Un racconto del 1951 dell'autore di fantascienza Cyril Michael Kornbluth si intitola proprio così, “Gli idioti in marcia” (“The marching morons”), e si iscrive nel filone della satira sociale distopica. In un lontano futuro, la popolazione mondiale è costituita in larga parte da idioti, in conseguenza della maggior propensione di questi ultimi a riprodursi, tutta gente incapace di compiere la più semplice azione senza mettere in pericolo la propria vita e quella di chi gli sta attorno. Il vertice è costituito dai discendenti di quei genetisti che si erano resi conto dove la situazione stava andando a parare e avevano cercato di correre ai ripari. Così, spiega uno di questi, mentre nel XX secolo si ipotizzava un futuro in cui la popolazione viveva oppressa da biechi tecnocrati che ne ostacolavano il libero sviluppo, la realtà era quella di un'élite di intellettuali che passava il tempo a cercar di impedire ad una massa di decerebrati di ammazzarsi per incapacità. Situazione per certi versi simile anche al film “Idiocrazia”, in cui però anche l'élite era composta da idioti.

Mi è tornato in mente questo racconto dopo che, un notiziario dopo l'altro, ho dovuto, volente o nolente, confrontarmi alla figura di Cecilia Sala, e alle circostanze che l'hanno portata a visitare un carcere iraniano. In realtà conosco Cecilia Sala da almeno un paio d'anni, da quando, cioè, mia moglie pescò il suo podcast di Chora Media e ce lo ascoltavamo in auto nel periodo in cui l'autoradio non funzionava. Finché sentivamo raccontare storie di cronaca nera da posti lontani, con la sua voce da maestra minacciosa e un po' monocorde che fa il dettato, di quelle che poi ti fanno le domande a bruciapelo e se non sei pronto ti bastonano, andava tutto bene. Racconti presentati con un'aura di mistero, delitti irrisolti che ti lasciavano un po' di angoscia addosso, e che però, quando andavo a cercar lumi su internet, non trovavo nulla di nulla: ma magari ero io a non essere stato attento e ad aver cercato male, ci sta.


La cosa divenne più sospetta quando vennero fuori podcast in cui andava a toccare temi di interesse più vasto. Ad esempio, uno in cui si dava conto dell'esistenza di “campi di addestramento per neonazisti tedeschi” (sic) in Russia, campi tenuti su dal governo di Putin pronto a spedire poi i nazisti, una volta addestrati, in Germania, a scatenare l'inferno. Una notizia così grottesca da rasentare il capolavoro: non solo in Russia il nazismo è così detestato che chi volesse girare con simboli riferibili al III Reich lo farebbe a proprio rischio e pericolo, ma è anche ufficialmente esecrato a causa della guerra in Ucraina, in cui il nemico è apertamente bollato come progenie hitleriana. Nessuno che giri per le strade di Mosca o di altre città russe sino al Pacifico troverebbe traccia di simpatie nazionalsocialiste. Ma per sapere queste cose, in Russia bisognerebbe esserci stato, averla girata in lungo e in largo e aver parlato con la gente. Conoscendo magari il russo. Tutte cose che la Cecilia Sala, evidentemente, non ha fatto (ché se poi le ha fatte e ha raccontato comunque quella roba, sarebbe ancora più grave). Ciliegina sulla torta: passati due anni, non si è mai sentito nulla di questi fantomatici neonazisti tedeschi addestrati da Putin e tornati in Germania a far danni. E neppure si è mai sentita l'autrice di questo surreale racconto scusarsi per aver detto una cazzata (scusate il francesismo): regolare, per una che si dice giornalista.

Ma il tocco di vero virtuosismo la Sala lo raggiunse, almeno per la mia esperienza, trattando del caso di Ilaria Salis. Qui la ormai celeberrima europarlamentare, all'epoca affidata alle cure delle carceri ungheresi, veniva presentata come maestra elementare e militante antifascista, aureolata di santità e di coraggiosa lotta contro ad un nemico che anche la Sala deve vedere ovunque, vivo e minaccioso. Le accuse di cui la Salis doveva rispondere non erano quelle di aver partecipato ad un'aggressione armata contro a delle persone, ma di aver “menato dei fasci”. Esatte parole usate per tutto il servizio: “menare”, che sa tanto di commedia all'italiana ed è meno cattivo di percuotere, picchiare o pestare. Mentre le vittime, bollate automaticamente come “fasci”, spersonalizzate, disumanizzate e catalogate sotto una categoria infamante, col risultato, per l'ascoltatore ideale della Sala, dell'automatica depenalizzazione dei reati contestati alla nostra connazionale.

