Le proteste di Parigi sono giunte fino in Italia e tra chi sproloquia di Rivoluzione Francese 2.0 e chi invece si rifugia nell'ormai stantio ed irritante "Eh gli italiani la Rivoluzione non la fanno mai", non ci siamo mai chiesti se davvero il tema della protesta francese sia sensato. Per farla breve, in Francia si protesta per una riforma molto simile a quella che, approvata dal governo Dini nel 1995, trasformò il sistema pensionistico da retributivo a contributivo. Piccola spiegazione per i più giovani. Il sistema retributivo tarava le pensioni sulla base dell'ultima retribuzione. Viceversa, quello contributivo, come dice la parola stessa, si basa contributi versati, scaricando sul cittadino l'onere di versarli: una privatizzazione mascherata, che pone le basi per una pericolosissima bomba sociale che esploderà tra una decina d'anni e di cui già intuiamo il ticchettio.
Che si tratti di una truffa, per di più pensata forse intuendo gli anni che sarebbero venuti, è un dato di fatto. Il problema è che questa truffa è soltanto una delle tante voci del conto presentato dagli americani all'Europa. Certamente, nel sistema pensionistico precedente, c'è stato chi se n'è approfittato: si pensi ai tanti baby pensionati. Così come è vero che forse il sistema retributivo non era economicamente sostenibile. Ma il punto tanto in Francia quanto in Italia è un altro: chi protesta fa bene a volere un sistema pensionistico statale che lo tuteli? O forse il problema è proprio l'idea della protezione sociale?

In un sistema statalistico classico, il dipendente pubblico è sgravato dalla correlazione tra la sua effettiva produttività e la sua retribuzione. Il problema è che lo Stato, per pagare gli stipendi ai suoi dipendenti, deve prima produrli. Altrimenti sarà costretto a fare quel che attualmente fa: alzare le tasse, inventarsi pretesti per ridurre la sua popolazione, costruire un robusto sistema di controllo e dossieraggio, al fine di raschiare quanto può dal fondo del barile. E mentre gli stipendi statali vengono dati ai dipendenti pubblici già detassati, sempre e comunque, anche quando non fanno nulla, nel privato tutto si basa su quanto effettivamente il datore di lavoro guadagni e decida di dichiarare e su quanto il dipendente privato accetti di farsi dare. Lo Stato, non rassegnandosi al fatto che a nessuna delle due parti convenga farsi schedare in modalità Grande Fratello, si trasforma sempre di più in un controllore ossessivo e invadente, senza minimamente rendersi conto che forse il problema è a monte e cioè: conviene oggi alla gente produrre? E soprattutto, conviene oggi un sistema statalistico?

Il grande equivoco dietro tutte le operazioni di "macelleria sociale" come le definirebbe la sinistra, sta nel fare un fritto misto tra modelli liberisti e modelli statalisti. Il sistema retributivo sta in piedi se lo stato ha risorse a sufficienza: se questo non avviene, è costretto a stampare moneta generando inflazione e ritoccando al rialzo i salari pubblici attraverso micidiali scale mobili e a prendere in prestito il danaro. Viceversa, il contributivo sta in piedi solo in un sistema autenticamente liberale dove c'è grande produttività e dove ogni giorno le aziende sono in lotta per accaparrarsi quote di mercato, cosa che farà scendere i prezzi e aumentare i salari dei dipendenti. Questo meccanismo lo vedo ogni giorno in un sistema, come il mio (informatica) liberista per eccellenza (più per demeriti degli stati che non riescono a regolamentarlo globalmente, che per meriti propri) che mi vede ogni giorno combattere con concorrenti che cercano di strapparmi i miei collaboratori più preziosi e dunque io devo lavorare di più per produrre di più per cercare di pagare di più chi lavora per me. E' questo che innalza gli stipendi, non provvedimenti statalistici che di fatto incidono pesantemente e negativamente sul rapporto tra datore di lavoro e dipendente. In un sistema dove c'è poca impresa privata e dove c'è dunque poca offerta e un'ampia domanda, assisteremo a file di lavoratori disposti a prostituire i propri diritti senza nemmeno immaginare che un giorno si ritroveranno senza niente: e questo è il sistema italiano. Ma in un sistema dove l'offerta supera la domanda, la forza lavoro andrà da chi paga di più e offre più diritti. Proporre scemenze come il salario minimo, invocare il ritorno ai sistemi pensionistici del passato, non farà altro che rendere più fitto il sottobosco di lavoro nero che soffoca il sistema italiano, col risultato che sempre meno imprese produrranno e sempre più delocalizzeranno e i salari saranno sempre più bassi, col risultato che aumenterà la fila di persone che, arrivate ad una certa età, tenteranno concorsi per entrare nel settore pubblico, diminuendo la produttività e costringendo lo Stato - se non vuole ritrovarsi una bomba sociale - a dover assumere dipendenti statali a gogo, ad elargire redditi minimi e quant'altro, a tassare sempre di più la produzione privata, indebitandosi sempre più e avendo però sempre meno risorse per pagare i propri debiti, in un circolo vizioso che quando poi vengono meno gli "interessati aiuti esterni", porta dritti dritti al fallimento.

Chi oggi nel mondo protesta contro il sistema pensionistico, contro i salari ridotti, dimentica un banale principio di buonsenso: se l'acqua è poca, la papera non galleggia. La ricchezza, per essere redistribuita, prima va prodotta. E per produrla, non bisogna mettere troppi freni al mercato, altrimenti nessuno ha lo stimolo di produrre ricchezza e lo Stato dunque non può redistribuirla: si può portare il cavallo all'abbeveratoio ma non lo si può obbligare a bere.
Chi protesta, in Francia come in Italia, per avere la protezione dello Stato, merita tutta la comprensione e la solidarietà umana di questo mondo, ma non ha ancora fatto la principale e definitiva scoperta: è lo Stato il suo problema.

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Franco Marino
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