Creati il sesto giorno insieme a noi bipedi, gli animali ci accompagnano dalla notte dei tempi, a volte alleati che leniscono la solitudine dell’animale politico e sociale, altre volte prede o predatori. Chi li osserva con attenzione sa di rimirarsi allo specchio, tanto che Esopo, Fedro, Perrault e Baudelaire (L’Albatros!) ne fecero la metafora della condizione umana e delle sue vicende, mentre Bulgakov tramutò un cane in giusto di Dio, un Idiota contrapposto all’animale chiamato Uomo, il più pericoloso e scellerato. Frasi fatte tipo “Gli animali sono meglio delle persone” o “Gli manca solo la parola” ricorrono di frequente nella convivialità quotidiana, sono cliché validi e istintivi. Sfortunatamente una società che ha perduto il senso della misura ha giurato di non dare requie ai nostri piccoli amici, ha deciso di farne l’ennesima vittima predestinata. Una civiltà di epicurei ed eremiti metropolitani che procede ad ampie falcate verso l'estinzione si aggrappa al quadrupede, ultima divinità modaiola. Novello pigmalione, il padroncino ne ha fatto la star di video a contenuto puccioso che ne mettono in luce l’ingegno e la sensibilità “umana”. Si noti la scoperta dell’acqua calda ma anzitutto l’ipocrisia di fondo: l’animale merita mille osanna non per le sue virtù peculiari, ma in quanto nostra riproduzione parodistica. C’è poi una certa tendenza alla generalizzazione vigliacca, per cui se un cane salva una persona allora tutti i cani meritano encomi solenni, come se nel regno animale non esistessero meriti e demeriti, galantuomini e bricconi. Siccome le disgrazie non vengono mai da sole, la femminilità tossica ha individuato nelle bestiole una allettante promessa di felicità, l’appagamento sentimentale completo. Nel cucciolo la femmina tossica vede un ganzo docile e controllabile, un eterno bambino da vezzeggiare e agghindare a suo piacimento, una creatura incorrotta metà angelo e metà bestia – come disse Totò, canaro discreto e munifico che mai rinnegò i suoi simili – che richiede un esborso relativamente contenuto a livello pecuniario e affettivo. In Fido e Isidoro la mamma mancata abbraccia il figliolo che non ha avuto o voluto, un figliolo usa e getta poiché quando crepa può seppellirne la carcassa in giardino sotto due dita di terriccio, dopo una sommaria e grottesca cerimonia funebre. Un “nostro caro” peloso e intercambiabile, insomma. Non so voi, ma io leggo molta androfobia e foia inconscia di regressione nella scelta di convivere more uxorio con una bestia. La vita con e per l’animale domestico è un modo non tanto occulto di rifiutare gli incerti dell’età adulta e della vita di coppia. I novelli vitelli d'oro ci danno l’occasione di disertare i molteplici e gravosi obblighi familiari che comportano fatiche, sacrifici e preoccupazioni d’ogni sorta. Chi non dispone delle qualità maiuscole per poter tirare su la prole e sopportare un marito barbogio opta per l’amico-coniuge-pargolo a quattro zampe. Nell’indecenza diffusa, l’Italia è riuscita ancora una volta a superarsi e a distinguersi.
Il paese si è perso dietro i tacchi della guru antispecista Michela Vittoria Brambilla e del suo fantastico mondo zoomorfico e neopagano dove Fuffi è a tutti gli effetti un soggetto giuridico.
I pit bull, una razza pericolosa oltremisura, non vengono vietati come in Germania e in Inghilterra. Come mai? Nessuno se lo chiede, perché le autorità fanno spallucce e troppi italiani pensano a titillare i genitali del bestione zannuto dallo sguardo risentito e assetato di sangue, spaparanzato sul piancito, a diretto contatto con ignari fantolini e anziani. La follia di un francescanesimo distorto e increscioso e l’impellente bisogno di comunicare con l’altra faccia del creato hanno reso le case delle famiglie occidentali uno zoo impazzito, una vecchia fattoria brulicante di maiali in tutu, chihuahua in pullover e micioni in ghingheri che fanno le veci dei figli che nessuno si prende più la briga di concepire e allevare. A forza di paventare l'estinzione di innumerevoli specie protette ci stiamo estinguendo noi scimmie nude, segnatamente la specie italica. A forza di vuvueffizzare le contrade d’ogni latitudine ci ritroviamo con branchi di lupi che assediano i pastori e scannano le greggi, orsi che tendono agguati a inermi corridori e suidi che rastrellano Roma e dintorni. I cinghiali: i lanzichenecchi del XXI secolo. L’animalismo è il quinto cavaliere dell’Apocalisse e l’undicesima piaga d’Egitto, una psicosi alienante che contribuisce a spappolare ulteriormente collettività composte da individui effeminati e fragili. In principio furono pesciolini e criceti, discreti e innocui animaletti che infondevano un tocco di personalità all’arredamento standosene chiusi nelle loro brave gabbiette e bocce, ma con l'aumentare della taglia è aumentato il disagio e l’imbecillità perniciosa dei proprietari. Dovremmo riscoprire lo stoicismo delle nostre nonne fattrici e prendere la vita di petto, nietzschianamente, procreando frotte di marmocchi anziché circondarci di simulacri irsuti, di cercare vie d’uscita per sfuggire al nostro tracollo sociale e demografico. Smettiamola di considerarlo la medicina vivente in grado di guarire la mancanza di personalità e le mille insicurezze dell’uomo contemporaneo. E lasciate stare – e cibare – in pace carnivori e onnivori, almeno finché non li obbligheranno a ingozzarsi di insetti e cellule tumorali in forma di bistecca o polpetta. Ogni volta che sento un predicatore che invita a rinunciare all’agnello pasquale ripenso alla pièce brechtiana
Santa Giovanna dei macelli, dove Pierpont Mauler, magnate spregiudicato della carne in scatola, rimane colpito dall’abbattimento di un bue dal ciuffo biondo. In realtà Mauler fiuta la crisi della carne in scatola e ammanta di scrupoli morali e animalistici gli inevitabili licenziamenti. Gli animali lasciamoli scorrazzare per le strade, se ne prenderanno cura la carità pubblica e privata. Fido non necessita di cure interessate e sa badare e bastare a sé stesso, non sa che farsene del nostro isterico e deprimente carnevale zoofilo.

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