Mio padre aveva trentatré anni più di me, non tanti, ma chiunque lo conobbe, lo descriveva come un signore di altri tempi. Il fatto è che lui lo era davvero. Essendo figlio di genitori molto anziani (50 il padre, 45 la madre) ereditò un'educazione ottocentesca, che esprimeva anche in modi che lo facevano sembrare molto più anziano di quel che effettivamente fosse. Avendo convissuto con lui fino al suo ultimo istante di vita, è col suo tipo di mascolinità che mi sono confrontato. Che non era né scapaccioni né urla, ma una serie di caratteristiche che viceversa mia madre - emotività, impulsività, tenerezza e dolcezza - non aveva. Papà era l'autocontrollo costante, la freddezza polare nel porsi davanti al pericolo, alle disgrazie, la riservatezza, un humour raccapricciante (non a caso era, curiosamente data l'età avanzata, un grande fan dei Simpson e dei Griffith) e tutto questo sia nella piena salute che nei dieci anni di Parkinson. Ricordo ancora quando uscimmo dall'ospedale con la diagnosi della malattia, già provati dalla morte di mamma avvenuta una settimana prima. Ci guardammo e mi scappò di chiedergli "E mo'?" e lui "Eh e mo' me ne vado a casa, mi faccio un whisky doppio e poi mi organizzo". Straordinario.
Con papà ho capito che la virilità non è assestare un montante sul naso a chi fa di tutto per tirarcelo, ma scegliere il momento giusto - rarissimo - in cui colpire davvero. Papà non lasciava che le emozioni prendessero il sopravvento sulla sua lucidità. E la cosa paradossale è che questo non avvenne nemmeno quando la demenza a corpi di Lewy (tipica del Parkinson) prese progressivamente la sua mente, annebbiandola irreparabilmente. Questo è l'insegnamento da me ricevuto, da lui.
La principale accusa rivolta al maschio odierno è l'incapacità di far fluire le proprie emozioni. D'altronde, ai tempi di mio padre, se si piangeva, si veniva accusati di essere femminucce. Oggi invece, in piena disinibizione emotiva, all'uomo viene detto che può "abbandonarsi alla sua parte femminile". Il guaio di questo ragionamento è che tuttavia la personalità non è un mosaico ma un blocco unico. Togliendone un pezzo, si altera l'intera struttura. Abbandonarsi alle proprie emozioni è esattamente il principio che, se non disciplinato, porta un uomo a perdere la testa e picchiare una donna fino ad ammazzarla, perché una donna, essendo meno forte fisicamente, se perde la testa è comunque difficile che possa ammazzare un uomo, mentre il contrario è ovviamente molto più facile. Così come abbandonarsi alle proprie emozioni - belluine, ferali, volgari, emozioni negative certo - è alla base di fatti orrendi come quelli relativi allo stupro di Palermo. La cosa più stupida sarebbe quella di dare la colpa di quella vicenda al concetto di patriarcato. E' un'emerita cazzata. Perché?
Cercando di evitare il reazionarismo da un euro al chilo, la società in cui era vissuto mio padre non era certo rose e fiori. E tuttavia, la regola era che certe questioni si regolavano con una sana scazzottata, senza scomodare aule di tribunale, come invece va di moda oggi. Mio padre, uomo mite e pacifico, non ne prendeva mai parte ma mi ha raccontato tanti episodi a tinte forti che oggi sarebbero improponibili. Negli anni della sua adolescenza, dunque gli anni Sessanta, secondo il "patriarcato", la vita per le donne non si ispirava certo ai principi odierni del libertarismo, questo è vero. Ma è anche vero che chiunque osasse anche solo sfiorare una donna senza il suo consenso, dopo qualche minuto si sarebbe ritrovato sotto casa una pletora di maschi tra fratelli, padri, amici della vittima (magari interessati a farsi apprezzare da lei come potenziali partner) che lo avrebbero gonfiato come un cotechino a Capodanno, ponendo una pietra tombale alla sua reputazione e senza un Facebook dove iscriversi sotto falso nome e rifarsi una vita parallela: una volta compromessa la propria reputazione era per sempre. L'educazione di quei tempi non veniva impartita da opinion leader che volevano vendere libri, ma da uomini che muovendosi ogni giorno sul filo di una vita precaria, in cui la morte veniva vista in faccia, ci mostravano la differenza tra le fesserie e le cose vere.
Non dico che il patriarcato fosse quest'era felice. Semplicemente, certi odierni atteggiamenti derivano dall'esatto opposto della mascolinità che le donne vorrebbero condannare e semmai da una progressiva femminilizzazione dell'uomo. Pensare di sostituire il macho col femminiello è semplicemente folle e ridicolo.
