Devo dare una delusione a chi ha aperto l'articolo sperando in contenuti sessualmente espliciti e cose zozze. Non alla carne in senso biblico mi riferisco, ma a quella, assai più banalmente intesa, che dall'origine dei tempi ci fa da cibo. E che ora una congrega di esaltati dai tratti della setta satanica vorrebbe mettere all'indice con i sofismi più inverosimili.
Ma andiamo per ordine. In quella sorta di megafono del Male Assoluto che è Radio Tre, vengo a conoscenza dell'articolo di una certa Anne Chemin, attempata giornalista di “Le Monde” (evidentemente il giornalismo da mentecatti non è esclusiva del Belpaese) di cui non avevo mai sentito parlare, che in un recente articolo cerca di dipingere in modo trionfale il vegetarianesimo e la sua fase terminale, il veganesimo, presentandoli come l'ultimo e più luminoso approdo della civiltà mondiale sotto a tutti i punti di vista. Ascolto, e mi rendo conto che non della sola civiltà si tratta, ma del tentativo di rivoltare la stessa natura umana e biologica dell'Uomo come se solo ora, grazie agli apostoli dei pasti erbivori, si possa fare chiarezza su di un mistero alla cui altezza, evidentemente, da Platone a Heidegger nessuno arrivava. Avviso che il pippone è particolarmente lungo, ma vale la pena analizzarlo punto per punto per il livello particolarmente esemplificativo delle farneticazioni dei mangiatori di erbaggi.
Il titolo, “Perché mangiamo la carne e non gli animali”, vorrebbe farci credere che i pochi perversi che ancora non si siano messi a ruminare come la signora si riducano a nutrirsi dal MacDonald per evitare di vedere cibi la cui provenienza animale li faccia sentire in colpa. E già qui verrebbe da accompagnare la signora fuori da ogni consesso civile, perché o ci prende in giro, o ignora come la maggior parte delle persone sane di mente mangi tutt'ora costolette di maiale, ali di pollo e, dalle mie parti, arrosti di agnello o maialino interi la cui provenienza è del tutto chiara. E senza perderci alcun gusto. Ma andiamo per ordine.
La signora inizia citando un articolo del celebre antropologo Levy-Strauss che, approdato al vegetarianesimo anche lui, profetizzava nel 1996 che "verrà un giorno in cui l'idea che per nutrirsi gli uomini abbiano potuto allevare e massacrare degli esseri viventi e poi esporne con compiacimento la loro carne nelle vetrine ispirerà lo stesso disgusto che i pasti cannibali degli indigeni africani o americani ispiravano ai viaggiatori del '500 o del '600”.
La stessa passa poi a spiegare come sin dall'antichità il consumo di carne sia stato sottoposto a riti per giustificare l'uccisione di animali, e come la produzione di massa del cibo abbia infranto questo delicato equilibrio.
A questo punto il conduttore, sentendosi particolarmente ispirato, interrompe l'articolo citando una certa Anna Maria Ortese che definisce le bestie “piccole persone”, trovando la cosa particolarmente commovente.
La Chemin insiste a citare cifre che certificano la riduzione di consumi di carne, “nessuno mette in dubbio le basi morali del vegetarianesimo, mentre da secoli il consumo di carne suscita intensi dibattiti” buttandoci in mezzo Pitagora, Plutarco (“che le riconosceva come dotate di ragione”), Porfirio e l'orfismo, saltabeccando poi ad una citazione di un'altra illustre sconosciuta che chiede perentoriamente “chi si prenderà la responsabilità dell'uccisione di bestie e la loro esposizione come accettabile e presentabile?”, e affermando che “l'uccisione animale è un gesto di tale gravità che tutte le civiltà hanno escogitato dei modi per gestirlo”. E poi i Veda.
Segue la “rimozione” di tali modi “gestionali” da parte delle società industriali che “potrebbero avere ricadute gravissime sulla psiche collettiva”, tanto da “difendersi” stabilendo ad esempio “distinzioni fra commestibile e non commestibile, come per il cane, il cavallo e il coniglio”. E le società animiste (sic) che attribuiscono agli animali un'anima, società che, si inserisce il commentatore, “noi giudichiamo primitive ma avrebbero molto da insegnarci riguardo al rapporto con gli animali”.
