Si è fatto un gran parlare sull'ennesima riunione dei grandi (veri o sedicenti tali) del mondo aventi ad oggetto l'Ucraina, e la sua eco sta durando singolarmente tanto anche perché amplificato da alcune appendici, come i viaggi di Biden a Kiev e l'analoga gita con cui la nostra cosiddetta premier andrà a ripetere quello che tutti già sanno. I motivi di tanta enfasi sono più d'uno, ma in sostanza possono ridursi a due principali.
Uno è simbolico: ci avviciniamo ad un anno da che l'Operazione Militare Speciale è iniziata, e i capi di Stato occidentali non possono lasciarlo passare senza cercare di dar l'impressione di star facendo qualcosa per quello che è diventato il proprio fantoccio che prende gli schiaffi nella guerra per procura dichiarata da motli anni alla Russia. Dico “dar l'impressione”, perché nulla è stato fatto né deciso in quel consesso, al netto della retorica, degli annunci e dei richiami agli alti ideali di libertà, democrazia e fratellanza eterna ad un popolo che sino a pochi anni fa non era degnato neppure della metà delle attenzioni prestate all'Islanda, che con duecentomila abitanti era corteggiata con persino la garanzia di una corsia preferenziale per l'ingresso nell'UE (proposte a cui gli islandesi hanno replicato con uno sdegnoso rifiuto). L'Ucraina, con quarantadue milioni di abitanti, era trattata come un rottame sovietico, estremamente corrotto e che avrebbe inghiottito cifre spaventose solo per rimetterla in sesto, ed era bloccata nell'usuale vicolo cieco dei negoziati per l'ingresso che, come per la Turchia, sarebbero stati tirati per le lunghe ad libitum, anche per decenni, a seconda degli interessi finanziari in ballo. Dopo il 24 febbraio 2022, al contrario, sembra che si sia aperta una linea di credito illimitata per lo stesso Paese, costituita essenzialmente in armi o in finanziamenti per l'acquisto di armi, senza il pudore che sembrava bloccare i cordoni della borsa prima di quella data, cosa che avrebbe dovuto far sorgere negli infiniti commentatori a gettone della stampa igienica di regime il legittimo dubbio sul perché si è così prodighi in guerra di quei denari che sarebbe stato più fruttuoso spendere in pace. Ma è una domanda che nessuno verrà mai sentito porre sui canali ufficiali. Tornando a noi, c'era disperato bisogno di far vedere alla platea degli elettori che i regimi occidentali si stanno impegnando in modo netto e soprattutto decisivo in un conflitto in cui, invece, a morire sono gli ucraini, mentre il loro Paese viene raso al suolo e non un solo cittadino del sedicente Mondo Libero (eccettuato un pugno di mercenari) ha sacrificato più di un bel po' di euro alla pompa di benzina o per la bolletta del gas o della luce. Un impegno che, sul terreno, non ha spostato nulla, soprattutto nei giorni in cui l'avanzata russa in Donbass e persino nella regione di Kharkov è ripresa senza che le superarmate e addestrate forze ucraine possano pensare di respingerla. E quindi, via di annunci su prossime e decisive consegne di armi decisive, già annunciate e fatte almeno una volta al mese nei dodici passati, senza che queste abbiano mostrato capacità tanto sensibili esattamente come le Wunderwaffen da cui la propaganda hitleriana prometteva, con Berlino quasi sotto assedio dall'Armata Rossa, il rovesciamento delle sorti della guerra.
Altro importante effetto è stato, per la stampa occidentale, che ormai ha assunto, senza più alcun pudore, il ruolo ufficiale di segugio delle élite politiche dei propri Paesi, quello di poter riempire i servizi dedicati al conflitto ucraino con i pettegolezzi e la retorica in arrivo da Monaco, comprimendo a poche, generiche e soprattutto incomprensibili sintesi le notizie sulla guerra reale che si svolge più a est, e che non va neppure lontanamente in linea con il racconto ufficiale.
