Robert Jenkins, capitano di nave mercantile,andava in giro con una scatoletta contenente un orecchio disseccato, che a suo dire gli era stato amputato dagli spagnoli. La sua testimonianza in proposito alla Camera dei Comuni suscitò grande emozione nell'opinione pubblica, e contribuì a scatenare la guerra.

William Doyle, “L'Europa del Vecchio Ordine 1660-1800”



Nel 1738, in Gran Bretagna, ebbe luogo una delle più grottesche, indegne e ridicole farse che mai ebbero l'onore di venir rappresentate sul teatro della cosiddetta “grande politica”. Un tal Jenkins, come ricordato in nota, venne portato sino alla Camera dei Comuni a raccontare una strana storia. Mentre con la nave di cui era capitano costeggiava da qualche parte le colonie spagnole del Sudamerica, venne fermato da un guardacoste iberico, messo ai ferri, e mutilato. Così conciato, girava l'Inghilterra a esporre il suo stato pietoso sino a che non fu portato a raccontarla ai Pari del Regno. Qui val la pena citare verbatim il resoconto datone da Voltaire nel suo “Précis du Siécle de Louis XV”.

“Era un uomo franco e semplice, che non aveva commerciato illegalmente ma la cui imbarcazione era incappata in un guardacoste spagnolo in un tratto dell'America in cui gli spagnoli non sopportavano la presenza di navi inglesi. Il capitano spagnolo aveva requisito l'imbarcazione di Jenkins, messo l'equipaggio ai ferri, forato il naso e tagliato le orecchie al proprietario. In questo stato Jenkins si era presentato al parlamento: raccontò la sua avventura con l'ingenuità della sua professione e del suo carattere. “Signori, disse, quando fui così mutilato, mi minacciarono di morte; così la attesi; raccomandai l'anima a Dio, e lasciai la vendetta alla mia patria”. Queste parole, pronunciate con naturalezza, suscitarono un grido di pietà e di indignazione nell'assemblea. Il popolo di Londra gridava alle porte del parlamento: Il mare libero o la guerra! Non si è mai discusso probabilmente al parlamento d'Inghilterra con più schietta eloquenza che in questa occasione; e non so se le arringhe preparate e pronunciate in altri tempi ad Atene e a Roma, in occasioni simili, risultarono migliori di quelle spontanee del cavalier Windham, di lord Carteret, del ministro Robert Walpole, del conte di Chesterfield, del sig. Pultney, poi conte di Bath”.

La chiudo qui, basta e avanza per dare l'idea del tono con cui Voltaire presenta l'affaire. Tono in più punti del tutto fuori luogo, perché, va detto a beneficio di chi legge, le cose stavano in modo affatto diverso. Tutti i contemporanei sapevano che i fatti riferiti da Jenkins risalivano al 1731, ossia ad otto anni prima: un tempo ben lungo per suscitare tanta subitanea indignazione. Tempo fra l'altro in cui Jenkins aveva girato in lungo e in largo il regno raccontando la sua storia a chiunque avesse voluto sentirla, con l'orecchio rinsecchito sempre a portata di mano per convincere i più scettici, senza suscitare mai più che un'alzata di spalle anche fra quei borghesi o aristocratici che, lo si immagina senza difficoltà, non si saranno degnati di fermare le loro carrozze per sollevare lo sguardo sino a quello che doveva esser loro sembrato un semplice saltimbanco o un accattone. Non solo: ma tutti sapevano, già allora, che il “capitano” Jenkins era un contrabbandiere che violava abitualmente i porti spagnoli delle Americhe, e che era stato trattato né più né meno come tutti i contrabbandieri dell'epoca (in Inghilterra, con tutta probabilità, sarebbe stato anche impiccato, come accadeva ai ladri). Come se non bastasse, gli storici odierni parlano di un orecchio, mentre Voltaire, forse tradito dall'entusiasmo, ci aggiunge anche l'altro, e un naso perforato per completare il quadro, cosa che nessun altro menziona. Ciliegina sulla torta: a tutt'oggi, è ancora dibattuto se l'intera storia sia mai accaduta, o sia stata tutta frutto della fantasia di Jenkins (o di qualche interessato suggeritore). Insomma, sembra di leggere i resoconti nostrani de La Stampa o di Repubblica sulla guerra in Ucraina, in cui si trova almeno altrettanto zelo nel trasformare una qualsiasi burattinata di regime in una tragedia greca con dei ed eroi.

La burattinata però fu presa molto sul serio: seppur con otto anni di ritardo, la Camera dei Comuni si commosse tanto da votare a maggioranza una richiesta al re di misure severe per ristabilire l'onore della corona britannica (in altri resoconti della stampa dell'epoca, infatti, al capitano spagnolo vennero messe in bocca persino minacce di morte alla persona del re d'Inghilterra, cosa tanto grottesca quanto improbabile). E il re, obbediente, dichiarò alla fine dell'anno seguente quella passata alla Storia come la "Guerra dell'Orecchio di Jenkins".

