Le righe scritte da Loris Zecchinato sulla “Perfida Albione” mi hanno stuzzicato a sviluppare una riflessione sulla secolare politica imperiale anglosassone (prima britannica, poi statunitense) che covavo da anni.
È vero, l'impero britannico, costruito prima e difeso poi con le unghie e con i denti per secoli, è stato dismesso in appena vent'anni dopo la fine (vittoriosa!) di due guerre mondiali senza praticamente colpo ferire. Forse una delle conclusioni più ingloriose della storia per uno degli imperi più estesi e duraturi, peggio persino dell'URSS, che almeno passò il testimone ad una Federazione Russa che si sta facendo rispettare. Ma ciò che trovo più interessante, riguardo alla politica britannica con cui quell'impero fu costruito e difeso, è il concetto di “Balance of Power”, che è stato reso popolare e anche apprezzato come saggia e moderata condotta da secoli di letteratura accademica anglofila. Significa letteralmente “Equilibrio di forze”, ed è una definizione accattivante, bisogna ammetterlo (ma gli anglosassoni sono sempre stati bravi nel marketing e nell'autopromozione). Cosa di più rassicurante di un moderato bilanciamento, in cui ciascuna parte rispecchia esattamente il peso dell'altra? Un idillio in cui nessuno ha più di ciò che si merita, e ogni cambiamento rischia di rovinare la quiete generale.
Nei fatti, l'applicazione di questo zuccherino ha significato che, ogniqualvolta sul continente una qualsiasi potenza iniziava ad espandersi “troppo”, ossia in modo tale da poter aspirare ad un ruolo egemone, la Gran Bretagna promuoveva subito la formazione di leghe e alleanze con tutti i suoi antagonisti per impegnarla in conflitti che ne bloccassero e frustrassero le ambizioni. Il tutto, ovviamente, in nome della libertà degli Stati minori, minacciata dalle mire dei più potenti (su cosa importasse agli inglesi della libertà dei piccoli stati europei, in genere gli storici sorvolano).
Il risultato è stato una situazione di guerre continentali (e, alla fine, mondiali) endemiche, una o due per generazione, dato che ogni volta che una potenza veniva eliminata dallo scacchiere ne sorgeva naturalmente un'altra pronta a riempirne lo spazio lasciato vacante. La corona britannica, che da sola non avrebbe mai potuto rappresentare una minaccia sul continente, comprava letteralmente con sussidi e contributi (oggi diremmo “mazzette”, ma non si può perché gli anglosassoni sono onesti, e corrotti sono sempre gli altri) una pletora di stati e staterelli dal bilancio in bolletta che reclutavano eserciti (spesso mercenari) uno dopo l'altro, sino a che l'Europa veniva ridotta ad un campo di battaglia insanguinato e i contendenti ne uscivano sfiniti. Prima la Spagna cattolica, poi la Francia dei Borbone, della Rivoluzione e dell'Impero, quindi la Russia e la Germania. Alla Gran Bretagna non mancava mai un obbiettivo per fomentare guerre a casa altrui, sempre con l'obbiettivo ufficiale di impedire “l'asservimento d'Europa”. Che spesso i suoi stessi alleati non fossero esempi di liberalismo, passa anche quello sotto silenzio: evidentemente, quando fa comodo a Londra, la morale può essere conciliata col machiavellismo del fine che giustifica i mezzi. Ma la realtà è un'altra.
