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Caligorante

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Accadeva centocinque anni fa. 4 dicembre 1918. Il presidente americano Woodrow Wilson, accompagnato da un nutrito seguito di esperti, si reca a Versailles per i negoziati di pace della prima guerra mondiale, diventando il primo presidente in carica a recarsi nel Vecchio Continente. Con sua sorpresa e disappunto, alla conferenza non partecipava nessun rappresentante delle potenze sconfitte e nemmeno della Russia. Da quello che emerse, si trattò di una contrapposizione tra Wilson e i leader alleati – il primo ministro britannico David Lloyd George, il premier francese George Clemenceau e il primo ministro italiano Vittorio Emanuele Orlando – che erano determinati a dividere i territori dei perdenti e far pagare alla Germania i danni. Con la minaccia di ritirarsi dalla conferenza e lasciare l’Europa a crogiolarsi nel suo guazzabuglio, Wilson ottenne alcune concessioni importanti: una Polonia indipendente con accesso al mare, l’Alsazia-Lorena restituita alla Francia, la dissoluzione dell'impero austro-ungarico, sacrificato sull'altare dell’autodeterminazione dei popoli, la creazione di una lega delle nazioni. La Germania però venne affossata con un risarcimento insostenibile di 56 miliardi di dollari e gli alleati si spartirono le colonie tedesche in Africa e Oceania, preparando di fatto il terreno per futuri moti di rivalsa. Di origine sudista, governatore del New Jersey ed ex preside dell’Università di Princeton, il democratico Wilson fu eletto per ben due volte (1913 e 1917) grazie a un programma pacifista, subito tradito nell'aprile del 1917. Wilson è passato alla storia come un idealista disinteressato sceso dalla città sulla collina per diffondere la pace perpetua nel pianeta, per un ingenuo fregato dai litigiosi politicanti europei e dagli isolazionisti di casa sua; una sorta Roosevelt che non ce l'ha fatta. I suoi fourteen points (Quattordici Punti) ambivano a instaurare un nuovo ordine mondiale, cosa che gli americani si resero conto ben presto essere irrealizzabile. Il prevalere dei bolscevichi sulle armate bianche scatenò un’ondata di sentimenti isolazionisti in tutti gli States. Cabot Lodge e altri ritenevano che il trattato di Versailles mettesse a repentaglio la sicurezza e la tradizionale politica estera di neutralità della nazione. Per contrastare i suoi oppositori, Wilson espose la situazione direttamente al popolo nel settembre 1919 e fece un appello in favore della propria causa. Percorse quasi 20.000 chilometri su rotaia e tenne dozzine di discorsi. Ma la sua salute non resse e a Pueblo, in Colorado, ebbe un collasso che compromise la sua carriera politica. Come nota Kissinger, con Woodrow Wilson gli Stati Uniti svelarono al mondo la propria concezione manichea degli affari internazionali: di qua ci siamo noi, i buoni, di là i cattivi. Una presa di posizione, unilaterale e se vogliamo persino fanatica, intrisa di messianismo veterotestamentario. Prima di allora nessuno avrebbe potuto ergersi e asserire “Io rappresento il Bene e pertanto sono superiore a voi”. Ma dopo il carnaio del 1914-1918 il potenziale industriale americano aveva dimostrato la sua indiscutibile superiorità e la grande finanza di Wall Street ci teneva a riscuotere i crediti enormi detenuti presso Francia e Gran Bretagna. Il timone dell’Occidente si era spostato all’altro capo dell’oceano e l'establishment nordamericano poteva finalmente mettere le carte in tavola. Woodrow Wilson era un precursore della globalizzazione, ovvero della “pax” all’ombra della Old Glory. I suoi Quattordici Punti scaturirono da una commissione di cervelloni presieduta da Walter Lippmann, il quale pochi anni dopo, nel suo fortunato volume L’opinione pubblica (1922), partendo dalla convinzione che le masse, «un gregge smarrito», fossero inarticolate, non educabili e pertanto incapaci di decidere “scientificamente”, suggerì un sistema rappresentativo filtrato da un’organizzazione indipendente di esperti capaci di interporre una forma di competenza specializzata tra il cittadino privato e i dilemmi del presente e del futuro. In un’opera successiva, Il pubblico fantasma (1925), il pubblico “attivo” era, appunto, un fantasma; la sovranità popolare infatti consisteva nel dare l’assenso o meno alle decisioni prese dalla élite dirigente. Per lui e per un’intera generazione di intellettuali, politici, giornalisti e burocrati che si facevano chiamare «progressisti» – il termine risale al 1910 – le masse rappresentavano una minaccia per la democrazia americana; dopo la Prima guerra mondiale rimodularono i propri obiettivi e cominciarono a identificarsi come «liberali». I quattordici punti erano un concentrato di ipocrisia: autodeterminazione dei popoli (cioè dei popoli bendisposti verso il grande business); giù le barriere doganali ed eguaglianza di trattamento in materia commerciale per tutte le nazioni (ma USA e Romania non potranno mai competere su di un piano di parità) che consentano alla pace (ossia la pax americana), e si associno per mantenerla. Originally posted in:
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