Conclude la lettura un acuto (si fa per dire) legame fra il consumo di carne e il cambiamento climatico: poteva mancare in bocca ad un progressista che si rispetti? Semmai ho trovato carente l'assenza di paralleli col femminicidio e il dilagare del patriarcato, una dimenticanza inspiegabile.
Che dire? Per certi versi lo sragionamento si giudica da sé. Fare un minestrone in cui si tirano per i capelli due o tre nomi illustri nel mare magnum del passato, citare qualche generica società in cui le cose andrebbero come dovrebbero, e condire il tutto con affermazioni apodittiche che attribuiscono alla generalità tendenze che son tutte nella testa dell'autore, e l'articolo è pronto per andare in stampa. Ma su carta igienica. E tuttavia, vale la pena di fare un paio di osservazioni in più, perché questo hellzapoppin' di idiozia è stato propagandato su di una rete pubblica con elogi e addirittura incoraggiando l'invio di commenti adulatori da parte degli ascoltatori, una procedura che se avesse avuto luogo in Corea del Nord avrebbe suscitato l'ironia o lo sdegno dello stesso commentatore.
Intanto l'aver messo in evidenza l'affermazione di uno studioso di rango, Lévy-Strauss, in un campo che non era precisamente il suo, ossia il valore morale dell'alimentazione. A parte che puzza lontano un miglio di ricorso al principio di autorità, cosa che ci riporterebbe indietro ai bei tempi della filosofia scolastica, quando bastava citare Aristotele per mettere a tacere eventuali critici (e saremmo comunque in ritardo di almeno cinque secoli), vorrei far notare come qui Lévy-Strauss, sul cui valore di antropologo uno come me non oserebbe fare ironia (anche se potrei pensare che, da allora, anche la sua disciplina sia andata oltre), sembra voler portare la propria disciplina a sostegno di quella che è una preferenza personale. È in buona compagnia, da sempre intellettuali, pensatori e studiosi di spicco hanno ceduto alla tentazione tutta umana di nobilitare propensioni personali a volte rispettabili, a volte più discutibili. Ad esempio, Platone aveva una passione particolare per i giovinotti, e per questo in alcuni suoi dialoghi mette in bocca a Socrate (senza peccare di inverosimiglianza, dato che pare il maestro condividesse i gusti del discepolo) idee a sostegno della tesi di un amore omosessuale più “puro” di quello etero perché questo, con una tesi molto traballante ma che ha avuto i suoi sostenitori nei millenni, sarebbe espressione del bisogno istintuale della procreazione, mentre la passione fra maschi rimarrebbe ispirata dal solo amore ideale. L'argomentazione può essere liberamente abbracciata, così come il vegetarianesimo: ma non significa che per apprezzare l'antropologia si debbano provare conati di vomito di fronte ad un banco carni, così come si può ritenere affascinante il platonismo (e lo dico da neoplatonico) senza per questo darsi alla pedofilia.
Il paragone col cannibalismo, poi, è particolarmente specioso, e cade se si toglie un'equivalenza che, sin dall'inizio, viene data per scontata: quella fra esseri umani ed animali, e in particolar modo fra la vita umana e quella animale. Chiunque abbia conservato un po' di buonsenso e abbastanza neuroni, per non parlare del tanto abusato (a parole) senso morale, troverà immediatamente problematica l'equazione. Non esiste e non è mai esistito, che io sappia, un sistema normativo, legale o sociale, che abbia messo sullo stesso piano la vita di un cittadino e quella di un bue. E ci vorrebbe una bella faccia, anche da parte degli entusiasti lettori della Chemin, per poter dire che fra il sacrificio di un bambino di cinque anni e quello di un pollo non vi sia differenza. Che poi, andiamo, parla gente che esalta il relativismo assoluto, per cui tutte le usanze sono egualmente buone e rispettabili: quando mai abbiamo sentito un convinto progressista accusare i cannibali di inciviltà? Allora esiste un concetto di “Civiltà” che serve da metro di valutazione? O a qualcuno è andato in cortocircuito il sistema neuronale con quello ideologico? Che poi, scusate, ma tutto questo amore assoluto per ogni forma di vita fra i progressisti non me lo ricordavo mica. O i feti non vanno considerati forme di vita? È la stessa gente che trova un attentato alla civiltà mettere regole all'aborto, il quale è un diritto umano al pari di quello alla libertà. Un feto di essere umano quindi merita meno considerazione di un manzo? E non sono gli stessi che pretendono di mandare all'infinito armi all'Ucraina, armi con cui, si è visto, i “partigiani” ucraini adorni di rune uccidono civili russi con metodi terroristici? Un pollo ruspante merita più riguardi di Darya Dugina? È evidente che nella psiche poco equilibrata di costoro non solo le vite animali abbiano raggiunto un valore pari a quello delle vite umane, ma, in certi casi, lo abbiano sopravanzato. Una bella rivoluzione copernicana di cui i padri nobili dell'illuminismo sarebbero fieri, ne sono certo.
