Se un organo, per giunta fondamentale per la sopravvivenza, è irrimediabilmente compromesso da una malattia provocata da quello specifico organo, un trapianto può risolvere il problema. Ma se la malattia è provocata da cause esterne a quell'organo, il trapianto è inutile. Tutte le volte che si parla della scuola come se fosse un problema isolato dal resto, si commette un errore di fondamentale importanza: curare l'organo senza chiedersi se malattia non sia ben più ampia. Infatti, tutte le discussioni sulla scuola lasciano indifferente la persona di buonsenso proprio perché l'istruzione è uno dei tanti organi di un corpo infetto ed è dunque uno dei tanti specchi di una società malata di suo. E proprio la mancata comprensione di questo aspetto ci fa assistere spesso ad un profluvio dal sapore vagamente antitaliano e qualunquistico di discorsi da bar, di riforme sostanzialmente inutili, dettati dalla moda del momento - ora reazionaria (il ritorno del maestro unico) ora progressista (le inutili prove Invalsi) - di generalizzazioni sciocche, di immancabili stranieri finlandesi che parlano male della scuola (come se la Finlandia avesse prodotto chissà quali capolavori culturali, artistici e scientifici) in sintesi, di un fastidioso rumore di fondo, tipico dei dibattiti imperniati sul nulla mischiato col niente. Perché non si affronta il vero tema di fondo: è la scuola il problema o la malattia è più ampia? E qual è questa malattia?

La malattia è quella della nostra società in generale: lo statalismo.
D'altra parte, se lo scopo di una scuola è formare l'individuo, preparandolo ad affrontare il tipo di mondo in cui vivrà, non può mostrargli una società che non esiste. Se lo Stato ogni giorno criminalizza il merito facendo credere che chi è più bravo lo è sempre e comunque perché ha corrotto qualcuno o perché ha rubato qualcosa, la scuola attaccherà il carro dove vuole il padrone: insegnerà agli alunni che il loro obiettivo non è quello di essere i migliori ma prendere "sei" in pagella, magari concordando con loro le domande e le risposte. Il nostro alunno arriverà a quell'università che attaccherà il carro dove vuole il padrone: insegnerà agli alunni che il loro obiettivo non deve essere quello di accumulare conoscenze che serviranno per trovare nuovi clienti ma gli basterà imparare a memoria ciò che il professore ha detto su un libro che guarda caso è anche il libro che ha scritto lui, per poi un giorno applicare rigidamente, in qualsiasi scienza, i protocolli decisi dall'alto.
Inoltre un altro problema della scuola è che è gratuita e pubblica. Formalmente esiste anche la scuola privata ma è sottoposta ad una serie di regole fatte apposta per annullarne i vantaggi e per renderle, dunque, peggiori di quelle statali, oltre al fatto che in un paese statalistico, la scuola privata non ha alcun senso. Le famiglie danno, così, per scontata una cosa che non soltanto non lo è - non lo è né nel senso economico del termine (dato che costa molto allo stato) né in quello morale, dato che miliardi di bambini nel mondo a scuola non ci vanno - ma anzi è gestita da uno stato che, in quanto tale, in cambio del fatto di doverla mantenere economicamente, vi impone l'ideologia corrente del momento. E così la scuola è oggi rabbiosamente antifascista come ieri è stata fascista. Ed è oggi rabbiosamente ultravax e filoucraina come diventerebbe novax e filorussa, se domani il vento della storia cambiasse. Avendo però come costante quella di non insegnare lo spirito critico bensì il conformismo sempre e comunque. Ma del resto, se lo Stato penalizza ogni forma di iniziativa privata e finanzia senza alcun reale criterio produttivo anche scuole e università che non producono gente di valore, è ovvio che né gli alunni saranno stimolati a migliorare se stessi, né i professori si impegneranno per stimolarli, né i presidi saranno invogliati a far andare bene le proprie scuole. Tanto il loro stipendio a fine mese lo prenderanno lo stesso.

Ogni discussione sulla scuola acquisisce un senso soltanto se si mette in discussione la società in generale nella sua struttura. Se di fronte ad un grande talento, ad una grande azienda, ad un grande imprenditore, ad una persona che si laurea presto e bene, noi siamo portati a pensare sempre e solo a cosa ci sia di sbagliato, a quali crimini abbia commesso, non c'è da stupirsi che poi la scuola si appiattisca di conseguenza. Se la società criminalizza il merito, gli alunni non si batteranno per avere 10 in pagella e i professori non faranno in modo di stimolarli ad andare oltre il 6.
Tanto, anche loro, come altri milioni di italiani, lo stipendio a fine mese lo prendono lo stesso, senza rischiare nulla. Salvo che, ca va sans dire, parlino bene di Putin o decidano di non vaccinarsi.

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Statalismo o liberismo, merito o non merito, sei politico o meno, gli italiani continuano a emigrare. E chi emigra spesso e volentieri si realizza, sia esso un brillante ricercatore o un muratore con la licenza media serale. Mai visto 6 politici: chi non studiava prendeva 2 o anche meno. Talvolta il 5 si tramutava in 6 a fine anno, per premiare la perseveranza e l'impegno. Ho visto voti sopra la sufficienza maggiorati da simpatie personali e/o politiche (i temi di italiano antiberlusconiani di cui mi vergogno come un ladro), 7 che diventavano 8 o 9.
 
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Ti ho letto per mio piacere. Sulla scuola ho poco da dire. A parte me, che da signorina di brava famiglia ho sempre vissuto in collegi privati, i miei figli hanno frequentato scuole pubbliche ottime. Inclusa l'università. Però parlo di Padova anni 80-90.
 

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Franco Marino
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