soldi dal suo maggior concorrente. Parliamo quindi di tedeschi e svizzeri, ossia l'esempio universale della trasparenza, della correttezza, della precisione e dell'efficienza. Figuriamoci gli altri, allora.
Come ben sappiamo, l'Unione Europea è stata modellata e concepita in funzione della Germania e dei suoi interessi. E così l'Euro: o forse qualcuno penserà che la sede della Banca Centrale Europea stia a Francoforte per caso. Una coincidenza piuttosto fortunata, se così fosse. La Francia è riuscita a strappare condizioni migliori, tant'è che le politiche UE sono strettamente funzionali a quello che Francia e Germania decidono nei bilaterali che siamo soliti vedere, e non per altro il Regno Unito è uscito da una gabbia che non prevedeva la tutela anche degli interessi britannici. Se cadono le banche tedesche, cade l'Euro. Se cade l'Euro, cade l'Unione Europea. Non ci vogliono grosse analisi e blasonati analisti per rendersi conto che, così come l'UE oggi esiste, questo è quello che ci aspetterebbe da un collasso del sistema finanziario tedesco. Il problema maggiore sarebbe cosa succederebbe a noi. Perché se è vero che l'Italia ha sempre avuto grosse capacità di arrangiarsi, è anche vero che, dagli anni '80 ad oggi, quei mezzi, ossia l'intero apparato industriale e produttivo, ci sono venuti a mancare. Grazie alle politiche suicide e da rapina messe in atto da chi, oggi in larga parte dietro all'identità del cosiddetto partito “Democratico”, ci ha privati della spina dorsale della nostra economia riducendoci a zerbino d'Europa in cui, al massimo, passare le vacanze, abbiamo perso quelle grandi imprese che hanno tutte trasferito baracca e burattini all'estero, mentre le piccole, non potendo fare altrettanto, stanno finendo di chiudere bottega ora, grazie prima alle lungimiranti misure anti-pandemia, poi con le altrettanto lungimiranti sanzioni alla Russia per fare un piacere ai padroni e occupanti. Perché se è vero che, nel 1945, abbiamo perso una guerra mondiale, è anche vero che il prezzo non ce lo hanno fatto pagare subito, ma il conto è comunque arrivato, e lo abbiamo pagato negli ultimi trent'anni.
So che i profeti di sventura hanno sempre abbondato, e sempre, dopo pur difficili crisi, la vita è ripresa e l'economia di stampo capitalista si è risollevata. Ma non lo presenterei come un successo in sé, dato che il prezzo per salvare un sistema che predica l'egoismo e la legge della giungla è sempre stato pagato da quelli su cui tale sistema si è pulito le scarpe, dopo avergli succhiato il sangue. Infatti dalla Grande Depressione gli USA sono usciti solo dopo tredici anni, e grazie ad una guerra mondiale da cinquanta milioni di morti. Ora chi dovrebbe pagare il conto?
Altra obiezione è quella di chi fa presente che, oggi come in altre crisi passate, valga la regola del “Too big to fail”. Se la Deutsche Bank è troppo grossa per fallire, così lo è la Germania, e pur di evitare lo scenario più catastrofico tutti, al mondo, si impegnerebbero per uscirne con un atterraggio morbido. Sarebbe vero, se in quel “tutti” fossero presenti anche le prime economie del pianeta. E si dà il caso che una di queste, quella russa, è attualmente sotto attacco proprio dall'asse euroatlantico. La Cina, che è invece la prima, sostiene la Russia. Ma la Cina è anche il primo detentore al mondo di titoli di Stato americani. Un collasso finanziario tedesco sarebbe anche un collasso occidentale, e i cinesi non potrebbero accettare di perdere tutti quei soldi che hanno in riserva. O no?
Se i cinesi ragionassero come i banchieri di Londra, Francoforte e Wall Street, magari sarebbe così. Ma la Cina non è governata da banchieri. I cinesi potrebbero invece trovare conveniente sacrificare quella parte di riserve valutarie in euro e dollari, che sono comunque solo cartamoneta virtuale, contando sul fatto che la loro vera forza economica, quella materiale delle fabbriche, della tecnologia, della conoscenza e della forza lavoro, rimarrebbe intatta, mentre all'Occidente, senza la moneta, non rimarrebbe granché. Un segnale di come la Cina abbia deciso di sganciarsi dalla moneta, e dalle finanze occidentali, è nel fatto che gli scambi di materie prime con la Russia vengono già da ora negoziati sul cambio rublo/yuan. E non è il solo caso al mondo. Sarebbe assai bizzarro se la Cina decidesse di mollare il proprio principale alleato e fornitore di materie prime rimanendo poi da sola a fronteggiare i propri avversari geopolitici principali, ossia gli USA, solo per mantenere valida una cifra stampata sugli schermi.
Ancora una volta si torna a ragionare in termini geopolitici, quindi. E anche se questa crisi dovesse rientrare, non rientreranno le ragioni che la terranno viva anche in futuro.
Sembra che l'immenso sistema finanziario globale sia come un castello di carte che poggi su fondamenta di gelatina. E questa gelatina sta iniziando a tremare un po' dappertutto.