Espedienti come quello di citare nomi celebri tanto per dar valore alla propria tesi, poi, lasciano il tempo che trovano. È il “cherry picking” che ben conosce chi confeziona servizi pseudo-giornalistici sulle manifestazioni politiche: vuoi metterle in cattiva luce? Intervista cento persone diverse, prendi solo quelli che danno risposte imbarazzanti, con priorità a chi neppure sapeva perché era lì, e anche la Scuola di Atene di Raffaello figurerebbe come una raccolta di affetti dalla sindrome di Tourette. Così citiamo Pitagora e Plutarco, ed è subito: “Wow! Lo sai che erano dei nostri? Si vede che avevano ragione!”. Che poi siano esistiti centinaia, migliaia di illustri autori dell'antichità che hanno vissuto sbattendosene bellamente dei diritti degli animali, e anzi consumando senza angoscia e rimorso braciole e bistecche per tutta la vita, non sembra sfiorare le convinzioni di costoro. Stessa cosa per le cosiddette “molte civiltà” che avrebbero mascherato la macellazione (non chiamiamola “uccisione”, siamo seri) per evitare traumi ai propri appartenenti, è qualcosa di grottesco. Intanto sarebbe bello vedere un elenco completo di tali civiltà: a parte il subcontinente indiano, mi sembra che abbiano mangiato carne in modo diffuso praticamente tutti. Le società "animiste", poi, termine piuttosto balordo per indicare i popoli tribali, basterebbe aver visto un qualsiasi documentario (e ce ne sono), per sapere che non si tirano indietro dal consumo di tutto ciò che si muove attorno a loro. Gli indios dell'Amazzonia mangiano senza sentirsi in colpa qualsiasi vertebrato o invertebrato gli capiti a tiro, salvo siano velenosi: non hanno nulla da insegnarci, quelli? O tornano ad essere "primitivi" da disprezzare? Per non parlare dei cinesi, a cui dovremmo ritirare la patente di "civiltà", se non temessimo il ridicolo. E poi, dato che abbiamo tirato in ballo Plutarco, ossia le civiltà classiche: ma lo sappiamo che stiamo parlando di gente che serviva nell'esercito come un fatto naturale? Che impugnava le armi per fracassare il cranio o sbudellare altri uomini? Che le città greche erano in guerra fra di loro per più tempo che in pace? Che quella gente aveva supplizi capitali pubblici, e andava a vedere i propri simili appesi ad un palo o una croce, fatti a pezzi e decapitati come noi andiamo al cinema masticando popcorn? Che vivevano considerando la schiavitù un fatto naturale? La schiavitù, ossia la compravendita di esseri umani al pari del mercato delle vacche. Esseri umani che poi, da parte del padrone, potevano essere frustati, fatti digiunare o violentati a piacere, e gli andava di culo (scusate il francesismo) se qualche legge regolava le punizioni corporali. Per dirne una, a Roma se uno schiavo uccideva il padrone, tutti gli schiavi della casa venivano giustiziati. E c'erano senatori che possedevano centinaia di schiavi. Sarebbero questi gli uomini e le donne che avevano bisogno di vedere ingentilito il consumo di carne per non venirne traumatizzati? Dove le ha studiate le civiltà antiche la signora Chemin? Sui cartoni della Disney?
Ce n'è da rimanerne basiti, per uno sfoggio di ignoranza, mistificazione e occultamento dati in pasto ad un pubblico che avrebbe bisogno di ben altro. Ma il peggio è altro.