Semplicemente, la Gran Bretagna ha perseguito sempre un modello di impero differente da quello classico, che fa riferimento soprattutto a Roma. Non il controllo diretto di vasti e popolosi territori, che comportava l'onore ma anche l'onere di farsi carico della loro amministrazione, bensì quello dei punti chiave: si occupano i porti, le coste, gli stretti e le isole strategicamente posizionati, da cui tenere sotto controllo le vie di comunicazione, e si sfruttano commercialmente tutti i territori attigui, magari, quando qualche pascià o capotribù locale inizia a protestare, fomentandogli contro qualche vicino che lo tenga occupato, e, se proprio non riesce, allora ci si sporca le mani direttamente, ma solo come extrema ratio. Un modello che ha come antecedenti illustri Cartagine prima di Annibale e, per certi versi, Atene, entrambe esempi di voraci società mercantili con in mano efficienti e vaste flotte. E che, se hanno goduto di successiva riabilitazione, sono state invece pesantemente esecrate dai contemporanei per l'avidità e la brutalità nel trattare coi sottoposti, e persino con gli stessi alleati. A riprova di ciò, basti pensare che anche alcuni fra i principali scrittori ateniesi disprezzavano la direzione politica della propria città e concedevano invece piene lodi a Sparta. Senofonte, Tucidide e Platone, per citarne qualcuno, parteggiavano apertamente per il “nemico”, giudicato moralmente retto e nella pratica più affidabile. Noi non abbiamo avuto la fortuna dei greci di allora, e ci siamo dovuti sorbire secoli di apologia della democrazia liberale anglosassone che faceva argine agli autoritarismi, senza praticamente contraddittorio. Anche quando, come nel caso della Spagna di Filippo II o della Francia del XVII e XVIII secolo, per la struttura sociale dell'epoca non era neppure possibile ipotizzare un controllo autoritario della società, mentre quei Paesi erano l'avanguardia culturale dell'Europa del tempo (molte spanne sopra la stessa Inghilterra) e da un loro predominio non sarebbe venuto nulla di catastrofico per la civiltà occidentale, anzi. Ma la Spagna mirava ad un impero multinazionale unito sotto alla fede cattolica, mentre la Francia del re Sole puntava ad una situazione strategica che la facesse finita con l'accerchiamento dei territori asburgici che soffriva da due secoli, e che, dopo che nel 1700 la corona di Spagna fu offerta in eredità ad un nipote di Luigi XIV, sarebbe divenuto un blocco compatto estendentesi su tre continenti. Entrambi risultati che avrebbero marginalizzato le isole britanniche, e soprattutto ne avrebbero ridotto considerevolmente il peso economico nei commerci mondiali. Così, per due secoli l'Europa fu sconvolta da guerre i cui fuochi si appiccavano sin nelle Indie, una coalizione dopo l'altra, sino a Waterloo. Per la “libertà dei mari”, naturalmente, concetto tanto astruso quanto onnipresente, tanto da entrare persino fra i fumosi principi del cosiddetto Diritto Internazionale, ma in realtà per il beneficio dei bottegai albionici. E, dopo la Francia, la Russia, la cui sola presenza in vicinanza dei Dardanelli e dei passi del Pamir verso l'India era, per Londra, una minaccia. E dopo la Russia, battuta per interposta persona dal Giappone nel 1904-05 (alleato dell'Inghilterra), la Germania, territorialmente molto meno estesa ma con un potenziale economico e militare maggiore di chiunque altro in Europa, e seconda solo agli USA nel mondo. E quindi, due guerre mondiali non più per la libertà dei mari, ma dei popoli. Che ogni volta finiva per essere solo la loro: i primi ad applicare blocchi navali per strangolare gli avversari furono proprio gli inglesi.
