La giornata contro la violenza sulle donne ci ha donato toni e movenze da regime totalitario, ed è stata caratterizzata da una passione e un'attitudine alla mobilitazione degne di miglior causa. Bimbetti impuberi intrisi di risentimento che cianciano di libertà e diritti delle donne. Scolaresche di liceali sfilano per le strade inalberando cartelloni traboccanti di melensaggini e ovvietà, ma non per eseguire esercizi ginnici o profondere calorose manifestazioni di patriottismo bensì per separare e confondere ulteriormente una società spaccata e autistica. Soubrette e influncer in crisi d'astinenza da notorietà che sbattono in prima pagina il Mostro della porta accanto, sia esso il partner occasionale o il compagno del momento reo di molestie e soperchierie. Comari di quartiere che, in un italiano incerto, ripetono a pappagallo le allocuzioni dei professionisti dell'impegno civico e raccomandano di denunciare il compagno che osa obiettare sul trucco e il parrucco, sulla minigonna o sulle calzature: il femminicida esordisce censurando il look, poi alza le mani e infine impugna il coltello. Figure inflazionatissime di criminologhe, psicologi da operetta e capiscioni vari che ti svelano la Bestia Umana che si nasconde nel marito raccontandoti la rava e la fava della mascolinità tossica, che si intravvede già nel corteggiamento, nella galanteria cavalleresca del baciamano, del prima le signore. Dive e divette del femminismo di Stato atterrite (ma solo dopo la seconda pippata) dall'onda lunga del patriarcato ma non dalla delicata situazione internazionale, che conoscono poco o punto. Opinionisti superciliosi e militanti antiqualcosa che lanciano allarmi isterici: lui uccide lei, facciamo presto! Insegnanti iperdemocratici con le proverbiali barbette da hipster che invocano l'istituzione di programmi atti a (rie)ducare all'affettività, qualunque cosa voglia dire. E così procede questa interminabile danza macabra condotta sui corpi delle donne vittime più del crepuscolo del maschio occidentale che della mentalità patriarcale, ormai estinta da gran pezza e che sopravvive perlopiù nelle enclavi islamiche. Il 25 novembre è una sagra mortificante della politicizzazione boccalona e sguaiata, dell'improntitudine di uno strisciante autoritarismo da piumino da cipria, della vanità a buon mercato, dell'irrefrenabile voglia di apparire senza l'ambizione di distinguersi. Un guitteggiare indegno e irresponsabile corredato da scarpette rosse che rivela una inequivocabile ancorché insospettata fascinazione estetica - ed etica? - per le peggiori trasmissioni a base di tronisti e veline. Un impegno civico plastificato, usa e getta, genuflesso ai più tenebrosi poteri eversivi. Non li sopporto più. Ma, bisogna ammetterlo, stanno vincendo loro, gli inamovibili dittatori del politicamente corretto. Dividono e imperano come non mai, impuniti; colonizzano i cervelli di tutti, dal Presidente del consiglio, una risibile e subalterna Giorgia Meloni che ha parlato di “piaga sociale e culturale”, all'ultima squinzia con pretese intellettuali.
Hanno vinto loro.