Si potrebbe obbiettare che neppure la Russia sta ottenendo risultati maggiormente decisivi negli ultimi mesi. Se è vero che ha preso territori importanti nelle primissime settimane di operazioni, ha poi passato la maggior parte del tempo a perderli o a riconquistarli con una lentezza esasperante. Ma anche senza dover scendere al livello degli strateghi da operetta che, già al terzo giorno di offensiva proclamavano il fallimento della “guerra-lampo di Putin”, come se sapessero che nei piani del presidente russo ci fosse effettivamente qualcosa del genere, se si staccano gli occhi dalle farneticazioni di SkyBalle24 o RaiGnù e la sua mandria di inviati speciali, per cercare di ragionare dal punti di vista di una strategia continentale, se non globale, ci si rende conto di due cose: la Russia ha armi in abbondanza per polverizzare l'Ucraina senza che neppure il suo esercito muova un dito, e senza che gli ucraini neppure si accorgano dell'apocalisse in arrivo, ma le sta usando con estrema parsimonia. I deliri sui “bombardamenti terroristici”, infatti, lasciano il tempo che trovano: un bombardamento terroristico è simile a quello angloamericano su Dresda nel 1945, giorni e notti di tempesta di fuoco e duecentomila morti, o anche, per tornare a giorni a noi più vicini, Baghdad nel 1991 o Belgrado nel 1999. Un missile che cade su di un palazzo e fa cinque morti non è terrorismo, al più un errore di puntamento, o anche un razzo abbattuto dalla contraerea ucraina, non nuova a queste imprese. Ma Putin sa benissimo di non essere in guerra con l'Ucraina soltanto, bensì con tutta l'Alleanza Atlantica, ossia gli Stati Uniti, e un pugno di altri sciacalli extra, fra cui Australia e Giappone. Sino ad ora l'unico a sporcarsi le mani è il suo Paese, ma il presidente (e tutta la classe dirigente russa, a meno di non voler credere alla favola orientale dello zar che decide tutto da solo) ha il dovere di tenersi pronto all'eventualità di un conflitto diretto con la NATO. E quindi di tenere una congrua riserva di fuoco da utilizzare su obbiettivi ben più degni dei palazzi in cui si nasconde Zelensky. Perché la Russia potrebbe anche usare tutti i missili intercontinentali per piegare l'Ucraina in cinque giorni di inferno. Ma, e se poi, come fatto capire esplicitamente da più attori di questo dramma, fra cui persino il nostro Crosetto, la guerra dovesse espandersi e divenire globale, con cosa risponderebbe ai missili statunitensi? Con i mortaretti? D'altronde non è una pratica di cui i russi sono ignari. Già durante la Guerra d'Inverno contro la Finlandia l'URSS preferì soffrire pesanti perdite umane sul campo usando carri di vecchia generazione, piuttosto che scoprire le carte mostrando al mondo i mostri d'acciaio T-34. Così, quando la Germania, l'anno dopo, li invase, il nemico rimase del tutto impreparato a contrastare un'arma che non aveva mai visto prima in azione.
A Monaco, invece, abbiamo visto l'ennesima estensione delle forniture di armi occidentali ad un alleato che si preferisce veder dissanguarsi da lontano, accettando la metamorfosi dell'Ucraina in una sorta di buco nero che inghiotte senza freni qualsiasi cifra o quantità di armamenti gli si mandi, e già qualcuno, negli Stati Maggiori occidentali, fa notare come i magazzini si stiano svuotando ben oltre le capacità dell'industria di riempirli in caso di necessità. Ma siccome da noi comandano più i finanzieri che i militari, tenere acceso in questo modo il conflitto è conveniente dato che ingrassa i bilanci di chi, quei soldi e quelle armi, li manda a Kiev.
Per il resto, a Monaco non si è fatto altro che esibirsi in passerella. Dimenticando che un'altra volta, sempre a Monaco, i grandi d'Europa si erano riuniti per decidere sulla pelle di un alleato minore, all'epoca la Cecoslovacchia, per la quale nessuno era disposto a versare una goccia di sangue. E anche allora si evitò di invitare proprio la Russia, ossia una delle maggiori potenze continentali il cui peso e ruolo sarebbe stato assolutamente necessario coinvolgere, nel caso si fosse voluto raggiungere un accordo soddisfacente sulla pace in Europa.