Il crollo dell'impero britannico fu un trauma, ma oltremanica fu elaborato rapidamente accettando la successione ad esso dell'egemonia statunitense. Ci sarebbe molto di interessante da scoprire da un'analisi psicologica, e magari psichiatrica, che ha portato la coscienza collettiva britannica ad identificarsi negli USA, al punto da usare come espressioni comuni “Oltremare” per riferirsi all'Europa oltre la Manica, e “oltre lo stagno” per gli Stati Uniti, come se la distanza culturale fra il continente di cui le isole britanniche han sempre fatto parte fosse più abissale di quella con una nazione nata da una guerra feroce per separarsi proprio dall'impero britannico e con una società la cui struttura è radicalmente antitetica a quella aristocratica, quasi castale, del Regno Unito. Ma non è questo il luogo, né il punto che ci interessa. Qui fa conto di riconoscere come, anche nella prassi nordamericana, la politica egemonica è stata portata avanti come una continuazione di quella inglese. Parafrasando Clausewitz, gli Stati Uniti sono la continuazione dell'Impero Britannico con altri mezzi. Hanno mandato avanti le multinazionali come avamposti per presidiare il territorio, sfruttare le risorse di interi continenti manipolandone i governi, finanziando regimi autoritari e guerre civili o fra vicini interminabili e inconcludenti ma micidiali, e solo quando proprio tutto il resto non funzionava hanno mandato i marines, ma sempre facendo conto su di una superiorità materiale schiacciante, tant'è che hanno sempre avuto perdite umane ridicole rispetto agli altri. E il gioco gli è riuscito per un pezzo. Sudamericani, asiatici e africani sono stati spremuti come limoni e lasciati in balia dei peggiori maniaci sul campo, e una regione come il Medio Oriente, la quale, dalla conquista ottomana dei primi del '500, era stata particolarmente sonnacchiosa e in cui, a parte l'incursione del giovane Napoleone non era più successo quasi niente, è divenuto un vero laboratorio degli orrori in cui il loro alleato di ferro può permettersi quello che solo loro stessi si erano permessi nella Storia, da Dresda a Hiroshima e Nagasaki. Dalla Prima Guerra Mondiale, ossia dall'ingresso degli anglosassoni, non si fa che combattere e vedere regimi repressivi. Il tutto, ovviamente, sempre per esportare democrazia.
Ora la merce che hanno proposto per tanto tempo è palesemente respinta ovunque, perché avariata. Nonostante i cinegiornali europei si sforzino di nasconderlo, la ragione per cui in Africa, Sudamerica e Asia meridionale si guardi con maggior simpatia a Russia, Cina e Iran è palese. Voler tenere sottomessi popoli e nazioni senza pagar dazio, prendendosi tutto ma senza dover spendere nulla per la sanità, l'educazione e le infrastrutture è davvero esagerato. Ma peggio ancora è l'ipocrisia sfacciata di chi ancora, dopo aver raso al suolo tutti i posti in cui è passato, ancora pretende di essere l'unico difensore del Bene.
È vero, l'impero britannico, costruito prima e difeso poi con le unghie e con i denti per secoli, è stato dismesso in appena vent'anni dopo la fine (vittoriosa!) di due guerre mondiali senza praticamente colpo ferire. Forse una delle conclusioni più ingloriose della storia per uno degli imperi più estesi e duraturi, peggio persino dell'URSS, che almeno passò il testimone ad una Federazione Russa che si sta facendo rispettare. Ma ciò che trovo più interessante, riguardo alla politica britannica con cui quell'impero fu costruito e difeso, è il concetto di “Balance of Power”, che è stato reso popolare e anche apprezzato come saggia e moderata condotta da secoli di letteratura accademica anglofila. Significa letteralmente “Equilibrio di forze”, ed è una definizione accattivante, bisogna ammetterlo (ma gli anglosassoni sono sempre stati bravi nel marketing e nell'autopromozione). Cosa di più rassicurante di un moderato bilanciamento, in cui ciascuna parte rispecchia esattamente il peso dell'altra? Un idillio in cui nessuno ha più di ciò che si merita, e ogni cambiamento rischia di rovinare la quiete generale.
Nei fatti, l'applicazione di questo zuccherino ha significato che, ogniqualvolta sul continente una qualsiasi potenza iniziava ad espandersi “troppo”, ossia in modo tale da poter aspirare ad un ruolo egemone, la Gran Bretagna promuoveva subito la formazione di leghe e alleanze con tutti i suoi antagonisti per impegnarla in conflitti che ne bloccassero e frustrassero le ambizioni. Il tutto, ovviamente, in nome della libertà degli Stati minori, minacciata dalle mire dei più potenti (su cosa importasse agli inglesi della libertà dei piccoli stati europei, in genere gli storici sorvolano).