Il maschio, questo è ciò che non si capisce, diversamente dalle donne di cui si loda l'emotività - anche quando trascende, venendo sempre giustificate - non è educato tanto alla forza, intrinseca alla maggiore quantità di testosterone rispetto ad una donna, ma alla gestione della forza. La mascolinità è una scuola di autocontrollo delle proprie forze. I cani più forti, quelli che con un morso ti possono staccare una mano, sono quelli che la pazienza la perdono molto più difficilmente di tutti gli altri. Condannare questa cultura non significa diminuire i "femminicidi" ma aumentarli sempre di più. Il maschio moderno non ha bisogno di essere più femminile, già lo sta diventando e lo diventerà sempre più. E proprio per questo, i femminicidi aumenteranno.
Con papà ho capito che la virilità non è assestare un montante sul naso a chi fa di tutto per tirarcelo, ma scegliere il momento giusto - rarissimo - in cui colpire davvero. Papà non lasciava che le emozioni prendessero il sopravvento sulla sua lucidità. E la cosa paradossale è che questo non avvenne nemmeno quando la demenza a corpi di Lewy (tipica del Parkinson) prese progressivamente la sua mente, annebbiandola irreparabilmente. Questo è l'insegnamento da me ricevuto, da lui.
La principale accusa rivolta al maschio odierno è l'incapacità di far fluire le proprie emozioni. D'altronde, ai tempi di mio padre, se si piangeva, si veniva accusati di essere femminucce. Oggi invece, in piena disinibizione emotiva, all'uomo viene detto che può "abbandonarsi alla sua parte femminile". Il guaio di questo ragionamento è che tuttavia la personalità non è un mosaico ma un blocco unico. Togliendone un pezzo, si altera l'intera struttura. Abbandonarsi alle proprie emozioni è esattamente il principio che, se non disciplinato, porta un uomo a perdere la testa e picchiare una donna fino ad ammazzarla, perché una donna, essendo meno forte fisicamente, se perde la testa è comunque difficile che possa ammazzare un uomo, mentre il contrario è ovviamente molto più facile. Così come abbandonarsi alle proprie emozioni - belluine, ferali, volgari, emozioni negative certo - è alla base di fatti orrendi come quelli relativi allo stupro di Palermo. La cosa più stupida sarebbe quella di dare la colpa di quella vicenda al concetto di patriarcato. E' un'emerita cazzata. Perché?
Cercando di evitare il reazionarismo da un euro al chilo, la società in cui era vissuto mio padre non era certo rose e fiori. E tuttavia, la regola era che certe questioni si regolavano con una sana scazzottata, senza scomodare aule di tribunale, come invece va di moda oggi. Mio padre, uomo mite e pacifico, non ne prendeva mai parte ma mi ha raccontato tanti episodi a tinte forti che oggi sarebbero improponibili. Negli anni della sua adolescenza, dunque gli anni Sessanta, secondo il "patriarcato", la vita per le donne non si ispirava certo ai principi odierni del libertarismo, questo è vero. Ma è anche vero che chiunque osasse anche solo sfiorare una donna senza il suo consenso, dopo qualche minuto si sarebbe ritrovato sotto casa una pletora di maschi tra fratelli, padri, amici della vittima (magari interessati a farsi apprezzare da lei come potenziali partner) che lo avrebbero gonfiato come un cotechino a Capodanno, ponendo una pietra tombale alla sua reputazione e senza un Facebook dove iscriversi sotto falso nome e rifarsi una vita parallela: una volta compromessa la propria reputazione era per sempre. L'educazione di quei tempi non veniva impartita da opinion leader che volevano vendere libri, ma da uomini che muovendosi ogni giorno sul filo di una vita precaria, in cui la morte veniva vista in faccia, ci mostravano la differenza tra le fesserie e le cose vere.
Non dico che il patriarcato fosse quest'era felice. Semplicemente, certi odierni atteggiamenti derivano dall'esatto opposto della mascolinità che le donne vorrebbero condannare e semmai da una progressiva femminilizzazione dell'uomo. Pensare di sostituire il macho col femminiello è semplicemente folle e ridicolo.
Il maschio, questo è ciò che non si capisce, diversamente dalle donne di cui si loda l'emotività - anche quando trascende, venendo sempre giustificate - non è educato tanto alla forza, intrinseca alla maggiore quantità di testosterone rispetto ad una donna, ma alla gestione della forza. La mascolinità è una scuola di autocontrollo delle proprie forze. I cani più forti, quelli che con un morso ti possono staccare una mano, sono quelli che la pazienza la perdono molto più difficilmente di tutti gli altri. Condannare questa cultura non significa diminuire i "femminicidi" ma aumentarli sempre di più. Il maschio moderno non ha bisogno di essere più femminile, già lo sta diventando e lo diventerà sempre più. E proprio per questo, i femminicidi aumenteranno.
Quelli di Palermo non sono maschi ma femminielli. I veri uomini non fanno del male alle donne, pensano solo ad amarle e proteggerle.