Ho sempre scritto che l'Italia non è un paese libero. Non lo è storicamente perché la nostra Unità, per giunta molto discutibile nella forma e nella sostanza, è relativamente recente. E non è tale perché siamo stati dominati da culture totalitarie di cui, paradossalmente, quella fascista è stata quella meno illiberale. Dopo ottant'anni in cui gli italiani non hanno mai conosciuto una rivoluzione liberale, dominato da un cattocomunismo di sinistra maggioritario - la cui unica minaccia non viene da una cultura autenticamente liberale e patriottica ma da un neo-cristianfascismo di destra di ispirazione vagamente putiniana e quasi ortodossa - l'italiano è abituato a certe cose che non solo, in altri paesi ci farebbero ridere dietro, ma che sono anche la causa di tutte quelle oppressioni che noi denunciamo quotidianamente, non ultima il ridicolo DDL sicurezza. Che ha molti aspetti sgradevoli che però si riconducono, tutti, all'equivoco che vede nel cittadino un bambino incapace che ha bisogno della protezione di Babbo Stato a cui poi consegnerà il suo futuro.

Come si coniugano queste riflessioni con le polemiche su Tony Effe? Altrove, la questione non si porrebbe. Né lui né i rapper, in generale, mi piacciono. Ma da liberale sono abituato a pensare che, fin quando non si violano le leggi volute dal potere legislativo espressione del popolo, ognuno dovrebbe pensare, dire e fare il cavolo che gli pare, senza render conto ad un'oligarchia tarata sulle convenienze politiche del momento, oltre al fatto che, proprio per evitare che i patronati mediatici decidano "cu avi a campare e cu avi a crepare" si debba incentivare l'autoproduzione di chi ritiene di aver cose da dire e da dare, così da non passare per le forche caudine di padrini e padroni.
Tony Effe ha violato delle leggi per meritare la censura? Aspettiamo che ce lo dica la magistratura ma, fino a quel giorno, deve esprimere se stesso e, al limite, assumersene le conseguenze, senza giustificarsi, senza che si senta l'esigenza di difenderlo assumendo, per esempio, che questi in realtà non pensa ciò che dice ma si limiti a "denunciare ciò che oggi è la società blablabla", perché questo è l'altro aspetto di quel riflesso condizionato su cui si fonda l'inganno dello "Stato Etico". Perché che l'arte e, in generale, ogni cosa che si fa, debba avere una funzione educativa, è una scemenza tipicamente statalistica.
In generale, l'idea dello Stato Educatore è stupida e pericolosa, specialmente quando questa visione cerca di imporsi su chi lascia una traccia nel mondo della propria essenza interiore. Quando Picasso pubblicò la famosa Guernica, intendendo rimarcare quanto la guerra sia distruttiva e alla fine si risolva in un bagno di sangue e di ossa rotte, esprimeva un pensiero dissonante rispetto alla sua epoca di arditismo e militarismo che, con i parametri del tempo, sarebbe stato visto come "diseducativo". Non c'è autorità che possa mettersi di traverso nella vita delle persone senza rendergliela difficile e senza trasformarsi in una tirannia.
Tony Effe non educa, non fa denunce, non è tenuto a farlo né deve porsi il problema di ciò che fa, semplicemente perché, da artista, esprime un suo punto di vista, indipendentemente dai motivi più o meno etici che lo stimolino. Facendo arte, l'artista produce ciò che pensa di ciò che lo riguarda e circonda. Poi può piacere e non. E, almeno personalmente, quando si tratta di rap italiano, non riesco a farmi un'amara risata quando osservo che, appartenendo alla nazione della bella musica e del bel canto, pur tuttavia vi sia quest'impellenza di imitare l'America nelle cose peggiori. Il rap è merda pura, fatta per un popolo privo di senso estetico e il cui ambiente attorno ad esso roteante è popolato da avanzi di galera che entrano ed escono dalla gattabuia, come Puff Daddy per esempio.

Sarebbe bellissimo se ci ricordassimo che siamo la patria di Verdi, Toscanini, Pavarotti, Puccini, non di Fedez. Ma non è niente che si raggiunga censurando e vietando, almeno fin quando non si commettano reati. Uno Stato che si appropria del compito di educare, presuppone che i propri valori debbano essere unici, indiscutibili, incontestabili, tappando la bocca di chiunque proponga narrazioni che vadano oltre la propaganda.
Si chiama dittatura.


