Non la faccio troppo lunga: sappiamo un po' tutti in cosa consisteva il colonialismo ottocentesco. Il “fardello dell'Uomo Bianco”, la conquista diretta da parte delle principali potenze europee, seguite poi da Stati Uniti e Giappone, di vasti imperi coloniali in Africa, Asia e Oceania. Territori già abitati da popolazioni sottoposte al dominio di funzionari scelti tutti oltremare, e nel diretto interesse di nazioni straniere. Le quali, però, se sfruttavano le risorse naturali e la forza lavoro locale a proprio vantaggio, per farne fonte di materie prime e mercati di smercio di propri prodotti finiti, si impegnavano anche in importanti investimenti nella costruzione di porti, reti stradali e ferroviarie, impianti industriali, e imponendo il propri codici civili e penali che, nella maggior parte dei casi, non erano certo peggiori della legge del taglione in uso a livello tribale. Anche perché, a livello di opinioni pubbliche (già esistenti e non più ignorabili dai governi europei), non era concepibile che non venissero diffusi anche i benefici della civiltà occidentale, oltre all'aspetto dello sfruttamento economico: e quindi viabilità, sanità ed istruzione, di cui usufruivano anche i locali.

Tutt'altra storia, invece, col neocolonialismo. Con la fine del dominio diretto europeo, a tutelare gli interessi economici delle multinazionali occidentali ci pensarono da sé queste stesse, comprandosi interi governi, meglio ancora se dittatoriali, così da non avere nemmeno il problema di rinegoziare tutto daccapo ad ogni elezione democratica, e, non avendo più nemmeno il problema di rendere conto ad un'opinione pubblica, potendosi concentrare solo sull'aspetto dello sfruttamento economico. Che significava lo spolpare le varie economie indigene appoggiandosi su una qualche autocrazia, senza badare a spese né al numero di cadaveri necessari a tenere buoni i recalcitranti. Se le cose proprio si complicavano, allora si favorivano interminabili guerre civili che paralizzassero la formazione di governi autonomi che rispondessero agli interessi nazionali, e, solo in casi estremi, all'intervento diretto degli eserciti dei propri governi europei o nordamericani, sempre in nome della libertà e democrazia ma in realtà per fini molto più materiali (vedi la crisi di Suez del 1956, le due guerre del Golfo, l'Afghanistan).


Questa, in soldoni, la storia del triste apporto della modernità alle lande extraeuropee. Ma negli ultimi anni si è assistito ad alcuni segnali che fanno pensare ad un salto di qualità. Intanto, l'Ucraina. Nel governo formatosi dopo il colpo di Stato dell'Euromaidan, si è visto il coinvolgimento diretto e palese dei governi occidentali. Prima quando, già durante le sommosse nel centro di Kiev, un senatore repubblicano USA, John McCain, e diversi europarlamentari, si esibirono in arringhe incitando pubblicamente i “manifestanti” a proseguire l'opposizione violenta al governo in carica. La stampa igienica occidentale, in specie italiana, non ha mai dato molto spazio al significato di quest'evento, che è, invece, semplicemente inaudito: immaginate cosa sarebbe accaduto se dei deputati russi alla Duma fossero stati presenti durante i disordini al Congresso di due anni fa, incitando vigorosamente i manifestanti a forzare i blocchi e assaltare i palazzi del potere... invece la cosa è successa a Kiev, e questo mentre era in carica un governo eletto in elezioni riconosciute sia da tutti i paesi europei che da Washington, eppure nessuno ha battuto ciglio, esattamente come se si fosse tornati ai tempi delle cannoniere e le potenze coloniali potessero permettersi di mandare in giro provocatori mascherati da idealisti per sovvertire governi stranieri.

In seguito si è visto anche di peggio. Nel governo formatosi dopo la caduta di Yanukovich, furono presenti ben due ministri con passaporto, e nazionalità, straniere. Ossia un lituano e una cittadina statunitense. Mi sono sentito come se si fosse tornati alla formula del protettorato, quando europei e americani spedivano nei territori posti sotto tutela i propri funzionari, senza una chiara idea della vita e della natura del paese, spesso senza neppure parlarne la lingua, ma con la chiara ed esplicita funzione di manovrarne la politica nell'interesse dei propri stati di provenienza. Era almeno dal crollo degli imperi coloniali che non si vedeva una situazione simile, e stavolta nel cuore stesso dell'Europa, eppure non un giornale della tanto decantata stampa libera occidentale ha notato l'oscenità della situazione, e tutto è proseguito come se questa fosse la più logica e banale normalità. Sempre per fare esempi, sarebbe come se l'Italia, che è comunque già palesemente uno Stato-fantoccio governato da marionette totalmente supine ad interessi economici transnazionali, gettasse anche gli ultimi veli di pudore e si ritrovasse ministri, o anche un Presidente del Consiglio di nazionalità e con passaporto straniero.

L'esempio, purtroppo, ha cessato di essere del tutto teorico dopo l'ultimo congresso del PD. Qui, a supremo sfregio proprio delle ultime barriere alla decenza, si è assistito all'elezione di una signora nata all'estero, con due passaporti di stati persino estranei all'Unione Europea, ossia Svizzera e Stati Uniti, e con un passato personale e familiare che porrebbero più di un dubbio a chi volesse pensare che sia la persona adatta a tutelare esclusivamente gli interessi nazionali italiani. Nel caso in cui questa persona dovesse giungere a Palazzo Chigi, caso non tanto peregrino, se si considera l'abilità quasi demoniaca con cui il suo partito, generalmente maltrattato dagli elettori nelle urne, riesca poi a infiltrarsi in governi privi di giustificazione elettorale condizionandone la forma, ebbene, in questo caso ci ritroveremmo per la prima volta nella storia italiana dall'unità un capo del governo legato strettamente ad entità statali che, per natura, posizione geografica o obbiettivi politico-economici, avrebbero molto facilmente interessi in diretto contrasto con quelli italiani.

Chi è disposto a scommettere che la signora deciderebbe nell'esclusivo interesse nazionale italiano?


Certo, viste le uscite servilmente euroatlantiche dell'attuale premier, che sembrano uscite direttamente dall'agenda di Mario Quisling, non è che rischieremmo poi chissà cosa in peggio.
Sarebbe solo l'ennesimo gradino, uno in più, nella graduale discesa agli inferi che ci ha portati, in esattamente trent'anni, dall'essere quarta potenza economica mondiale, a prossimo protettorato neo-coloniale in Europa. E senza nemmeno la scusa che c'è Putin che ci invade. Tanto le basi militari straniere in casa nostra ce le abbiamo già.​

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