​I recenti fatti di cronaca nera hanno riportato alla ribalta un vecchio mantra propugnato dalle vestali di quel tumore sociale chiamato femminismo: "il patriarcato uccide". Lo si esprime nei modi più diversi, ma il senso è sempre quello. La colpa è sempre della famiglia naturale fondata sul matrimonio e retta dall'autorità paterna. Un ragazzo di 22 anni, nato e cresciuto nel bel mezzo della società liquida, uccide la propria ex fidanzata e la responsabilità sarebbe di un modello famigliare ormai morto e sepolto da tempo sotto la coltre rivoluzionaria degli ultimi decenni (e secoli)? Il patriarcato, che poi sarebbe la società tradizionale, era ordine, rispetto del diritto naturale, senso del limite, consapevolezza della propria finitudine umana. Nessun uomo ai tempi del tanto vituperato patriarcato avrebbe perduto l’onore uccidendo una donna che lo rifiutava; sarebbe stata per lui una doppia umiliazione: quella di essersi degradato al rango di bestia ricorrendo all’omicidio e quella di averlo fatto per la propria incapacità di accettare l’altrui rifiuto. Immaginate quale terribile onta, in una società tutta fondata sull’onore, sulla virilità e sui comandamenti divini, essere scoperti a violare il decalogo perché non abbastanza forti da accettare un rifiuto femminile. Il “femminicidio”, temine che già di suo denota la follia terminologica moderna, è invece il reato più direttamente figlio della società moderna: una società malata, instabile, creatrice di individui deboli e dipendenti dalle relazioni che instaurano, incapaci di accettare i disegni della Provvidenza se questi differiscono dalle proprie aspettative. E’ la vivissima (benché putrescente) società aperta la madre dei mostri, non il morto (benché splendente) patriarcato. Nel sistema tradizionale infatti innanzitutto l’uomo era richiamato dalla morale dominante e dalle autorità religiose, ad un totale dominio sulle proprie passioni e i propri impulsi disordinati, specialmente quelli inerenti la carne. In secondo luogo la donna era inserita in un contesto sociale e famigliare ampio e generoso, intessuto di legami saldi e ramificati per cui essa risultava essere quasi sempre protetta dall’essere “la moglie di…”, “la figlia di…”, “la cugina di…”, “la sorella di…”, “la madre di…”. Il patriarcato proteggeva la donna, non la abbandonava in balia di balordi amorali.
Oggi, al contrario, la perversa morale pubblica, le leggi, i film, le canzoni invitano i giovani a sfogare liberamente qualsivoglia impulso carnale, ad abbandonarsi al dominio dei sensi, ad abbattere ogni convenzione sociale. Contestualmente ognuno è soltanto un individuo atomizzato senza onore poiché senza antenati, né posteri, né congregati, ogni uomo o donna incontrati per strada valgono soltanto l'attimo dell'incontro giacché moralmente slegati dalle famiglie d'origine, dal cognome, dal sangue, dal tessuto religioso e sociale. Questo modello disordinato e contronatura non può che condurci verso un mondo frenetico, violento, instabile, in cui ciò che conta è soddisfare il mio desiderio aldilà dei limiti morali e in cui l'altro ha il dovere di accontentarmi. L'individuo moderno si concepisce come naturale fonte di diritti sempre moralmente esigibili, eventualmente anche con la forza.

E se tutto ciò, oltre a creare esseri frenetici, instabili, violenti, possessivi, ansiosi, gelosi e aggressivi, ci rendesse anche terribilmente più stupidi?

Una recente scoperta in ambito storico-archeologico potrebbe suggerirci la necessità di qualche riflessione in tal senso. Nel 2023 un team di ricerca guidato da David Piffer ha esaminato il DNA di 127 persone che vivevano nell’Italia centrale in un periodo storico compreso tra il neolitico e l’età moderna. Lo studio ha rilevato che la capacità cognitiva è aumentata dal Neolitico alla Repubblica romana e poi è calata nel periodo imperiale per rialzarsi drasticamente nel tardo-antico, raggiungendo vette particolarmente elevate nel medioevo. Un altro team, guidato da Michael Woodley, ha rinvenuto un costante aumento della capacità cognitiva media tra gli europei e gli asiatici centrali da 4.560 a 1.210 anni fa, concentrandosi sullo studio del DNA di 102 individui.