Scena grottesca, come si è appena detto, dall'inizio alla fine, ma che portò nondimeno ad un conflitto diretto fra due delle principali nazioni d'Europa. Nonostante sin dall'epoca dei fatti fossero molti quelli che ridevano delle motivazioni ufficiali, e avevano un'altra idea delle vere ragioni del conflitto. E nonostante gli anglosassoni (specie quelli delle isole britanniche) siano sempre stati celebri per una certa finezza nell'arte diplomatica, pare che quando debbano fare una guerra a tutti i costi e non trovino una scusa più credibile, continuino a non rifuggire da episodi simili. Chi non ricorda la “pistola fumante”, la fialetta di niente sventolata da Colin Powell di fronte al mondo e le “armi di distruzione di massa” trovate solo nelle dichiarazioni di Bush jr e Tony Blair? Così come nel 1739 all'Inghilterra interessava mettere le mani sul commercio con l'immenso impero coloniale spagnolo, incluso il diritto di asiento, ossia il privilegio di monopolio sul commercio degli schiavi, e per questo ci si ricordò del povero Jenkins trascinandolo sino ai Comuni, nel 2003 ad USA e sciacalli al seguito interessava solo mettere le mani sul petrolio iracheno, e, in un colpo solo, portare ad un livello superiore l'opera di distruzione (più che di semplice destabilizzazione) del Medio Oriente. Chiunque avesse un cervello lo capiva, ma, allora come nel XVIII secolo, questo non impedì una guerra guerreggiata sulla base di pure idiozie. E se nel Secolo dei Lumi (molto meno luminosi di quanto non sembri, come si vede) bastava arruolare un Voltaire come agente pubblicitario della Corona, dagli anni '60 è il segreto di Pulcinella che la stampa a stelle e strisce sia foraggiata dalla CIA (d'altronde agli anglosassoni non sono mai mancati i soldi). E non solo quella, se anche la stampa di casa nostra e altrui si limita a ricopiare qualsiasi fesseria pubblichi il New York Times o il Guardian come fosse la verità rivelata. Salvo poi, dopo anni, scoprire l'acqua calda. E senza neppure arrossire.

Va detto che anche altre nazioni si trovarono impegnate in conflitti anche sanguinosi, anche catastrofici, dopo episodi al limite dell'aneddoto. Nel 1830 i francesi sbarcarono ad Algeri iniziando la lunga e difficile conquista della colonia dopo che il bey aveva colpito col frustino in volto il console francese (una scena degna di un'opera di Rossini). E sempre i francesi, nel 1870, dichiararono guerra alla Prussia dopo la pubblicazione del resoconto di un colloquio fra il loro ambasciatore e il re di Prussia in cui pareva che il secondo avesse offeso il primo (cosa del tutto falsa, ma diffusa ad arte da Bismarck, che conosceva i suoi polli). E anche qui si trattava di conflitti che erano, per così dire, nell'aria da tempo, e a cui ci si preparava da ambo le parti. Gli episodi furono al massimo un casus belli, un pretesto, in cui si sfruttava la suscettibilità del pubblico francese per rendere la guerra più popolare (e poi si lamentano se, agli occhi del mondo, passano per vanesi). Tuttavia va detto pure che entrambi conservano una dignità, erede di certa mentalità aristocratica e cavalleresca, che agli esempi tratti dalla storia anglosassone manca del tutto. Come manca alla versione ufficiale del Maidan, il colpo di Stato riccamente finanziato da oltreconfine che ancora qui da noi, seguendo sempre i dettami della stampa e della diplomazia anglofona, non si ha pudore di definire “Rivoluzione della dignità”, e in cui il cocainomane e corrotto figlio del presidente in scadenza Biden ha giocato un ruolo non da poco. E in cui si continua ad usare la storiella delle “rivoluzioni colorate” tanto abusata e tanto screditata che, probabilmente, al mondo è creduta meno che l'esistenza di Babbo Natale. Ma che trova sempre un Gramellini o un inviato “dde gguera” Rai pronto a ripeterla sino a che, dall'ufficio al piano di sopra, non verrà diramato un “controordine, compagni”.

Per la cronaca, almeno nel Settecento si assistette all'opera di una sorta di giustizia divina. Agli inglesi, incredibilmente, andò malissimo. Persero un numero spropositato di uomini nell'assalto alle fortezze spagnole sul Mar dei Caraibi, pur godendo di un'assoluta preponderanza navale. E siccome estesero presto le ostilità alla Francia (che durante tutto il secolo fu il vero, grande obbiettivo, con le sue colonie, delle guerre dell'anglosfera), pur avendo gioco facile in teatri di guerra lontani, le presero di santa ragione in Germania e nei Paesi Bassi (dove si trovarono di fronte un certo Maurizio di Sassonia alla testa delle truppe francesi), chiudendo un conflitto mondiale (si era combattuto in Europa, nelle Americhe e in India oltre che sugli oceani) senza cavare il proverbiale ragno dal buco.

Peccato solo che la malafede e la menzogna non ricavino sempre questo unico risultato.

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Friedrich von Tannenberg
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