Il peggio è l'atteggiamento, tipico di quella che si autodefinisce “sinistra”, di chi si arroga ogni sorta di superiorità su chi la pensa e vive in altro modo, per i fatti propri, senza voler imporre le proprie abitudini a nessuno. Un tempo era "intellettuale", come se gli altri fossero stati tutti trogloditi ignari di arti e lettere (e pazienza se “gli altri” erano stati D'Annunzio, Giovanni Gentile, Spengler, Heidegger, mentre loro leggevano l'ex-fascista Scalfari...), oggi "morale". Superiorità a molto buon mercato, se si pone mente ai già citati cortocircuiti nei casi di aborto e guerra (e non cito la pandemenza, un florilegio di commenti abominevoli da parte dell'autoproclamata “parte sana del Paese”, come non si è vergognato di dire Damilano, sarebbe istruttivo ma andrebbe per le lunghe; ma tutti ricordano gli auguri omicidi rivolti ai propri stessi concittadini da parte di pennivendoli di regime, sedicenti intellettuali e persino medici devoti più alla Pfizer che a Ippocrate). Ecco, direi che ha decisamente rotto le palle (e scusate l'ulteriore francesismo) questa pretesa di rappresentare il meglio del meglio in ogni campo dell'essere da parte di chi, generalmente, non si eleva al di sopra della più banale mediocrità, e quando va male genera veri e propri musei degli orrori (senza risalire a Stalin, basta e avanza l'operato del recente governo-fantoccio di Mario Quisling, roba da cupola mafiosa). Per essere intellettualmente superiori bisognerebbe come minimo misurarsi il Q.I. e mostrarne un punteggio in linea coi proclami. Da gente che prima di pensare deve leggere cosa ha pubblicato la stampa di regime tanta intelligenza non risplende. Per la morale, poi, le cose sarebbero ancora più delicate, e l'esaltazione in stile sovietico di un presidente straniero colorato, insignito di nobel per la Pace ma che ha bombardato paesi stranieri praticamente ogni giorno dei suoi otto anni al potere, beh, basterebbe a guadagnarsi la più miserabile patente di servili leccapiedi, altro che sensibili amanti della vita di tutte le creature.
Anche perché, cari sedicenti francescani del terzo millennio, con che faccia dimenticate che anche le piante sono esseri viventi? Capisco che vi toccherebbe morire di inedia, ma non sono io a volervi rubare anche il primato della coerenza.
Ma andiamo per ordine. In quella sorta di megafono del Male Assoluto che è Radio Tre, vengo a conoscenza dell'articolo di una certa Anne Chemin, attempata giornalista di “Le Monde” (evidentemente il giornalismo da mentecatti non è esclusiva del Belpaese) di cui non avevo mai sentito parlare, che in un recente articolo cerca di dipingere in modo trionfale il vegetarianesimo e la sua fase terminale, il veganesimo, presentandoli come l'ultimo e più luminoso approdo della civiltà mondiale sotto a tutti i punti di vista. Ascolto, e mi rendo conto che non della sola civiltà si tratta, ma del tentativo di rivoltare la stessa natura umana e biologica dell'Uomo come se solo ora, grazie agli apostoli dei pasti erbivori, si possa fare chiarezza su di un mistero alla cui altezza, evidentemente, da Platone a Heidegger nessuno arrivava. Avviso che il pippone è particolarmente lungo, ma vale la pena analizzarlo punto per punto per il livello particolarmente esemplificativo delle farneticazioni dei mangiatori di erbaggi.
Il titolo, “Perché mangiamo la carne e non gli animali”, vorrebbe farci credere che i pochi perversi che ancora non si siano messi a ruminare come la signora si riducano a nutrirsi dal MacDonald per evitare di vedere cibi la cui provenienza animale li faccia sentire in colpa. E già qui verrebbe da accompagnare la signora fuori da ogni consesso civile, perché o ci prende in giro, o ignora come la maggior parte delle persone sane di mente mangi tutt'ora costolette di maiale, ali di pollo e, dalle mie parti, arrosti di agnello o maialino interi la cui provenienza è del tutto chiara. E senza perderci alcun gusto. Ma andiamo per ordine.