La conclusione tratta dagli studiosi è che la capacità cognitiva pare aumentare ogni qual volta l’essere umano si stabilizza, diviene sedentario e si riunisce in villaggi. Eppure tale tendenza sembrerebbe essersi interrotta nei secoli in cui Roma fu retta dagli Imperatori, per poi tornare ad un trend positivo nel medioevo cristiano. Non sarebbe possibile, nello spazio di un articolo enucleare tutte le ragioni di tale inversione, possiamo però affermare che una delle principali cause fu di carattere religioso. Gli studiosi hanno attribuito il declino dell'era imperiale ad una diminuzione della fertilità tra le classi superiori, all'aumento dell'ipergamia femminile e alla crescente popolazione di schiavi. Dunque una morale dissoluta, costumi rilassati, matrimoni sterili e contaminazione etno-culturale sarebbero alla base di una diminuzione delle capacità cognitive. Inoltre la Pax Romana, periodo di pacificazione sociale, portò anche alla “pacificazione” genetica, rendendo le persone meno aggressive e sottomesse, recalcitranti al servizio militare e allo sforzo bellico. L'utilizzo della forza assorbito in modo assoluto nelle mani dello Stato, "castrò" almeno virtualmente, gli uomini dell'impero. Forse, dunque, non del tutto erroneamente il gagliardo Giovenale scriveva nelle sue satire "Nunc patimur longae pacis mala"(noi subiamo i danni di una lunga pace).
Al contrario l’avvento del cristianesimo, a partire dall'età costantiniana e poi in modo sempre più visibile nell'età medievale, avrebbe riavviato l’evoluzione cognitiva promuovendo costumi morali e conformi alla natura umana. In particolare i matrimoni monogami, garantendo strutture familiari stabili e favorendo la stabilità, hanno consentito agli individui di concentrarsi su attività intellettuali e innovazione, portando al progresso della società. Scrive Peter Frost nell’articolo in cui commenta gli studi summenzionati (traduzione libera):

Il cristianesimo non è riuscito a salvare l'Impero e potrebbe anche aver accelerato il collasso finale. Tuttavia, gettò le basi per una nuova civiltà che non solo avrebbe invertito il declino demografico dell'epoca imperiale, ma avrebbe anche riavviato l'evoluzione cognitiva. Lo ha fatto in due modi:


1.Favorendo la monogamia e, al contrario, limitando la poliginia maschile e l'ipergamia femminile;

2.Favorendo la pace, l'ordine e la stabilità che hanno permesso agli individui imprenditoriali di sfruttare una serie di nuovi compiti cognitivi, garantendo così il loro successo sia economico che demografico.


Sorse così l'Europa cristiana, una civiltà che emerse molto prima della conquista delle Americhe, dell'invenzione della stampa, della tratta atlantica degli schiavi e della Riforma protestante. La causa principale è stata un nuovo modello sociale di riproduzione sociale e biologica.”



Consiglio fortemente a tutti la lettura integrale dell’articolo, consultabile a questo link ( How Christianity reversed the Roman demographic decline & restarted cognitive evolution (archive.org) ).

Confermo dunque la tesi iniziale del mio breve scritto: la società tradizionale fa bene alla donna e alla nostra mente. E dopotutto questa scoperta non può stupire chi, alla luce di una retta teologia e di una sana filosofia aristotelico-tomista, è consapevole della necessità umana di compiere la propria natura ontologica per poter davvero godere del ben-essere tanto agognato. Non può esservi pace, né sviluppo, né serenità per accrescere sé stessi e le proprie capacità in contesti che propugnano modelli umani e famigliari contronatura, né tantomeno capacità cognitiva per distinguere in modo oggettivo il bene e il male. Che questa verità fondante sia confermata da un attendibile studio scientifico dovrebbe essere un richiamo alla riflessione per i tanti che ignorano, o volutamente rifiutano di riconoscere queste evidenze. E’ inoltre evidente infatti che chi non affina le proprie capacità cognitive, facilmente perde l’abilità di entrare virtuosamente in contatto con la propria sinderesi (conoscenza innata del bene e del male) per farle avere la primazia sugli impulsi istintivi. Nelle società totalitarie, infatti, come si ottiene l’appiattimento morale della popolazione e la sua supina accettazione di qualsivoglia atto intrinsecamente malvagio? Rendendo l’uomo un automa, un ingranaggio inerme ed inerte in una catena di produzione o in un mostruoso gigante burocratico, intento a ripetere sempre gli stessi gesti, a pronunciare le medesime parole e a sviluppare costantemente identici pensieri. L’istupidimento cognitivo precede e propizia quello morale. Il declino cognitivo di Roma, secondo Frost, ebbe tre cause:

1.Un calo della fertilità e della formazione familiare tra le classi superiori (Caldwell 2004; Hopkins (1965); Roetzel, 2000, pag. 234; Sullivan 2009, pp. 27-28, 35-38).



2. Un aumento dell'ipergamia femminile, guidato da schiavi liberati, con una corrispondente diminuzione dell'importanza riproduttiva delle donne di classe superiore (Perry, 2013).

3. Un aumento della popolazione degli
schiavi, in particolare degli schiavi stranieri (Harris (1999)), con una corrispondente interruzione dell'evoluzione cognitiva locale.”



Tra contraccezione, aborti e pillole del giorno dopo (primo punto); liberazione sessuale (secondo punto); immigrazione incontrollata (terzo punto); raggiungiamo un bel 3 su 3 nel nostro confronto con quella Roma degradata che perdette l'uso retto dell'ingegno, l'acume, le competenze, l'intelligenza morale.

La prossima volta che sentirete parlare di qualche ragazzo instabile, emotivamente frustrato, incapace di discernere cognitivamente il
bene e il male, moralmente stupido, non prendetevela col mondo di ieri, tradizionale e cristiano, ma con quello di oggi, neopagano e libertino.​

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Manuel Berardinucci
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