Il tasso di fuffa presente in una narrazione è direttamente proporzionale all'ira dei suoi adepti: qualche giorno fa, per esempio, un giornalista ha scritto (non del tutto a torto, per la verità) che le destre sono percorse da una deriva neoclericale, senza porsi il dubbio che la cosa possa derivare dal fanatismo di un certo ateismo scientista. Analogamente, attorno alle criptovalute si sviluppano i filoni di pensiero di chi crede che le criptovalute siano la salvezza dell'umanità dallo stato oppressore e di chi invece le ritiene semplici truffe. Chi ha ragione? Come accade spesso nelle guerre di religione, tutti e nessuno. Dovendo tuttavia pur spiegare al lettore cosa sia accaduto in questi giorni senza sforare, possiamo dire questo: è fallito un exchange, cioè un servizio specializzato nel cambio di criptovalute, che muoveva poche centinaia di milioni di euro in un mercato che ne cuba centinaia di miliardi, e dunque quel che è accaduto non ha nulla a che fare col discorso della credibilità delle criptovalute. Senonché ogni volta si propone la stessa domanda: comprare criptovalute conviene? Ma è una domanda che non ha senso fin quando non si spiega il meccanismo su cui si regge tutta la baracca.
La prima cosa da dire è che ogni moneta, cripto o non cripto, è un facilitatore di scambio. Succede che se voi vendete biancheria intima femminile ma, come ogni cristiano di questa terra (vegani esclusi) avete bisogno di mangiare bistecche, dovrete dare qualcosa a Vercingetorige, il nerboruto macellaio di fronte casa, che, tuttavia, dei vostri tanga-sexy (salvo che passata la mezzanotte non si chiami Jessica) se ne fa ben poco, e dunque vorrebbe essere pagato con qualcosa che a sua volta gli serva, tipo la pasta, il pane, che voi non producete. La difficoltà di stabilire un'esatta quantificazione del suo valore richiede giustappunto un sistema che faciliti lo scambio: questo sistema si chiama "moneta". Fin quando la moneta è composta da qualcosa di non deperibile come l'oro, tutto è relativamente semplice. Le cose si complicano quando la moneta è cartacea e/o, a fortiori, elettronica. In quel caso, il macellaio che la accetterà non avrà ricevuto un bene bensì la promessa di un bene. Una moneta non è che non abbia di per sé valore, come sostengono molti monetaristi, perché corrisponde ad un servizio che lo stato, attraverso il corso legale, si impegna a garantire, ossia obbligare il macellaio ad accettarla. Non è "solo carta" come va di moda dire, perché il suo valore è relativo all'onere che chi la emette si assume di garantire. Il punto è che il suo valore reale corrisponde al valore nominale: cento euro equivarranno sempre e solo a cento euro, qualunque cosa ci si possa fare con essi. E questo ci porta alle criptovalute. Che, essendo un sistema di facilitazione degli scambi, di fatto sono monete a tutti gli effetti.