La signora inizia citando un articolo del celebre antropologo Levy-Strauss che, approdato al vegetarianesimo anche lui, profetizzava nel 1996 che "verrà un giorno in cui l'idea che per nutrirsi gli uomini abbiano potuto allevare e massacrare degli esseri viventi e poi esporne con compiacimento la loro carne nelle vetrine ispirerà lo stesso disgusto che i pasti cannibali degli indigeni africani o americani ispiravano ai viaggiatori del '500 o del '600”.
La stessa passa poi a spiegare come sin dall'antichità il consumo di carne sia stato sottoposto a riti per giustificare l'uccisione di animali, e come la produzione di massa del cibo abbia infranto questo delicato equilibrio.
A questo punto il conduttore, sentendosi particolarmente ispirato, interrompe l'articolo citando una certa Anna Maria Ortese che definisce le bestie “piccole persone”, trovando la cosa particolarmente commovente.
La Chemin insiste a citare cifre che certificano la riduzione di consumi di carne, “nessuno mette in dubbio le basi morali del vegetarianesimo, mentre da secoli il consumo di carne suscita intensi dibattiti” buttandoci in mezzo Pitagora, Plutarco (“che le riconosceva come dotate di ragione”), Porfirio e l'orfismo, saltabeccando poi ad una citazione di un'altra illustre sconosciuta che chiede perentoriamente “chi si prenderà la responsabilità dell'uccisione di bestie e la loro esposizione come accettabile e presentabile?”, e affermando che “l'uccisione animale è un gesto di tale gravità che tutte le civiltà hanno escogitato dei modi per gestirlo”. E poi i Veda.
Segue la “rimozione” di tali modi “gestionali” da parte delle società industriali che “potrebbero avere ricadute gravissime sulla psiche collettiva”, tanto da “difendersi” stabilendo ad esempio “distinzioni fra commestibile e non commestibile, come per il cane, il cavallo e il coniglio”. E le società animiste (sic) che attribuiscono agli animali un'anima, società che, si inserisce il commentatore, “noi giudichiamo primitive ma avrebbero molto da insegnarci riguardo al rapporto con gli animali”.
Conclude la lettura un acuto (si fa per dire) legame fra il consumo di carne e il cambiamento climatico: poteva mancare in bocca ad un progressista che si rispetti? Semmai ho trovato carente l'assenza di paralleli col femminicidio e il dilagare del patriarcato, una dimenticanza inspiegabile.
Che dire? Per certi versi lo sragionamento si giudica da sé. Fare un minestrone in cui si tirano per i capelli due o tre nomi illustri nel mare magnum del passato, citare qualche generica società in cui le cose andrebbero come dovrebbero, e condire il tutto con affermazioni apodittiche che attribuiscono alla generalità tendenze che son tutte nella testa dell'autore, e l'articolo è pronto per andare in stampa. Ma su carta igienica. E tuttavia, vale la pena di fare un paio di osservazioni in più, perché questo hellzapoppin' di idiozia è stato propagandato su di una rete pubblica con elogi e addirittura incoraggiando l'invio di commenti adulatori da parte degli ascoltatori, una procedura che se avesse avuto luogo in Corea del Nord avrebbe suscitato l'ironia o lo sdegno dello stesso commentatore.
Intanto l'aver messo in evidenza l'affermazione di uno studioso di rango, Lévy-Strauss, in un campo che non era precisamente il suo, ossia il valore morale dell'alimentazione. A parte che puzza lontano un miglio di ricorso al principio di autorità, cosa che ci riporterebbe indietro ai bei tempi della filosofia scolastica, quando bastava citare Aristotele per mettere a tacere eventuali critici (e saremmo comunque in ritardo di almeno cinque secoli), vorrei far notare come qui Lévy-Strauss, sul cui valore di antropologo uno come me non oserebbe fare ironia (anche se potrei pensare che, da allora, anche la sua disciplina sia andata oltre), sembra voler portare la propria disciplina a sostegno di quella che è una preferenza personale. È in buona compagnia, da sempre intellettuali, pensatori e studiosi di spicco hanno ceduto alla tentazione tutta umana di nobilitare propensioni personali a volte rispettabili, a volte più discutibili. Ad esempio, Platone aveva una passione particolare per i giovinotti, e per questo in alcuni suoi dialoghi mette in bocca a Socrate (senza peccare di inverosimiglianza, dato che pare il maestro condividesse i gusti del discepolo) idee a sostegno della tesi di un amore omosessuale più “puro” di quello etero perché questo, con una tesi molto traballante ma che ha avuto i suoi sostenitori nei millenni, sarebbe espressione del bisogno istintuale della procreazione, mentre la passione fra maschi rimarrebbe ispirata dal solo amore ideale. L'argomentazione può essere liberamente abbracciata, così come il vegetarianesimo: ma non significa che per apprezzare l'antropologia si debbano provare conati di vomito di fronte ad un banco carni, così come si può ritenere affascinante il platonismo (e lo dico da neoplatonico) senza per questo darsi alla pedofilia.