Sappiamo come finì, e come vennero giudicati da Churchill:
Uno è simbolico: ci avviciniamo ad un anno da che l'Operazione Militare Speciale è iniziata, e i capi di Stato occidentali non possono lasciarlo passare senza cercare di dar l'impressione di star facendo qualcosa per quello che è diventato il proprio fantoccio che prende gli schiaffi nella guerra per procura dichiarata da motli anni alla Russia. Dico “dar l'impressione”, perché nulla è stato fatto né deciso in quel consesso, al netto della retorica, degli annunci e dei richiami agli alti ideali di libertà, democrazia e fratellanza eterna ad un popolo che sino a pochi anni fa non era degnato neppure della metà delle attenzioni prestate all'Islanda, che con duecentomila abitanti era corteggiata con persino la garanzia di una corsia preferenziale per l'ingresso nell'UE (proposte a cui gli islandesi hanno replicato con uno sdegnoso rifiuto). L'Ucraina, con quarantadue milioni di abitanti, era trattata come un rottame sovietico, estremamente corrotto e che avrebbe inghiottito cifre spaventose solo per rimetterla in sesto, ed era bloccata nell'usuale vicolo cieco dei negoziati per l'ingresso che, come per la Turchia, sarebbero stati tirati per le lunghe ad libitum, anche per decenni, a seconda degli interessi finanziari in ballo. Dopo il 24 febbraio 2022, al contrario, sembra che si sia aperta una linea di credito illimitata per lo stesso Paese, costituita essenzialmente in armi o in finanziamenti per l'acquisto di armi, senza il pudore che sembrava bloccare i cordoni della borsa prima di quella data, cosa che avrebbe dovuto far sorgere negli infiniti commentatori a gettone della stampa igienica di regime il legittimo dubbio sul perché si è così prodighi in guerra di quei denari che sarebbe stato più fruttuoso spendere in pace. Ma è una domanda che nessuno verrà mai sentito porre sui canali ufficiali. Tornando a noi, c'era disperato bisogno di far vedere alla platea degli elettori che i regimi occidentali si stanno impegnando in modo netto e soprattutto decisivo in un conflitto in cui, invece, a morire sono gli ucraini, mentre il loro Paese viene raso al suolo e non un solo cittadino del sedicente Mondo Libero (eccettuato un pugno di mercenari) ha sacrificato più di un bel po' di euro alla pompa di benzina o per la bolletta del gas o della luce. Un impegno che, sul terreno, non ha spostato nulla, soprattutto nei giorni in cui l'avanzata russa in Donbass e persino nella regione di Kharkov è ripresa senza che le superarmate e addestrate forze ucraine possano pensare di respingerla. E quindi, via di annunci su prossime e decisive consegne di armi decisive, già annunciate e fatte almeno una volta al mese nei dodici passati, senza che queste abbiano mostrato capacità tanto sensibili esattamente come le Wunderwaffen da cui la propaganda hitleriana prometteva, con Berlino quasi sotto assedio dall'Armata Rossa, il rovesciamento delle sorti della guerra.
Altro importante effetto è stato, per la stampa occidentale, che ormai ha assunto, senza più alcun pudore, il ruolo ufficiale di segugio delle élite politiche dei propri Paesi, quello di poter riempire i servizi dedicati al conflitto ucraino con i pettegolezzi e la retorica in arrivo da Monaco, comprimendo a poche, generiche e soprattutto incomprensibili sintesi le notizie sulla guerra reale che si svolge più a est, e che non va neppure lontanamente in linea con il racconto ufficiale.
