Scrivere che in guerra la prima vittima è la verità è una tale ovvietà che hanno attribuito questa citazione ad almeno una decina di autori, anche se pare che il primo fosse Eschilo. Così, dato per scontato quanto sopra, per capire come stia andando una guerra, il segreto è capire il tipo di bugia e perché. Queste guerre a cui stiamo assistendo, vengono raccontate per come non sono, il che è ovvio. Ma capendo le bugie e le loro ragioni, possiamo capire dove andranno a finire.
La prima cosa da dire al riguardo è che così come molti pensano che la guerra in Ucraina sia scoppiata il 24 Febbraio di quest'anno - ma in realtà dura da otto anni - analogamente anche in Kosovo, da più di vent'anni, va in onda una situazione del tutto analoga.
È possibile criticare gli americani, in quanto principali responsabili di queste situazioni, perché quando si finanziano e si appoggiano mercenari e musulmani fanatici, e quando si bombarda la Serbia e si permette che il Kosovo diventi un campo di addestramento per terroristi islamici, la sentenza di colpevolezza è scontata. Ma descrivere l'accelerazione di questa situazione come provocata dagli americani, è il miglior modo per non fare capire la reale entità della situazione, proprio perché gli yankees non è da oggi ma da anni che provocano russi e serbi. In generale descrivere la guerra in Ucraina come iniziata il 24 Febbraio, è una palla. Sono anni che si fa la guerra in quelle zone, sono anni che coraggiosi giornalisti come Giorgio Bianchi e pochi altri non addormentati, documentano quanto sta accadendo. La vera novità è che il 24 Febbraio i russi hanno deciso di reagire. E adesso forse è il turno della Serbia. E questo può avere molte spiegazioni.
Il vero evento che ha cambiato la storia dell'Occidente è il ritiro da Kabul, che appartiene ad una strategia americana che prescinde da chi sia il presidente.
Quando in generale si ritiene che i repubblicani siano isolazionisti e i democratici no, non si tiene conto che la fine della globalizzazione è stata decisa a Davos già nel 2009. E che ha avuto come picco proprio la vicenda Covid, concepita in modo tale da giustificare una crisi finanziaria che in realtà altro non è che la decisione degli americani di ritirarsi dai debiti europei, dapprima tenuti in piedi in chiave antisovietica. L'esplosione della Cina e il ritorno della Russia come grande potenza mondiale, di fatto segnano la fine dell'imperialismo americano. Quella che "la lotta è tra globalisti e sovranisti" è una spiegazione impropria. In realtà in atto vi è una guerra tutta interna tra isolazionismi americani. I repubblicani, tendenzialmente più realisti e pragmatici, pensano che gli americani dovrebbero ritirarsi senza fare manfrine di alcun tipo e rassegnarsi al fatto che ciò che è perduto, è perduto. I democratici, che sono anche loro per il progressivo ritiro dalle zone critiche, tentano tuttavia di arraffare tutto quello che si può nel mentre, consapevoli del disastro economico ormai inevitabile. Il che ha anche un senso, dal momento che il brusco ritiro di Gorbaciov dai paesi satelliti dell'Europa Orientale (la perestrojka), ha di fatto provocato la dissoluzione di una realtà geopolitica che sarebbe crollata lo stesso ma, forse, con conseguenze meno traumatiche per i russi.
In sostanza, gli Stati Uniti non hanno alcuna capacità o intenzione - e lo stanno palesando - di risolvere la questione ucraina, che del resto, in altri tempi, si sarebbe risolta con un invio di militari e di aerei, col risultato che sarebbe scoppiata la terza guerra mondiale. Oggi si limitano blandamente a mandare armi - un modo per dire "ci siamo", senza davvero esserci - perché non possono fare niente di più. Ormai gli americani sono una realtà geopolitica alla frutta. E questo si deve fare sapere il meno possibile. Perché se tutti se ne accorgessero, sarebbe la fine della NATO, falsamente descritta come più coesa che mai (in realtà i partiti antiatlantisti in Europa sono in crescita, quindi più coesi un corno) e in generale di un Occidente che quando arriverà l'inverno si chiederà se sia valsa la pena sostenere l'Ucraina. E, di converso, sarebbe la fine degli Stati Uniti. Anche perché un paese con un debito pubblico enorme, con spinte separatiste crescenti, che vive dopo le elezioni del 2020 in un clima di guerra civile, non potrebbe sopportare una guerra contro il mondo intero, che ormai ha capito che gli americani non hanno più la forza di un tempo.
Si va, in sintesi, verso la fine degli Stati Uniti per come li abbiamo sempre immaginati. Che poi questo coincida con un crollo totale oppure con un ridimensionamento in stile sovietico, questo è tutto da vedere. E non è neanche detto che sia una buona notizia, come del resto non lo fu nemmeno la fine dell'URSS.
Ma in tutta franchezza, è difficile immaginare che un'America non in grado di cavare un ragno dal buco da nessuna parte, guarda caso si svegli proprio col Kosovo.