Il paragone col cannibalismo, poi, è particolarmente specioso, e cade se si toglie un'equivalenza che, sin dall'inizio, viene data per scontata: quella fra esseri umani ed animali, e in particolar modo fra la vita umana e quella animale. Chiunque abbia conservato un po' di buonsenso e abbastanza neuroni, per non parlare del tanto abusato (a parole) senso morale, troverà immediatamente problematica l'equazione. Non esiste e non è mai esistito, che io sappia, un sistema normativo, legale o sociale, che abbia messo sullo stesso piano la vita di un cittadino e quella di un bue. E ci vorrebbe una bella faccia, anche da parte degli entusiasti lettori della Chemin, per poter dire che fra il sacrificio di un bambino di cinque anni e quello di un pollo non vi sia differenza. Che poi, andiamo, parla gente che esalta il relativismo assoluto, per cui tutte le usanze sono egualmente buone e rispettabili: quando mai abbiamo sentito un convinto progressista accusare i cannibali di inciviltà? Allora esiste un concetto di “Civiltà” che serve da metro di valutazione? O a qualcuno è andato in cortocircuito il sistema neuronale con quello ideologico? Che poi, scusate, ma tutto questo amore assoluto per ogni forma di vita fra i progressisti non me lo ricordavo mica. O i feti non vanno considerati forme di vita? È la stessa gente che trova un attentato alla civiltà mettere regole all'aborto, il quale è un diritto umano al pari di quello alla libertà. Un feto di essere umano quindi merita meno considerazione di un manzo? E non sono gli stessi che pretendono di mandare all'infinito armi all'Ucraina, armi con cui, si è visto, i “partigiani” ucraini adorni di rune uccidono civili russi con metodi terroristici? Un pollo ruspante merita più riguardi di Darya Dugina? È evidente che nella psiche poco equilibrata di costoro non solo le vite animali abbiano raggiunto un valore pari a quello delle vite umane, ma, in certi casi, lo abbiano sopravanzato. Una bella rivoluzione copernicana di cui i padri nobili dell'illuminismo sarebbero fieri, ne sono certo.
Espedienti come quello di citare nomi celebri tanto per dar valore alla propria tesi, poi, lasciano il tempo che trovano. È il “cherry picking” che ben conosce chi confeziona servizi pseudo-giornalistici sulle manifestazioni politiche: vuoi metterle in cattiva luce? Intervista cento persone diverse, prendi solo quelli che danno risposte imbarazzanti, con priorità a chi neppure sapeva perché era lì, e anche la Scuola di Atene di Raffaello figurerebbe come una raccolta di affetti dalla sindrome di Tourette. Così citiamo Pitagora e Plutarco, ed è subito: “Wow! Lo sai che erano dei nostri? Si vede che avevano ragione!”. Che poi siano esistiti centinaia, migliaia di illustri autori dell'antichità che hanno vissuto sbattendosene bellamente dei diritti degli animali, e anzi consumando senza angoscia e rimorso braciole e bistecche per tutta la vita, non sembra sfiorare le convinzioni di costoro. Stessa cosa per le cosiddette “molte civiltà” che avrebbero mascherato la macellazione (non chiamiamola “uccisione”, siamo seri) per evitare traumi ai propri appartenenti, è qualcosa di grottesco. Intanto sarebbe bello vedere un elenco completo di tali civiltà: a parte il subcontinente indiano, mi sembra che abbiano mangiato carne in modo diffuso praticamente tutti. Le società "animiste", poi, termine piuttosto balordo per indicare i popoli tribali, basterebbe aver visto un qualsiasi documentario (e ce ne sono), per sapere che non si tirano indietro dal consumo di tutto ciò che si muove attorno a loro. Gli indios dell'Amazzonia mangiano senza sentirsi in colpa qualsiasi vertebrato o invertebrato gli capiti a tiro, salvo siano velenosi: non hanno nulla da insegnarci, quelli? O tornano ad essere "primitivi" da disprezzare? Per non parlare dei cinesi, a cui dovremmo