Il guaio è che la decantazione delle sue virtù parte da una serie di inesattezze su cose che si danno erroneamente per scontate. I teorici delle criptovalute sostengono, ad esempio, che mancando una Banca Centrale che le emetta e fondandosi su sistemi decentrati, non possano metterne in circolo più di una quantità fissa, che per esempio per i Bitcoin, se non erro, si attesta sui 21 milioni, e che questo preserverebbe dall'inflazione. Ma questa teoria dimentica che anche la Banca Centrale ha un limite che coincide con la sua affidabilità e con la stabilità della situazione politica del paese e che fatalmente si raggiunge se la cittadinanza, spaventata dall'inflazione, sceglie una moneta più forte, o ritorna al baratto o peggio ancora riduce i consumi. Inoltre, la non identificabilità dei reali possessori di criptovalute, permette molto più facilmente la creazione di bolle speculative. Infatti, mentre le monete tradizionali sono sottoposte al controllo delle autorità, nelle criptovalute la tracciabilità delle transazioni viene meno, nel senso che è sicuramente possibile sapere se è stata fatta una transazione ma è molto difficile intuirne la natura, oltre che molto più facile schermare l'identità di chi la effettua (sebbene l'anonimato totale non sia così scontato come molti credono) col risultato che la forza inflattiva sarà nelle mani di grandi e talvolta anonimi possessori di queste valute che, potendo muovere enormi masse di valuta fuori controllo, se hanno convenienza di scambiarli con una valuta tradizionale provocheranno una massiccia inflazione di bitcoin che ne farà crollare il valore, anche dalla sera alla mattina. In breve e, spero chiara, sintesi. Entra nel mercato una nuova criptovaluta. I grandi investitori la comprano in massa, gli organi di stampa del settore - spesso lautamente pagati sottobanco dai creatori di nuove valute o dagli stessi investitori - la pompano innalzando il valore della criptovaluta e generando una corsa all'acquisto della stessa da parte di investitori meno avveduti che, non conoscendo il meccanismo, semplicemente si assumono la percentuale più alta del rischio, come del resto avviene anche in Borsa, dove gli investitori più grandi - spesso anonimi, camuffati dietro fondi di investimento - di fatto influenzano il mercato, orientando le scelte degli investitori più piccoli. Dal momento che ogni criptovaluta ha un massimo circolante oltre il quale si impegna a non andare, i suoi più ricchi possessori che conoscono il meccanismo e che possono pompare l'acquisto dei bitcoin gonfiandone il valore, attraggono investitori tra i comuni cittadini, i quali fornendo ai primi una marea di valuta tradizionale, ottenengono in cambio la valuta digitale. A quel punto, gli investitori più ricchi decidono di scaricare la propria criptovaluta, facendola deprezzare, col risultato che gli investitori meno avveduti se lo ritrovano dove non arrivano i raggi solari, e gli stessi investitori ricchi, con i proventi della valuta digitale venduta, la riacquistano svalutata e la fanno gonfiare di nuovo. A quel punto sarebbe curioso chiedere ai comuni mortali, possessori di criptovalute, se sappiano dove vivano quegli speculatori o come rintracciare Satoshi Nakamoto creatore del Bitcoin - di cui, tanto per intenderci, nessuno conosce il nome reale né se sia uno, trino o decino - per costringerli con la forza a dirci dove hanno messo la grana.
La prima cosa da dire è che ogni moneta, cripto o non cripto, è un facilitatore di scambio. Succede che se voi vendete biancheria intima femminile ma, come ogni cristiano di questa terra (vegani esclusi) avete bisogno di mangiare bistecche, dovrete dare qualcosa a Vercingetorige, il nerboruto macellaio di fronte casa, che, tuttavia, dei vostri tanga-sexy (salvo che passata la mezzanotte non si chiami Jessica) se ne fa ben poco, e dunque vorrebbe essere pagato con qualcosa che a sua volta gli serva, tipo la pasta, il pane, che voi non producete. La difficoltà di stabilire un'esatta quantificazione del suo valore richiede giustappunto un sistema che faciliti lo scambio: questo sistema si chiama "moneta". Fin quando la moneta è composta da qualcosa di non deperibile come l'oro, tutto è relativamente semplice. Le cose si complicano quando la moneta è cartacea e/o, a fortiori, elettronica. In quel caso, il macellaio che la accetterà non avrà ricevuto un bene bensì la promessa di un bene. Una moneta non è che non abbia di per sé valore, come sostengono molti monetaristi, perché corrisponde ad un servizio che lo stato, attraverso il corso legale, si impegna a garantire, ossia obbligare il macellaio ad accettarla. Non è "solo carta" come va di moda dire, perché il suo valore è relativo all'onere che chi la emette si assume di garantire. Il punto è che il suo valore reale corrisponde al valore nominale: cento euro equivarranno sempre e solo a cento euro, qualunque cosa ci si possa fare con essi. E questo ci porta alle criptovalute. Che, essendo un sistema di facilitazione degli scambi, di fatto sono monete a tutti gli effetti.