Il risultato è stato una situazione di guerre continentali (e, alla fine, mondiali) endemiche, una o due per generazione, dato che ogni volta che una potenza veniva eliminata dallo scacchiere ne sorgeva naturalmente un'altra pronta a riempirne lo spazio lasciato vacante. La corona britannica, che da sola non avrebbe mai potuto rappresentare una minaccia sul continente, comprava letteralmente con sussidi e contributi (oggi diremmo “mazzette”, ma non si può perché gli anglosassoni sono onesti, e corrotti sono sempre gli altri) una pletora di stati e staterelli dal bilancio in bolletta che reclutavano eserciti (spesso mercenari) uno dopo l'altro, sino a che l'Europa veniva ridotta ad un campo di battaglia insanguinato e i contendenti ne uscivano sfiniti. Prima la Spagna cattolica, poi la Francia dei Borbone, della Rivoluzione e dell'Impero, quindi la Russia e la Germania. Alla Gran Bretagna non mancava mai un obbiettivo per fomentare guerre a casa altrui, sempre con l'obbiettivo ufficiale di impedire “l'asservimento d'Europa”. Che spesso i suoi stessi alleati non fossero esempi di liberalismo, passa anche quello sotto silenzio: evidentemente, quando fa comodo a Londra, la morale può essere conciliata col machiavellismo del fine che giustifica i mezzi. Ma la realtà è un'altra.
Semplicemente, la Gran Bretagna ha perseguito sempre un modello di impero differente da quello classico, che fa riferimento soprattutto a Roma. Non il controllo diretto di vasti e popolosi territori, che comportava l'onore ma anche l'onere di farsi carico della loro amministrazione, bensì quello dei punti chiave: si occupano i porti, le coste, gli stretti e le isole strategicamente posizionati, da cui tenere sotto controllo le vie di comunicazione, e si sfruttano commercialmente tutti i territori attigui, magari, quando qualche pascià o capotribù locale inizia a protestare, fomentandogli contro qualche vicino che lo tenga occupato, e, se proprio non riesce, allora ci si sporca le mani direttamente, ma solo come extrema ratio. Un modello che ha come antecedenti illustri Cartagine prima di Annibale e, per certi versi, Atene, entrambe esempi di voraci società mercantili con in mano efficienti e vaste flotte. E che, se hanno goduto di successiva riabilitazione, sono state invece pesantemente esecrate dai contemporanei per l'avidità e la brutalità nel trattare coi sottoposti, e persino con gli stessi alleati. A riprova di ciò, basti pensare che anche alcuni fra i principali scrittori ateniesi disprezzavano la direzione politica della propria città e concedevano invece piene lodi a Sparta. Senofonte, Tucidide e Platone, per citarne qualcuno, parteggiavano apertamente per il “nemico”, giudicato moralmente retto e nella pratica più affidabile. Noi non abbiamo avuto la fortuna dei greci di allora, e ci siamo dovuti sorbire secoli di apologia della democrazia liberale anglosassone che faceva argine agli autoritarismi, senza praticamente contraddittorio. Anche quando, come nel caso della Spagna di Filippo II o della Francia del XVII e XVIII secolo, per la struttura sociale dell'epoca non era neppure possibile ipotizzare un controllo autoritario della società, mentre quei Paesi erano l'avanguardia culturale dell'Europa del tempo (molte spanne sopra la stessa Inghilterra) e da un loro predominio non sarebbe venuto nulla di catastrofico per la civiltà occidentale, anzi. Ma la Spagna mirava ad un impero multinazionale unito sotto alla fede cattolica, mentre la Francia del re Sole puntava ad una situazione strategica che la facesse finita con l'accerchiamento dei territori asburgici che soffriva da due secoli, e che, dopo che nel 1700 la corona di Spagna fu offerta in eredità ad un nipote di Luigi XIV, sarebbe divenuto un blocco compatto estendentesi su tre continenti. Entrambi risultati che avrebbero marginalizzato le isole britanniche, e soprattutto ne avrebbero ridotto considerevolmente il peso economico nei commerci mondiali. Così, per due secoli l'Europa fu sconvolta da guerre i cui fuochi si appiccavano sin nelle Indie, una coalizione dopo l'altra, sino a Waterloo. Per la “libertà dei mari”, naturalmente, concetto tanto astruso quanto onnipresente, tanto da entrare persino fra i fumosi principi del cosiddetto Diritto Internazionale, ma in realtà per il beneficio dei bottegai albionici. E, dopo la Francia, la Russia, la cui sola presenza in vicinanza dei Dardanelli e dei passi del Pamir verso l'India era, per Londra, una minaccia. E dopo la Russia, battuta per interposta persona dal Giappone nel 1904-05 (alleato dell'Inghilterra), la Germania, territorialmente molto meno estesa ma con un potenziale economico e militare maggiore di chiunque altro in Europa, e seconda solo agli USA nel mondo. E quindi, due guerre mondiali non più per la libertà dei mari, ma dei popoli. Che ogni volta finiva per essere solo la loro: i primi ad applicare blocchi navali per strangolare gli avversari furono proprio gli inglesi.
