Recentemente, sono tornata alla lettura della vita di San Francesco e, facendolo, mi sono resa conto di quanto il poverello d'Assisi abbia incarnato la visione cristica dell'esistenza, in particolare nella relazione con gli altri.

E questi altri non erano selezionati tra la crème de la crème del tempo, tra vescovi, nobili o ricchi, niente di tutto questo. Per fama, San Francesco si trovò perfino di fronte a un sultano, ma lui sapeva che avrebbe trovato Cristo tra i poveri, i fragili, gli emarginati della società e sapeva che Lui non era venuto per i sani, ma per gli ammalati.

Benché tutti noi siamo disposti a lodare e approvare questa condotta virtuosa, spesso ci troviamo, senza esserne consapevoli, dalla parte opposta, quella dei farisei o, per dirla con Dante, dell'ebreo che, tra noi, di noi ride.
Quell'ebreo, quel fariseo purista e elitario, ce lo portiamo dentro.

E parlo soprattutto per noi che scriviamo e ci occupiamo, nel nostro piccolo o grande spazio, di divulgazione culturale, di letture della realtà, di narrazione o composizione poetica. Si può dire che facciamo parte di quella massa di intellettuali che disprezzano gli intellettuali di regime, ma spesso non se ne discostano per classismo e spocchia?

Parlo per me, così non offendo nessuno.
Dacché ho iniziato a guardarmi dentro, mi si sono palesati degli atteggiamenti mentali che pure disprezzo negli altri, ma che ho scoperto venir fuori da me stessa nei momenti di rabbia e sconforto e che dipendono precisamente dalle mie tendenze, dai miei talenti.

Quanti, tra quelli che sono animati dall'intelletto, possono dire di non aver guardato dall'alto in basso chi non è dotato allo stesso modo di questa caratteristica?
Quanti si sentono nella parte giusta dell'umanità perché conoscono quattro nozioni di greco antico e amano la filosofia piuttosto che il calcio?
Quanti hanno irriso chi non ricorda il trapassato remoto di un verbo?

Ma gli esempi non finiscono qua, perché una certa superiorità intellettuale porta spesso alla convinzione di possedere una superiorità morale rispetto a chi non soddisfa tutti i crismi della cosiddetta "rispettabilità".

E credetemi, io vivo in un quartiere popolare, cresciuta in una famiglia popolare, e ho sentito il disprezzo verso la maggior parte di chi vive nel mio stesso quartiere, votato alla bruttezza e al vandalismo.

Ma Cristo è forse venuto per sedere accanto a farisei disgustati dai non appartenenti alla "società civile"? San Francesco ha schifato il povero, il lebbroso o la prostituta per fare bella figura di fronte al papa?

Questo disprezzo, che vuole salvare l'estetica del bello e del buono, e lasciar marcire un'umanità schiava del brutto e del degrado interiore, non è altro che una manifestazione di quei "sepolcri imbiancati" condannati nel Vangelo.

Ho sempre pensato, infatti, che un quartiere popolare non possa cambiare, nell'atteggiamento di tanti dei suoi abitanti, semplicemente perché chi vive nelle zone "bene" adotta un atteggiamento farisaico e, nel migliore dei casi, pietista verso chi viene considerato troppo rozzo e ignorante per apprezzare ciò che è bello.

Ma se c'è una cosa per cui le fasce popolari hanno un sesto senso è la sincerità di chi gli si para di fronte.

Per questo, forse, resiste il vandalismo: è l'unico schiaffo a chi tende la mano per farsi dire quanto è buono.

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Mina Vagante
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