Si potrebbe obbiettare che neppure la Russia sta ottenendo risultati maggiormente decisivi negli ultimi mesi. Se è vero che ha preso territori importanti nelle primissime settimane di operazioni, ha poi passato la maggior parte del tempo a perderli o a riconquistarli con una lentezza esasperante. Ma anche senza dover scendere al livello degli strateghi da operetta che, già al terzo giorno di offensiva proclamavano il fallimento della “guerra-lampo di Putin”, come se sapessero che nei piani del presidente russo ci fosse effettivamente qualcosa del genere, se si staccano gli occhi dalle farneticazioni di SkyBalle24 o RaiGnù e la sua mandria di inviati speciali, per cercare di ragionare dal punti di vista di una strategia continentale, se non globale, ci si rende conto di due cose: la Russia ha armi in abbondanza per polverizzare l'Ucraina senza che neppure il suo esercito muova un dito, e senza che gli ucraini neppure si accorgano dell'apocalisse in arrivo, ma le sta usando con estrema parsimonia. I deliri sui “bombardamenti terroristici”, infatti, lasciano il tempo che trovano: un bombardamento terroristico è simile a quello angloamericano su Dresda nel 1945, giorni e notti di tempesta di fuoco e duecentomila morti, o anche, per tornare a giorni a noi più vicini, Baghdad nel 1991 o Belgrado nel 1999. Un missile che cade su di un palazzo e fa cinque morti non è terrorismo, al più un errore di puntamento, o anche un razzo abbattuto dalla contraerea ucraina, non nuova a queste imprese. Ma Putin sa benissimo di non essere in guerra con l'Ucraina soltanto, bensì con tutta l'Alleanza Atlantica, ossia gli Stati Uniti, e un pugno di altri sciacalli extra, fra cui Australia e Giappone. Sino ad ora l'unico a sporcarsi le mani è il suo Paese, ma il presidente (e tutta la classe dirigente russa, a meno di non voler credere alla favola orientale dello zar che decide tutto da solo) ha il dovere di tenersi pronto all'eventualità di un conflitto diretto con la NATO. E quindi di tenere una congrua riserva di fuoco da utilizzare su obbiettivi ben più degni dei palazzi in cui si nasconde Zelensky. Perché la Russia potrebbe anche usare tutti i missili intercontinentali per piegare l'Ucraina in cinque giorni di inferno. Ma, e se poi, come fatto capire esplicitamente da più attori di questo dramma, fra cui persino il nostro Crosetto, la guerra dovesse espandersi e divenire globale, con cosa risponderebbe ai missili statunitensi? Con i mortaretti? D'altronde non è una pratica di cui i russi sono ignari. Già durante la Guerra d'Inverno contro la Finlandia l'URSS preferì soffrire pesanti perdite umane sul campo usando carri di vecchia generazione, piuttosto che scoprire le carte mostrando al mondo i mostri d'acciaio T-34. Così, quando la Germania, l'anno dopo, li invase, il nemico rimase del tutto impreparato a contrastare un'arma che non aveva mai visto prima in azione.
A Monaco, invece, abbiamo visto l'ennesima estensione delle forniture di armi occidentali ad un alleato che si preferisce veder dissanguarsi da lontano, accettando la metamorfosi dell'Ucraina in una sorta di buco nero che inghiotte senza freni qualsiasi cifra o quantità di armamenti gli si mandi, e già qualcuno, negli Stati Maggiori occidentali, fa notare come i magazzini si stiano svuotando ben oltre le capacità dell'industria di riempirli in caso di necessità. Ma siccome da noi comandano più i finanzieri che i militari, tenere acceso in questo modo il conflitto è conveniente dato che ingrassa i bilanci di chi, quei soldi e quelle armi, li manda a Kiev.
Per il resto, a Monaco non si è fatto altro che esibirsi in passerella. Dimenticando che un'altra volta, sempre a Monaco, i grandi d'Europa si erano riuniti per decidere sulla pelle di un alleato minore, all'epoca la Cecoslovacchia, per la quale nessuno era disposto a versare una goccia di sangue. E anche allora si evitò di invitare proprio la Russia, ossia una delle maggiori potenze continentali il cui peso e ruolo sarebbe stato assolutamente necessario coinvolgere, nel caso si fosse voluto raggiungere un accordo soddisfacente sulla pace in Europa.
Sappiamo come finì, e come vennero giudicati da Churchill:
P.S. Lo so, lo so, quel primo consesso di Monaco era tragico, questo, al confronto, ridicolo, e basterebbe guardare ai rappresentati attuali per l'Italia o la Francia. Ma tocca fare un'altra citazione, stavolta Marx: "
La Storia si ripete sempre due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa".