Io perdo tempo a vergare mediocri catilinarie contro la peggiore Italia, ma diciamo la verità, la Germania non se la passa affatto meglio. Il Novecento è stato per i tedeschi quello che l’Ottocento è stato per i cinesi: il secolo delle umiliazioni. La nazione che faceva tremare il mondo ha perduto due guerre mondiali e l’indipendenza Politica. La Germania è molto più debole di quanto sembri. Gli angloamericani possono spegnere la rinomata locomotiva del continente in qualsiasi momento, anche in maniera sfacciatamente sbrigativa. E lo stanno facendo. Se l’Italia è un pollo senza testa, la Germania è un leone paraplegico e sdentato che può soltanto emettere ruggiti d’impotenza economicistica. Il suo territorio ospita basi militari e centri decisionali (Rammstein) americani; è relativamente povera di materie prime; è sprovvista di un programma spaziale; i suoi servizi segreti sono una succursale della CIA e dell’MI6: la Merkel veniva bellamente spiata da 007 danesi (sic); geopoliticamente vive alla giornata, in maniera sempre più schizofrenica. I patrioti tedeschi si ritrovano letteralmente assediati da un sistema informativo infestato da agenti stranieri (vedere le dichiarazioni di Udo Ulfkotte). Inoltre, come testimoniato anni or sono da Norman Finkelstein, versa ognora fior di miliardi alla cosiddetta “industria dell’olocausto”, il racket giudeo-americano della memoria. E la Polonia, eterno golem anglosassone, è sempre sul punto di pisciarle nel piatto. La Germania è priva di un polo finanziario. Voi direte: ma come, e allora Francoforte? Francoforte risponde a tutt’altri padrini e padroni. La sceneggiata dell’euro che favorisce Berlino ha contribuito a smerdare la reputazione dei tedeschi, con la complicità fattiva di molti vendipatria locali come Udo Gumpel, che non a caso è tra quelli che cantano la ninnananna partigiana ai neonazisti di Kiev. La formichina teutonica, a forza di surplus commerciali merkeliani, non ha messo in ginocchio Washington, l’ha soltanto fatta incazzare e si è fatta strappare le antennine. A bug’s life… La Bundesbank è satura di spazzatura finanziaria, uno sconcio bubbone escrementizio che minaccia di esplodere da un momento all’altro. La visita di Scholz a Xi non deve incantare: lungi dall’essere un patto d’acciaio paritario, è l’umiliazione di un pagliaccio disperato recatosi laggiù col cappello in mano, centovent’anni dopo il famigerato discorso degli Unni. Scrive Thorsten J. Pattberg: Se credi alle bugie dei media secondo cui la Germania è un paese ricco, sei un deficiente. I tedeschi non hanno televisori tedeschi e nemmeno smartphone tedeschi. Non hanno computer tedeschi. E sai perché l'aereo governativo su cui vola Scholz è un Airbus francese? Perché, in quanto nazione uscita sconfitta dalla guerra, non può costruire i propri aeroplani. La Cina la rifornisce di terre rare, prodotti chimici, farmaceutici e dulcis in fundo di migliaia di cervelli necessari per mantenere in piedi ricerca e sviluppo. E la Cina? Non dipende da una sola risorsa tedesca. I trapani elettrici e i treni può acquistarli dal Giappone, dal Canada, dall'Inghilterra o dalla Francia. O produrli in proprio. Ecco perché l’Impero di Mezzo è il principale partner commerciale della Germania ed è essenziale per la sua sopravvivenza, mentre non è vero il contrario. La verità è che la Germania democratica e occupata è regredita economicamente e demograficamente. La pandemia e i fragori bellici del 2022 hanno fatto crollare i fondali di cartapesta e portato alla luce una subordinazione similcoloniale. Lo zio Sam ha tirato fuori dal cassetto il piano Morgenthau, e intende lasciare Hans in braghe di tela e sandali birkenstock. La Baviera è per gli USA ciò che Hong Kong è stata per la Gran Bretagna, nota perfidamente Pattberg prima di invitarci a dare un’occhiata alla data di nascita delle maggiori multinazionali tedesche: Volkswagen (1937), Deutsche Bank (1870), Siemens (1847), BASF (1865), BMW (1916), Carl Zeiss (1846), Merck (XVII secolo) e Bayer (1863). Risalgono tutte a un periodo anteriore alla seconda guerra mondiale, alcune al periodo preunitario, la maggior parte ai tempi del glorioso Secondo Impero Tedesco. Scrive Christoph Clark ne I sonnambuli: Quando Bismarck assunse la guida del governo prussiano, le regioni manifatturiere degli Stati tedeschi erano al quinto posto, con il 4,9%, nella classifica della produzione industriale mondiale; la Gran Bretagna, con il 19,9%, era nettamente al primo posto. Nel periodo 1880-1900 la Germania salì al terzo posto dietro agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna. Nel 1913 era seconda solo agli Stati Uniti, e aveva superato la Gran Bretagna. In altre parole, nel periodo 1860-1913 la quota di produzione industriale della Germania su quella mondiale aumentò di quattro volte, mentre quella britannica diminuì di un terzo. Ancor più impressionante fu l’aumento del peso della Germania nel commercio mondiale. Nel 1880, la Gran Bretagna ne controllava il 22,4% del totale; la Germania, sebbene fosse al secondo posto, era assai distanziata, con il 10,3%. Nel 1913, però, con il 12,3% tallonava ormai la Gran Bretagna, il cui peso era sceso al 14,2%. Ovunque si guardasse, si scorgevano i profili di un miracolo economico: fra il 1895 e il 1913, la produzione industriale tedesca crebbe del 150%, la produzione di metalli del 300%, quella di carbone del 200%. Nel 1913, l’economia tedesca produceva e consumava una quantità di elettricità superiore del 20% rispetto a quella di Gran Bretagna, Francia e Italia messe insieme. In Gran Bretagna, l’espressione Made in Germany assunse connotati alquanto minacciosi, non perché la prassi commerciale o industriale tedesca fosse più aggressiva o espansionistica rispetto a quella di altri paesi, ma perché faceva pensare ai limiti del dominio globale britannico. Il potere economico tedesco rendeva più evidenti le ansie politiche degli esecutivi delle grandi potenze, come accade ai nostri giorni con il potere economico della Cina. La Repubblica Federale Tedesca ha partorito Adidas (1949), che traffica in articoli sportivi, tipico settore da economia in via di sviluppo. Non a caso è finita nell’occhio del ciclone per lo sfruttamento minorile esercitato nei paesi del terzo mondo. Una multinazionale del pallone per una nazione nel pallone.

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