Sui newsfeed di tutti i social campeggia la notizia del povero Aron, il pitbull bruciato vivo, con conseguente indignazione generale e di una ragazzetta di Palermo che ha buttato un gatto in una fontana, facendolo annegare.
Il copione è sempre lo stesso: torme di idioti che si scannano sui social equamente divisi tra sadici psicopatici che incrudeliscono sugli animali e adrenalinici cretini multimediali che invocano giustizia di piazza, sputtanamento mediatici, ergastoli e chissà che altro, in un frastuono noioso la cui somma è zero. Tanto si sa che l'indignazione per i fatti di cronaca che riguardano gli animali dura 2-3 giorni per poi cadere nel dimenticatoio, giusto il tempo di essere sostituita da altre bolle mediatiche.
Ho sempre detto - e non mancherò mai di ribadirlo - che detesto il fanatismo animalista. Detesto le ideologie che ruotano attorno ad esso - ambientalismo, veganismo - e in generale la convinzione che essi siano "migliori degli uomini", come con spregio del ridicolo si tende a dire. Nondimeno, io con gli animali ho un rapporto assolutamente normale e aggiungerei sereno e positivo. Ho dei gatti, ho regalato due cagnoline a mia figlia con le quali, spesso, gioco anche io, ho delle galline e delle caprette alle quali non sarei minimamente in grado di torcere una penna o un pelo (stavo per scrivere, capello).
Tutto questo per dire, ai fessi che confondono più o meno in malafede la mia avversione contro il fanatismo animalista con l'odio per gli animali, che la violenza sugli animali infastidisce enormemente anche me, soprattutto quando gratuita. E non metto assolutamente in discussione il comprensibile sdegno di quando, non di rado, la violenza su un animale finisce nella cronaca, fin quando non scade nella psichiatria. E dunque sono sensibile anche io ad un tema molto semplice: "Come fermare la violenza sugli animali?".
La prima risposta a questa domanda viene dal punto centrale: lo spirito che ci porta a prenderne uno. Per esempio, uno dei motivi per cui non ho mai voluto prendere un gatto domestico è che bisogna a tutti i costi sterilizzarlo. E il motivo è ovvio: quando hai tolto i testicoli al gatto, questo smette di andare a cercare nuovi territori e dunque si lega al padrone di casa, cosa che ad un gatto maschio non capita praticamente mai. E tutto ciò non sono mai riuscito ad accettarlo. Forse perché avrei un certo pregiudizio pure io verso coloro che cercassero di tagliarmi le palle. Naturalmente, veterinari e gattari vari mi elencheranno i numerosissimi motivi, anche nobili, per fare una cosa del genere, ma non riesco a seguirli su questo campo: è più forte di me. Io, per principio, rifiuto questa cosa che un animale domestico vada sterilizzato, quale che sia la ragione.
Il mio rapporto con i gatti dunque è volto al rispetto della loro natura. E dal momento che vivo, da quasi quattro anni, in una piccola casetta col giardino, ho capito, in questo tempo molto dei gatti e della loro personalità, del tutto sconosciuto a me prima, specialmente quando ne conoscevo la loro variante domestica.
Ecco, il punto è esattamente questo: amare un animale significa capirlo. Tutti noi, ubriacati da decenni di cartoni animati che vedevano, come protagonisti, animali antropomorfi, che parlano, che stanno in piedi, che hanno comportamenti umani, siamo stati convinti che quando prenderemo un cane, sia come Pongo e Peggy, che quando prendiamo una bellissima gatta bianca, essa ci parlerà con la voce elegante ed aristocratica di Melina Martello. Così i nostri bambini chiedono con desiderio ai genitori di averne uno e, quando si rendono conto che quelle di Walt Disney sono favole, devono necessariamente rifare daccapo il proprio "linguaggio" di interazione con i loro piccoli amici.
Pochi bambini hanno consapevolezza - e la cosa grave è che ancor meno ne hanno i genitori - che comprare un animale significa mettersi in casa una persona aggiuntiva, che ha esigenze esattamente come le hanno i proprietari. Ed è esattamente questo alla base del retroterra insano che, portato alle estreme conseguenze, provoca casi come quello di Aron.
Leggo che il governo Meloni ha fatto approvare un decreto che prevede la revoca della patente automobilistica per chi abbandona gli animali. E, a parte trovarlo un pericolosissimo precedente - cosa diavolo c'entra la revoca della patente con l'abbandono degli animali? - il vero punto è che, se proprio si vuole introdurre l'ennesima patente - come se il Leviatano non avesse già la sua invasività nella vita di tutti i giorni - semmai ci vorrebbe una patente per il possesso degli animali. D'altro canto, così come quando ci si mette alla guida, bisogna conoscere il codice della strada e, in generale, come funziona un'auto, perché i propri comportamenti scorretti possono nuocere ad altri, così quando si possiede un animale bisognerebbe sincerarsi che il padrone sappia cosa significa averne uno, specialmente quando si tratta, per esempio, di cani particolarmente robusti e aggressivi. Perché è questo e soltanto questo ad introdurre una maggiore conoscenza degli animali e, dunque, il rispetto che si deve alle loro vite.
Questa potrebbe essere una soluzione adeguata, se non fosse che io ho sempre paura di dare allo Stato il potere di introdurre nuove patenti. Anche perché non c'è patente che tenga di fronte agli imbecilli patentati. Semmai, ogni tanto ci vorrebbe un po' di sano spirito lombrosiano, anche perché basta vedere in faccia i due imbecilli per ritrovarsi immediatamente proiettati nelle atmosfere da "banalità del male" che Hannah Arendt ben affrescò nel suo omonimo saggio.
