Chi per sua disgrazia avesse studiato al liceo Classico, non potrà non ricordare cosa fossero e cosa rappresentassero le Olimpiadi nel mondo antico. I giochi panellenici erano trattati con estrema serietà, in quanto l'unica occasione in cui quello greco, da sempre diviso dalla politica e persino dalla geografia (con moltissime colonie separate da ampi bracci di mare dalle città di origine) poteva vedersi, sentirsi e celebrarsi come un unico popolo. Anche per quello l'aspetto sportivo era strettamente legato a quello religioso, e le gare avevano in qualche modo anche un significato sacrale. Questa sacralità era rispettata puntigliosamente, tanto che, in caso di guerra fra città (frequentissima nel mondo greco), le ostilità veniva no sospese temporaneamente, per dar modo agli atleti di raggiungere Olimpia e alle gare di svolgersi in relativa pace. Si capisce che, se persino un fatto endemico e grave come la guerra poteva venir accantonato, qualsiasi altro fattore poteva passare in secondo piano: e la gloria della vittoria era premio a sé stessa, tanto che l'unico contrassegno per il vincitore era una corona d'ulivo, a cui si aggiungevano, a volte, poemi occasionali e statue che lo rappresentavano.

Questo era lo spirito olimpico, che rimase tale anche in epoca romana, quando le competizioni furono aperte anche ad atleti non di lingua greca ma provenienti da ogni parte dell'impero, in questo simili alle nostre.

Alla loro ripresa, il celebre De Coubertin si sforzò di poterne riprendere anche lo spirito (gli è attribuito il motto “L'importante non è vincere, ma partecipare”), e si illuse persino che esse, stimolando la competizione pacifica fra popoli, avrebbero contribuito ad evitare le guerre, ma come ben sappiamo, anche senza aver fatto il Classico, le cose andarono ben diversamente. Le Olimpiadi moderne erano arrivate appena alla quinta edizione, che la Prima Guerra Mondiale impedì lo svolgimento della successiva. Non basta, ma agli atleti delle nazioni sconfitte venne vietato di partecipare ai giochi di Anversa del 1920, senz'altra ragione che... quella di aver perso la guerra. Lo stesso accadde per le edizioni del 1940 e 1944, che non ebbero luogo causa il perdurare del Secondo Conflitto Mondiale, e Germania e Giappone non poterono partecipare neppure a Londra 1948 (l'Italia sì: un contentino per aver voltato la gabbana nel '43...). Curiose e del tutto politiche furono le chiusure opposte, quella degli atleti dell'Unione Sovietica, che non partecipò per propria scelta sino al 1952, e quelli sudafricani, esclusi d'ufficio dal 1964 al 1992, ossia per tutto il tempo in cui fu in vigore l'apartheid.

Ci furono boicottaggi di singoli Paesi nel 1956 per ragioni distinte: Spagna, Svizzera e Paesi Bassi contro l'intervento dell'URSS in Ungheria, ed Egitto, Cambogia, Iraq e Libano contro l'intervento israelo-anglo-francese nel Sinai. Fatto assai strano, dato che i giochi si svolgevano in Australia, che con entrambi gli eventi non c'entrava niente...

Ma il boicottaggio con la maiuscola avvenne nel 1980, e fu scientificamente politico: ai giochi di Mosca del 1980, seguendo l'esempio statunitense, 65 paesi non mandarono atleti in segno di protesta contro l'invasione sovietica dell'Afghanistan. Che non si trattasse di invasione, ma di intervento su richiesta dello stesso governo socialista di Kabul, e che fosse in reazione alla guerriglia islamica fomentata e foraggiata dalla CIA (cosa che fu ammessa peraltro solo a partire da anni molto recenti) non impedì l'uso massiccio della propaganda per colpire un avversario nel gioco geopolitico anche in campo sportivo. E a poco vale ricordare che, nei lunghi anni dell'intervento USA in Vietnam, l'URSS non si fosse mai sognata di chiederne l'esclusione anche solo da un torneo di ping pong... Così appare anche comprensibile la successiva assenza degli atleti del blocco sovietico a Los Angeles quattro anni dopo. In mezzo a queste ritorsioni, la decisione dell'Italia di esserci a Mosca nel 1980 appare come una dimostrazione di equilibrio mentale, purtroppo oggi non replicabile.

L'uso del boicottaggio politico sembrò sparire con la fine dell'URSS. Dagli anni '90 parve che le Olimpiadi fossero tornate un evento meramente sportivo, se non proprio pacificatore. Ma l'esclusione degli atleti russi (di nuovo...) da Rio nel 2016 ha riaperto una stagione di cui non si sentiva la mancanza. Non entro nel merito delle motivazioni: il doping, vero o falso che sia, non può essere una ragione seria per colpire UN paese, quando per ragioni di performance è il segreto di pulcinella che anabolizzanti e sostanze poco raccomandabili per l'organismo vengono assunte come se piovesse in ambiente sportivo, se persino Dino Baggio esprime pubblicamente il sospetto che ci siano quelle assunte sin dagli anni '90 dietro alla morte di Vialli.