Il guaio è che la decantazione delle sue virtù parte da una serie di inesattezze su cose che si danno erroneamente per scontate. I teorici delle criptovalute sostengono, ad esempio, che mancando una Banca Centrale che le emetta e fondandosi su sistemi decentrati, non possano metterne in circolo più di una quantità fissa, che per esempio per i Bitcoin, se non erro, si attesta sui 21 milioni, e che questo preserverebbe dall'inflazione. Ma questa teoria dimentica che anche la Banca Centrale ha un limite che coincide con la sua affidabilità e con la stabilità della situazione politica del paese e che fatalmente si raggiunge se la cittadinanza, spaventata dall'inflazione, sceglie una moneta più forte, o ritorna al baratto o peggio ancora riduce i consumi. Inoltre, la non identificabilità dei reali possessori di criptovalute, permette molto più facilmente la creazione di bolle speculative. Infatti, mentre le monete tradizionali sono sottoposte al controllo delle autorità, nelle criptovalute la tracciabilità delle transazioni viene meno, nel senso che è sicuramente possibile sapere se è stata fatta una transazione ma è molto difficile intuirne la natura, oltre che molto più facile schermare l'identità di chi la effettua (sebbene l'anonimato totale non sia così scontato come molti credono) col risultato che la forza inflattiva sarà nelle mani di grandi e talvolta anonimi possessori di queste valute che, potendo muovere enormi masse di valuta fuori controllo, se hanno convenienza di scambiarli con una valuta tradizionale provocheranno una massiccia inflazione di bitcoin che ne farà crollare il valore, anche dalla sera alla mattina. In breve e, spero chiara, sintesi. Entra nel mercato una nuova criptovaluta. I grandi investitori la comprano in massa, gli organi di stampa del settore - spesso lautamente pagati sottobanco dai creatori di nuove valute o dagli stessi investitori - la pompano innalzando il valore della criptovaluta e generando una corsa all'acquisto della stessa da parte di investitori meno avveduti che, non conoscendo il meccanismo, semplicemente si assumono la percentuale più alta del rischio, come del resto avviene anche in Borsa, dove gli investitori più grandi - spesso anonimi, camuffati dietro fondi di investimento - di fatto influenzano il mercato, orientando le scelte degli investitori più piccoli. Dal momento che ogni criptovaluta ha un massimo circolante oltre il quale si impegna a non andare, i suoi più ricchi possessori che conoscono il meccanismo e che possono pompare l'acquisto dei bitcoin gonfiandone il valore, attraggono investitori tra i comuni cittadini, i quali fornendo ai primi una marea di valuta tradizionale, ottenengono in cambio la valuta digitale. A quel punto, gli investitori più ricchi decidono di scaricare la propria criptovaluta, facendola deprezzare, col risultato che gli investitori meno avveduti se lo ritrovano dove non arrivano i raggi solari, e gli stessi investitori ricchi, con i proventi della valuta digitale venduta, la riacquistano svalutata e la fanno gonfiare di nuovo. A quel punto sarebbe curioso chiedere ai comuni mortali, possessori di criptovalute, se sappiano dove vivano quegli speculatori o come rintracciare Satoshi Nakamoto creatore del Bitcoin - di cui, tanto per intenderci, nessuno conosce il nome reale né se sia uno, trino o decino - per costringerli con la forza a dirci dove hanno messo la grana.
Ma perché in tanti non lo comprendono? Perché molti pensano che le monete siano beni quando sono soltanto un mezzo di facilitazione degli scambi. E quindi, per finire, cosa fare con le criptovalute? La risposta è analoga a quella che darei se qualcuno mi chiedesse se si guadagna con le scommesse, col Lotto o in Borsa, e dunque prevede la stessa risposta: scommettere va bene come passatempo senza impegno, impegnando pochi soldi e comunque mai tutti su un singolo evento, mettendo in conto di perderli con molta facilità - e dunque di non investire la liquidazione di babbo ma cifre estremamente modiche - ed evitare di gasarsi dopo i primi guadagni. Se, viceversa, uno vuole un guadagno fisso, o sa per certo come finirà l'evento su cui vuole scommettere, oppure è bene che si rivolga ad uno psichiatra, prima di finire nelle mani di uno strozzino e farsi molto male.