Franco Marino


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Comments

Non amo la musica rap, non amo il festival di Sanremo, non amo tantissimi programmi televisivi. Mi limito a non venderli, non ne parlo. Se mi chiedono un parere rispondo che non ascolto/ guardo certe cose. Perso che, se invece di farne dei " casi di stato" ci limitassimo ad ignorarli sarebbe meglio.
 
Si ma c'è un però, questa gente sta da mane a sera a romperci i coglioni col patriarcatoh, a farci la morale con l'uomo bianco razzista e cattivo e poi tutti in campo pe sto pagliaccio? Eddai, sarebbe come dici tu se la morale in questa farsa di nazione fosse una cosa seria ma è evidente che non lo è.
 
Non mi aspetto che lo Stato educhi nessuno ma permettimi di dire che vedere le ragazzine che ascoltano questa roba mi fa venire i brividi
Per non parlare della contraddizione degli altri artisti… si dividono tra un concerto con tanto di scarpette rosse e l’altro in cui va in scena un grande cantante come questo?
Non ha commesso alcun reato e ci mancherebbe altro… è stato furbissimo
Oggi lo conoscono tutti prima non sapevo chi fosse
Il suo agente E’bravo, a capodanno ha venduto tutti i biglietti del suo concerto personale
Nessun martire … molto astuto
 
Lo statalismo non ha nulla a che fare con l'ossessione per lo stato etico. Riguardo ad alcune tematiche io sono dichiaratamente statalista, in quanto sono del parere che il monopolio o comunque il rigido controllo statale su alcuni settori (ad esempio sull'emissione monetaria, sull'energia o sull'economia) costituisca l'unica possibile garanzia per l'esercizio effettivo della sovranità dello Stato e per la tutela dei diritti costituzionali dei suoi cittadini (mi riferisco ai diritti veri, non certo alle finte emergenze che la pseudodestra e la pseudo sinistra italiane di volta in volta ci propinano). Non ho però mai pensato che lo Stato debba educare i cittadini. Addirittura sono tra i pochi cittadini italiani che pensa che la scuola dovrebbe esclusivamente istruire e non anche educare. Ritengo infatti che ipotizzare finalità educative nell'istruzione pubblica equivalga ad aprire le porte alla propaganda di stato, in forme mutevoli e dipendenti dagli orientamenti politici e sociali del momento, ma comunque sempre becere e lesive della libertà di pensiero che in teoria sarebbe anche costituzionalmente garantita.
Mi permetto, inoltre, di fare qualche riflessione sulla tua seguente affermazione: «fin quando non si violano le leggi volute dal potere legislativo espressione del popolo, ognuno dovrebbe pensare, dire e fare il cavolo che gli pare». Tu dimentichi però che tra le leggi dello stato vi sono una serie di norme finalizzate a punire le libere opinioni altrui o l'esercizio del dissenso. Penso ai vari vilipendi presenti nel vigente codice penale, al reato di diffamazione (che nella sua formulazione si presta ad essere utilizzato come arma impropria per zittire le opinioni scomode), al delirante pacchetto sicurezza, alla riforma del codice della strada e via dicendo. Come se non bastassero le tante leggi liberticide in materia civile e penale, da qualche anno a questa parte abbiamo avuto un'impennata di procedimenti disciplinari in campo lavorativo, col risultato che anche una critica priva di rilevanza penale può giustificare un licenziamento. È evidente che le norme civili, penali o giuslavoristiche che consentono la persecuzione del libero pensiero confliggono con l'articolo 21 della Costituzione. Queste norme, pertanto, non possono essere invocate come limite per i comportamenti individuali. D'altra parte è pacifico che serve a poco invocare il rispetto della Costituzione quando gli organismi di garanzia negano la palese incostituzionalità di certe norme. Ma il problema prima che giuridico è culturale: finché si continuerà a pensare che il cittadino debba essere educato dallo Stato, non ci può essere alcuna via d'uscita. Su questo ti do ragione al 100%.
 
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