In uno spazio ove spesso si parla di cose ben più serie, può far sorridere che si scriva delle schermaglie tra una showgirl e un ex-calciatore. E naturalmente, qui non interessa la vicenda in sé abbastanza banale - due divi che si separano e che si scannano in tribunale (mai successo, vero?) - ma lo sfondo e il contorno, spesso molto più importanti.
Cosi queste riflessioni partono dal punto di osservazione privilegiato di chi se n'è sempre fregato della vita privata delle persone famose e che non ha mai comprato libri dove si annunciano "le mie verità" o "la vera storia" di Tizio, Caio e Sempronio. Che Totti, oltre ad essere stato il sublime campione che ogni calciofilo ha potuto apprezzare, abbia avuto una vita sentimentale discutibile, è cosa che non tange minimamente la persona di buonsenso. Ma proprio per questo, non avendo comprato il libro di Ilary Blasi "Che stupida", posso permettermi di trovare ridicoli anche i controcanti di chi, in fondo, vorrebbe imporre al mondo cosa leggere. Anche perché le critiche sono, come spesso accade, di una banalità raccapricciante.

Si inizia con la presunta morbosità dei lettori italiani popolo bue - come se ad aver comprato il libro fossero sessanta milioni e non qualche centinaio di migliaia - fino ad arrivare all'accusa di volgarità, come se Ilary Blasi avesse preteso di aver scritto un capolavoro letterario, e non una semplice e dichiarata operazione commerciale, premiata dalle vendite. E alla fine si arriva all'immancabile contrapposizione con i libri di cultura contrapposti a quelli di successo, nella sempiterna insopportabile diatriba tra i teorici della cultura e quelli della commerciabilità. E soprattutto in tal senso, è bene chiarire che il 99% dei libri che oggi definiremmo capolavori della cultura, in realtà, sono per la stragrande maggioranza, capolavori di ammorbamento di zebedei. Pretenziosi, autoreferenziali e privi di utilità per l'umanità, con l'aggravante della pretesa di essere l'esatto contrario, spesso sono scritti da gente la cui unica ambizione non è comunicare un messaggio, giusto o sbagliato, ma farsi dire "Oh come sei bravo, oh come scrivi bene", casomai, vellicando qualche concetto alla moda, assurgere alle alte sfere del potere, come Vate da imporre e citare a masse desiderose non di ragionare ma di militare.

In questo senso, se c'è un modo per indurmi un giorno a leggere qualcosa di Ilary Blasi, è proprio la convinzione che non vada letta per impormi casomai qualche inutile libro della Murgia o di qualche nume tutelare della pseudocultura italiana, magari di stampo femministico, per proiettarmi in un universo di peli superflui e di odio verso il maschio. Che fa pari e patta con la convinzione che chi non si sia vaccinato, chi guidi una macchina a benzina, chi non ritenga che Zelensky sia un eroe, chi non voglia mangiare insetti a tavola, sia un pericolo per l'umanità; il dirigismo statalistico e totalitario dietro ciascuna di queste cose è il medesimo.
Di fronte a chi vuole impormi cosa leggere, ai burocrati dell'intellettualismo partitico, persino Ilary Blasi diventa, ai miei occhi, la nuova Matilde Serao.



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