Così appare oscena la crociata iniziata, negli ultimi tempi, dalla sindaca di Parigi, dai paesi scandinavi, baltici e la Polonia per vedere l'esclusione totale di Russia e Bielorussia da tutte le Olimpiadi, estive quanto invernali. Ora, se Polonia e baltici sono un esempio di psicopatia collettiva nella sistematica coltivazione della russofobia, quasi volessero accelerare al più presto un conflitto mondiale nucleare di cui sarebbero i primi obbiettivi, se la prima cittadina della capitale francese non può non essere espressione della demenza euroatlantica perché altrimenti non sarebbe lì, è più curiosa la posizione in prima linea di Islanda, Danimarca, Norvegia, Finlandia, e Svezia. Generalmente defilati anche quando in qualità di membri NATO, come i primi tre, si sono limitati al massimo a seguire le decisioni degli alleati principali, ora si presentano come inediti e non richiesti censori dei “peccati” altrui contro la pace e la sicurezza internazionale (sia inteso in senso fortemente ironico). Mi chiedo dove fossero i governi e i popoli di questi Paesi, quando i loro alleati NATO bombardavano, invadevano e occupavano Iraq, Serbia, Afghanistan per decenni. Cerco invano una qualche reazione in sede CIO di costoro contro agli USA durante i lunghi anni dell'intervento in Vietnam. Mi sforzo invano di afferrare una qualche logica per cui è accettabile che l'Arabia Saudita bombardi lo Yemen e la NATO attacchi la Libia e sostenga in Siria milizie islamiche che definire terroriste è il minimo sindacale, mentre se l'Ucraina provoca la Russia ad un intervento dopo aver torturato e oppresso i propri stessi cittadini in Donbass e cercato di far morire di sete quelli della Crimea, allora è “inaccettabile” che poi gli atleti russi gareggino a giochi intesi per essere aperti a tutte le nazioni. Soprattutto trovo vile il barcamenarsi del CIO che non riesce a rispondere per le rime a questi sepolcri imbiancati, sicari dei padroni statunitensi che, dopo essersi comprati i governi di Svezia e Finlandia, adesso li manovrano insieme agli altri mandandoli avanti a fare da utili idioti per non fare la figura di quelli che hanno deciso tutto da soli. Perché sarebbe dovuto, da parte del CIO, rispondere che se si dovessero escludere tutti gli atleti delle sanzioni che hanno minacciato la pace, la stabilità e l'integrità territoriale altrui, ad ogni edizione dei giochi dovrebbero restar fuori la metà dei Paesi, a partire da quelli che imbeccano le verginelle scandinave e i maniaci del Mar Baltico. Ma soprattutto dovrebbe essere ricacciata in gola la richiesta vergognosa di bersagliare un Paese, la Bielorussia, che sino ad ora non è in guerra con nessuno, ed ha contribuito assai meno alle ostilità di quelli che blaterano di “inopportunità” della sua partecipazione mentre da anni mandano valanghe di denaro ed armi che si smarriscono nel buco nero di Kiev, fra le tasche del governo più corrotto d'Europa e le ordinazioni dei trafficanti d'armi di tutti i continenti. Senza contare che un accanimento su base essenzialmente nazionale, senza neppure prendere in considerazione che ciascun atleta potrebbe non aver avuto alcun ruolo politico o militare, sa tanto di razzismo.

Questo risponderebbe il CIO, se fosse composto da persone coscienti del proprio ruolo e che prendono sul serio il significato dei giochi olimpici. Ma essendo l'ennesimo carrozzone internazionale di fannulloni lautamente pagati e che rispondono ai signori del denaro, non fa che abbozzare da settimane, cercando vigliacche scappatoie come la partecipazione senza bandiera né inno (come se russi e bielorussi fossero apolidi), e che finirà per accogliere la soluzione più vergognosa possibile.

Fra l'altro, con grande vantaggio proprio di quei Paesi in prima fila a chiedere l'esclusione della Russia, che fa incetta di quelle medaglie (è sempre fra i primi tre al mondo come numero di vittorie) che finirebbero magari al collo dei loro insignificanti atleti. Dando ragione in maniera perversa allo stesso De Coubertin, dato che si impedirebbe agli atleti russi non solo di vincere, ma anche di partecipare, cosa che ha valore simbolico anche maggiore.

E che vinca il peggiore.

Comments

M
La dimostrazione lampante che, quando elimini la centralità del Sacro all'interno dell'azione umana, apri la porta alla frammentazione.
 
Hai centrato uno dei punti principali. Per i greci i giochi erano qualcosa di sacro, per questo erano intoccabili e tutto doveva essere condotto in modo da non disturbarne lo svolgimento, pena l'essere considerato un sacrilego. I giochi moderni sono, esattamente come il tempo esige, del tutto laici, devono essere monetizzabili, quindi l'ossessione della performance e della vittoria (da cui i record a raffica e il doping), il medagliere per vedere chi ce l'ha più lungo, gli sponsor e gli investimenti miliardari, tutto lo svilisce e lo rende terra-terra, quindi anche strumento della politica e della propaganda. Quando in origine era uno dei mezzi dell'uomo per rapportarsi al cielo degli Dei.
 

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Friedrich von Tannenberg
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