Quello che sta accadendo è che mentre prima si tentava di sopportare in silenzio le provocazioni, adesso i paesi antiamericani si sentono pronti a ribellarsi.
La prima cosa da dire al riguardo è che così come molti pensano che la guerra in Ucraina sia scoppiata il 24 Febbraio di quest'anno - ma in realtà dura da otto anni - analogamente anche in Kosovo, da più di vent'anni, va in onda una situazione del tutto analoga.
È possibile criticare gli americani, in quanto principali responsabili di queste situazioni, perché quando si finanziano e si appoggiano mercenari e musulmani fanatici, e quando si bombarda la Serbia e si permette che il Kosovo diventi un campo di addestramento per terroristi islamici, la sentenza di colpevolezza è scontata. Ma descrivere l'accelerazione di questa situazione come provocata dagli americani, è il miglior modo per non fare capire la reale entità della situazione, proprio perché gli yankees non è da oggi ma da anni che provocano russi e serbi. In generale descrivere la guerra in Ucraina come iniziata il 24 Febbraio, è una palla. Sono anni che si fa la guerra in quelle zone, sono anni che coraggiosi giornalisti come Giorgio Bianchi e pochi altri non addormentati, documentano quanto sta accadendo. La vera novità è che il 24 Febbraio i russi hanno deciso di reagire. E adesso forse è il turno della Serbia. E questo può avere molte spiegazioni.
Il vero evento che ha cambiato la storia dell'Occidente è il ritiro da Kabul, che appartiene ad una strategia americana che prescinde da chi sia il presidente.
Quando in generale si ritiene che i repubblicani siano isolazionisti e i democratici no, non si tiene conto che la fine della globalizzazione è stata decisa a Davos già nel 2009. E che ha avuto come picco proprio la vicenda Covid, concepita in modo tale da giustificare una crisi finanziaria che in realtà altro non è che la decisione degli americani di ritirarsi dai debiti europei, dapprima tenuti in piedi in chiave antisovietica. L'esplosione della Cina e il ritorno della Russia come grande potenza mondiale, di fatto segnano la fine dell'imperialismo americano. Quella che "la lotta è tra globalisti e sovranisti" è una spiegazione impropria. In realtà in atto vi è una guerra tutta interna tra isolazionismi americani. I repubblicani, tendenzialmente più realisti e pragmatici, pensano che gli americani dovrebbero ritirarsi senza fare manfrine di alcun tipo e rassegnarsi al fatto che ciò che è perduto, è perduto. I democratici, che sono anche loro per il progressivo ritiro dalle zone critiche, tentano tuttavia di arraffare tutto quello che si può nel mentre, consapevoli del disastro economico ormai inevitabile. Il che ha anche un senso, dal momento che il brusco ritiro di Gorbaciov dai paesi satelliti dell'Europa Orientale (la perestrojka), ha di fatto provocato la dissoluzione di una realtà geopolitica che sarebbe crollata lo stesso ma, forse, con conseguenze meno traumatiche per i russi.
In sostanza, gli Stati Uniti non hanno alcuna capacità o intenzione - e lo stanno palesando - di risolvere la questione ucraina, che del resto, in altri tempi, si sarebbe risolta con un invio di militari e di aerei, col risultato che sarebbe scoppiata la terza guerra mondiale. Oggi si limitano blandamente a mandare armi - un modo per dire "ci siamo", senza davvero esserci - perché non possono fare niente di più. Ormai gli americani sono una realtà geopolitica alla frutta. E questo si deve fare sapere il meno possibile. Perché se tutti se ne accorgessero, sarebbe la fine della NATO, falsamente descritta come più coesa che mai (in realtà i partiti antiatlantisti in Europa sono in crescita, quindi più coesi un corno) e in generale di un Occidente che quando arriverà l'inverno si chiederà se sia valsa la pena sostenere l'Ucraina. E, di converso, sarebbe la fine degli Stati Uniti. Anche perché un paese con un debito pubblico enorme, con spinte separatiste crescenti, che vive dopo le elezioni del 2020 in un clima di guerra civile, non potrebbe sopportare una guerra contro il mondo intero, che ormai ha capito che gli americani non hanno più la forza di un tempo.
Si va, in sintesi, verso la fine degli Stati Uniti per come li abbiamo sempre immaginati. Che poi questo coincida con un crollo totale oppure con un ridimensionamento in stile sovietico, questo è tutto da vedere. E non è neanche detto che sia una buona notizia, come del resto non lo fu nemmeno la fine dell'URSS.
Ma in tutta franchezza, è difficile immaginare che un'America non in grado di cavare un ragno dal buco da nessuna parte, guarda caso si svegli proprio col Kosovo.
Quello che sta accadendo è che mentre prima si tentava di sopportare in silenzio le provocazioni, adesso i paesi antiamericani si sentono pronti a ribellarsi.