ritirare la patente di "civiltà", se non temessimo il ridicolo. E poi, dato che abbiamo tirato in ballo Plutarco, ossia le civiltà classiche: ma lo sappiamo che stiamo parlando di gente che serviva nell'esercito come un fatto naturale? Che impugnava le armi per fracassare il cranio o sbudellare altri uomini? Che le città greche erano in guerra fra di loro per più tempo che in pace? Che quella gente aveva supplizi capitali pubblici, e andava a vedere i propri simili appesi ad un palo o una croce, fatti a pezzi e decapitati come noi andiamo al cinema masticando popcorn? Che vivevano considerando la schiavitù un fatto naturale? La schiavitù, ossia la compravendita di esseri umani al pari del mercato delle vacche. Esseri umani che poi, da parte del padrone, potevano essere frustati, fatti digiunare o violentati a piacere, e gli andava di culo (scusate il francesismo) se qualche legge regolava le punizioni corporali. Per dirne una, a Roma se uno schiavo uccideva il padrone, tutti gli schiavi della casa venivano giustiziati. E c'erano senatori che possedevano centinaia di schiavi. Sarebbero questi gli uomini e le donne che avevano bisogno di vedere ingentilito il consumo di carne per non venirne traumatizzati? Dove le ha studiate le civiltà antiche la signora Chemin? Sui cartoni della Disney?
Ce n'è da rimanerne basiti, per uno sfoggio di ignoranza, mistificazione e occultamento dati in pasto ad un pubblico che avrebbe bisogno di ben altro. Ma il peggio è altro.
Il peggio è l'atteggiamento, tipico di quella che si autodefinisce “sinistra”, di chi si arroga ogni sorta di superiorità su chi la pensa e vive in altro modo, per i fatti propri, senza voler imporre le proprie abitudini a nessuno. Un tempo era "intellettuale", come se gli altri fossero stati tutti trogloditi ignari di arti e lettere (e pazienza se “gli altri” erano stati D'Annunzio, Giovanni Gentile, Spengler, Heidegger, mentre loro leggevano l'ex-fascista Scalfari...), oggi "morale". Superiorità a molto buon mercato, se si pone mente ai già citati cortocircuiti nei casi di aborto e guerra (e non cito la pandemenza, un florilegio di commenti abominevoli da parte dell'autoproclamata “parte sana del Paese”, come non si è vergognato di dire Damilano, sarebbe istruttivo ma andrebbe per le lunghe; ma tutti ricordano gli auguri omicidi rivolti ai propri stessi concittadini da parte di pennivendoli di regime, sedicenti intellettuali e persino medici devoti più alla Pfizer che a Ippocrate). Ecco, direi che ha decisamente rotto le palle (e scusate l'ulteriore francesismo) questa pretesa di rappresentare il meglio del meglio in ogni campo dell'essere da parte di chi, generalmente, non si eleva al di sopra della più banale mediocrità, e quando va male genera veri e propri musei degli orrori (senza risalire a Stalin, basta e avanza l'operato del recente governo-fantoccio di Mario Quisling, roba da cupola mafiosa). Per essere intellettualmente superiori bisognerebbe come minimo misurarsi il Q.I. e mostrarne un punteggio in linea coi proclami. Da gente che prima di pensare deve leggere cosa ha pubblicato la stampa di regime tanta intelligenza non risplende. Per la morale, poi, le cose sarebbero ancora più delicate, e l'esaltazione in stile sovietico di un presidente straniero colorato, insignito di nobel per la Pace ma che ha bombardato paesi stranieri praticamente ogni giorno dei suoi otto anni al potere, beh, basterebbe a guadagnarsi la più miserabile patente di servili leccapiedi, altro che sensibili amanti della vita di tutte le creature.
Anche perché, cari sedicenti francescani del terzo millennio, con che faccia dimenticate che anche le piante sono esseri viventi? Capisco che vi toccherebbe morire di inedia, ma non sono io a volervi rubare anche il primato della coerenza.
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