Mi bastò, e smisi di seguire il podcast, avendo già indovinato tutto di cosa la Cecilia Sala fosse. E oggi, sentendola ricordare ad ogni notiziario, scopro che avevo ragione. Perché, col suo essere green, fluido, eco, resiliente, europeista, atlantista, progressista, per il piddì in Italia, i Dem negli USA e le rivoluzioni colorate ovunque (tanto poi ci muoiono gli altri), la Sala rappresenta uno fra le miriadi di cloni che ricevono visibilità, quando non posti-chiave e poltrone, in una società fra le più chiuse e sclerotiche al mondo. Ma è anche l'esempio perfetto di una generazione idiota, incapace, come dicono gli americani, poco elegantemente ma con molta precisione, di “trovarsi il culo con entrambe le mani”: inetti a tutto, che non hanno letto un libro al mese ma annegati in tonnellate di insulso materiale audiovisivo rimandato, sempre identico, da un social all'altro, ignorantissimi di qualsiasi cosa ma laureati (in quelle fabbriche di cloni che sono le università), non conoscono del mondo esterno nulla, né lingue, né tradizioni, né ideologie, ma sanno che la democrazia occidentale è l'unica alternativa e tutti gli altri sono cattivi, usano Google Maps anche per trovare il bagno di casa e se gli dai in mano una carta geografica non sanno neppure in che verso metterla, bravissimi ad ordinare un taxi o un volo su internet con un vocabolario di cento parole di inglese ma condannati a morire di inedia ovunque si parli un qualsiasi altro idioma, sono l'esatta copia di questa cosiddetta “giornalista”: stupisce che sia andata così? Perché, al di là dei retroscena spionistici che potrebbero anche legare il suo caso a quello dell'uomo fermato a Malpensa, è interessante leggere la sua biografia come quella di un'intera generazione, e forse anche più d'una. Siamo circondati da giovani sbandati che hanno studiato la vita e il mondo da Mentana e Puente, più un master da Tosa e Tommasi, che giocano a fare i reporter, i blogger e gli influencer (tutto pur di non lavorare) con i soldi di papà senza sapere nulla dei posti in cui vanno e finendo regolarmente in guai grossi, dai quali verranno tratti a spese della comunità dopo aver mobilitato ministeri e altre istituzioni pubbliche (quando non ci lasciano la pelle). Dico “giocano”, perché anche la Sala, col ricco curriculum che ci viene propinato giornalmente, non ha mai scoperto nulla né raccontato niente di diverso da quanto apprendiamo dalle veline di Raignù, SkyBalle o la Setta, e anche sull'Iran avrebbe potuto confezionare il solito podcast senza muoversi da casa, dicendo esattamente le stesse cose che ne avrebbe detto (e che ne dirà dopo essere uscita dal carcere di Evin). E cos'altro potrebbe dire una che non parla il farsi, non vive in Iran né vi ha passato almeno lunghi periodi e non ha amicizie di lunga data in loco? Ragazzi e ragazze convinte di poter affrontare il mondo armati di un biglietto low-cost, un inglese da bar e una montagna di immondizia stipata nel cervello, e che non fanno che danni a sé stessi e ad una società già ricolma di propaganda tossica e con altri problemi per i quali spendere tempo e fondi pubblici. Il fatto che la classe dirigente attuale sia quasi più stupida di loro è solo una simpatica variante al racconto di Kornbluth, e aggiunge inettitudine e imbarazzo a storie come questa. Come per Alessandra Piperno, come per Silvia Romano, come per Giulio Reggeni, il copione è lo stesso: ragazzotti e ragazzotte dal sorriso vacanziero e lo sguardo un po' vacuo partiti per “raccontare il mondo” o, peggio, cambiarlo, convinti di potersi improvvisare Hemingway o Che Guevara senza aver mai preso in mano una pistola o mettere insieme due frasi nella lingua locale, e che si ficcano in situazioni molto più grandi di loro, a volte non uscendone neppure vivi. Manipolabili a piacere da chiunque sappia raccontargli una storiella in linea con quanto sentito ripetere a pappardella da anni di esposizione a propaganda euro-atlantica, convinti sinceramente che a Mosca ti arrestino se sei gay e a Teheran decapitino donne a per strada, e che divengono pedine sacrificabili di chi ce li manda (Reggeni, per dire, fu mandato a morire dai servizi segreti inglesi, mai chiamati in causa dagli stessi tribunali italiani che perdono tempo a convocare agenti egiziani che si sa benissimo non saranno mai visti). Poco importa che il padre della Sala sia un pezzo grosso di J.P. Morgan, ossia di un'istituzione nella mafia finanziaria internazionale che ci governa e rovina giorno dopo giorno. Spiega come la Meloni sia corsa a convocare l'ambasciatore iraniano, ma non cambia la sostanza dei fatti: Cecilia Sala è una tipica sprovveduta dei nostri tempi, convinta che basti atteggiarsi a reporter di successo fra un volo in business class e un hotel per esserlo davvero. E che ora, in una cella di Evin, sta ricevendo una grossa lezione di vita, forse la prima di tutta la sua esistenza. Conoscendo gli iraniani, anche poco, ma comunque molto più di chi ce li descrive come barbuti cannibali, ne uscirà fra neppure troppo tempo, e se avrà guadagnato in saggezza sparirà dalla circolazione meditando su sé stessa. Altrimenti (cosa, ahimè, ancor più probabile), la rivedremo da Formigli a raccontare di come abbia rischiato la vita sfidando il regime degli ayatollah (che di scervellate come lei neppure saprebbero che fare).

Da quello stesso Formigli, fra l'altro, col quale si coprì di ridicolo, tempo fa, presentando al pubblico una sezione di bunker presa per l'Azovstal, e che era in realtà presa da un gioco da tavolo...

Insomma, siamo già in una situazione simile a quella citata all'inizio, circondati da personaggi dal livello intellettivo piuttosto misero, ma convinti di essere dei geni e incapaci di fare qualsiasi cosa senza provocare danni, portando la tenuta sociale al limite di rottura. Nel racconto di Kornbluth, alla fine, un uomo venuto dal XX secolo, un piazzista truffaldino, risolveva il problema convincendo gli idioti a partire in vacanza nello spazio, dove venivano fatti esplodere.

Forse Elon Musk potrebbe fornirci un'adeguata soluzione, visto che sembra tenere all'Italia. Certo, la storia della vacanza nello spazio è surreale, ma vuoi che gente abituata a credere a Mentana non ci caschi?

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