Il copione è sempre lo stesso: torme di idioti che si scannano sui social equamente divisi tra sadici psicopatici che incrudeliscono sugli animali e adrenalinici cretini multimediali che invocano giustizia di piazza, sputtanamento mediatici, ergastoli e chissà che altro, in un frastuono noioso la cui somma è zero. Tanto si sa che l'indignazione per i fatti di cronaca che riguardano gli animali dura 2-3 giorni per poi cadere nel dimenticatoio, giusto il tempo di essere sostituita da altre bolle mediatiche.
Ho sempre detto - e non mancherò mai di ribadirlo - che detesto il fanatismo animalista. Detesto le ideologie che ruotano attorno ad esso - ambientalismo, veganismo - e in generale la convinzione che essi siano "migliori degli uomini", come con spregio del ridicolo si tende a dire. Nondimeno, io con gli animali ho un rapporto assolutamente normale e aggiungerei sereno e positivo. Ho dei gatti, ho regalato due cagnoline a mia figlia con le quali, spesso, gioco anche io, ho delle galline e delle caprette alle quali non sarei minimamente in grado di torcere una penna o un pelo (stavo per scrivere, capello).
Tutto questo per dire, ai fessi che confondono più o meno in malafede la mia avversione contro il fanatismo animalista con l'odio per gli animali, che la violenza sugli animali infastidisce enormemente anche me, soprattutto quando gratuita. E non metto assolutamente in discussione il comprensibile sdegno di quando, non di rado, la violenza su un animale finisce nella cronaca, fin quando non scade nella psichiatria. E dunque sono sensibile anche io ad un tema molto semplice: "Come fermare la violenza sugli animali?".
La prima risposta a questa domanda viene dal punto centrale: lo spirito che ci porta a prenderne uno. Per esempio, uno dei motivi per cui non ho mai voluto prendere un gatto domestico è che bisogna a tutti i costi sterilizzarlo. E il motivo è ovvio: quando hai tolto i testicoli al gatto, questo smette di andare a cercare nuovi territori e dunque si lega al padrone di casa, cosa che ad un gatto maschio non capita praticamente mai. E tutto ciò non sono mai riuscito ad accettarlo. Forse perché avrei un certo pregiudizio pure io verso coloro che cercassero di tagliarmi le palle. Naturalmente, veterinari e gattari vari mi elencheranno i numerosissimi motivi, anche nobili, per fare una cosa del genere, ma non riesco a seguirli su questo campo: è più forte di me. Io, per principio, rifiuto questa cosa che un animale domestico vada sterilizzato, quale che sia la ragione.
Il mio rapporto con i gatti dunque è volto al rispetto della loro natura. E dal momento che vivo, da quasi quattro anni, in una piccola casetta col giardino, ho capito, in questo tempo molto dei gatti e della loro personalità, del tutto sconosciuto a me prima, specialmente quando ne conoscevo la loro variante domestica.
Ecco, il punto è esattamente questo: amare un animale significa capirlo. Tutti noi, ubriacati da decenni di cartoni animati che vedevano, come protagonisti, animali antropomorfi, che parlano, che stanno in piedi, che hanno comportamenti umani, siamo stati convinti che quando prenderemo un cane, sia come Pongo e Peggy, che quando prendiamo una bellissima gatta bianca, essa ci parlerà con la voce elegante ed aristocratica di Melina Martello. Così i nostri bambini chiedono con desiderio ai genitori di averne uno e, quando si rendono conto che quelle di Walt Disney sono favole, devono necessariamente rifare daccapo il proprio "linguaggio" di interazione con i loro piccoli amici.
Pochi bambini hanno consapevolezza - e la cosa grave è che ancor meno ne hanno i genitori - che comprare un animale significa mettersi in casa una persona aggiuntiva, che ha esigenze esattamente come le hanno i proprietari. Ed è esattamente questo alla base del retroterra insano che, portato alle estreme conseguenze, provoca casi come quello di Aron.
Leggo che il governo Meloni ha fatto approvare un decreto che prevede la revoca della patente automobilistica per chi abbandona gli animali. E, a parte trovarlo un pericolosissimo precedente - cosa diavolo c'entra la revoca della patente con l'abbandono degli animali? - il vero punto è che, se proprio si vuole introdurre l'ennesima patente - come se il Leviatano non avesse già la sua invasività nella vita di tutti i giorni - semmai ci vorrebbe una patente per il possesso degli animali. D'altro canto, così come quando ci si mette alla guida, bisogna conoscere il codice della strada e, in generale, come funziona un'auto, perché i propri comportamenti scorretti possono nuocere ad altri, così quando si possiede un animale bisognerebbe sincerarsi che il padrone sappia cosa significa averne uno, specialmente quando si tratta, per esempio, di cani particolarmente robusti e aggressivi. Perché è questo e soltanto questo ad introdurre una maggiore conoscenza degli animali e, dunque, il rispetto che si deve alle loro vite.
Questa potrebbe essere una soluzione adeguata, se non fosse che io ho sempre paura di dare allo Stato il potere di introdurre nuove patenti. Anche perché non c'è patente che tenga di fronte agli imbecilli patentati. Semmai, ogni tanto ci vorrebbe un po' di sano spirito lombrosiano, anche perché basta vedere in faccia i due imbecilli per ritrovarsi immediatamente proiettati nelle atmosfere da "banalità del male" che Hannah Arendt ben affrescò nel suo omonimo saggio.
Io a gente con quella faccia non affiderei nemmeno un peluche.