Il crollo dell'impero britannico fu un trauma, ma oltremanica fu elaborato rapidamente accettando la successione ad esso dell'egemonia statunitense. Ci sarebbe molto di interessante da scoprire da un'analisi psicologica, e magari psichiatrica, che ha portato la coscienza collettiva britannica ad identificarsi negli USA, al punto da usare come espressioni comuni “Oltremare” per riferirsi all'Europa oltre la Manica, e “oltre lo stagno” per gli Stati Uniti, come se la distanza culturale fra il continente di cui le isole britanniche han sempre fatto parte fosse più abissale di quella con una nazione nata da una guerra feroce per separarsi proprio dall'impero britannico e con una società la cui struttura è radicalmente antitetica a quella aristocratica, quasi castale, del Regno Unito. Ma non è questo il luogo, né il punto che ci interessa. Qui fa conto di riconoscere come, anche nella prassi nordamericana, la politica egemonica è stata portata avanti come una continuazione di quella inglese. Parafrasando Clausewitz, gli Stati Uniti sono la continuazione dell'Impero Britannico con altri mezzi. Hanno mandato avanti le multinazionali come avamposti per presidiare il territorio, sfruttare le risorse di interi continenti manipolandone i governi, finanziando regimi autoritari e guerre civili o fra vicini interminabili e inconcludenti ma micidiali, e solo quando proprio tutto il resto non funzionava hanno mandato i marines, ma sempre facendo conto su di una superiorità materiale schiacciante, tant'è che hanno sempre avuto perdite umane ridicole rispetto agli altri. E il gioco gli è riuscito per un pezzo. Sudamericani, asiatici e africani sono stati spremuti come limoni e lasciati in balia dei peggiori maniaci sul campo, e una regione come il Medio Oriente, la quale, dalla conquista ottomana dei primi del '500, era stata particolarmente sonnacchiosa e in cui, a parte l'incursione del giovane Napoleone non era più successo quasi niente, è divenuto un vero laboratorio degli orrori in cui il loro alleato di ferro può permettersi quello che solo loro stessi si erano permessi nella Storia, da Dresda a Hiroshima e Nagasaki. Dalla Prima Guerra Mondiale, ossia dall'ingresso degli anglosassoni, non si fa che combattere e vedere regimi repressivi. Il tutto, ovviamente, sempre per esportare democrazia.
Ora la merce che hanno proposto per tanto tempo è palesemente respinta ovunque, perché avariata. Nonostante i cinegiornali europei si sforzino di nasconderlo, la ragione per cui in Africa, Sudamerica e Asia meridionale si guardi con maggior simpatia a Russia, Cina e Iran è palese. Voler tenere sottomessi popoli e nazioni senza pagar dazio, prendendosi tutto ma senza dover spendere nulla per la sanità, l'educazione e le infrastrutture è davvero esagerato. Ma peggio ancora è l'ipocrisia sfacciata di chi ancora, dopo aver raso al suolo tutti i posti in cui è passato, ancora pretende di essere l'unico difensore del Bene.
Almeno i romani ebbero l'onestà di dichiarare apertamente il loro “Delenda Carthago”.