La parola è di origine russa, погром, e si legge “pagròm”. Si usa ancor oggi, ma non ha diretta attinenza a violenze fisiche su base razziale, né è direttamente legata all'antisemitismo: più genericamente, significa “devastazione, distruzione”, tanto che me la sono ritrovata come titolo di un breve, divertente cortometraggio animato sovietico degli anni '70, in cui a fare il “pogrom” erano stati due piccole pesti che avevano messo a soqquadro l'appartamento dei genitori. Non così in Occidente, dove, da subito, gli si appiccicò il significato di “eccidio di ebrei”. Et pour cause, verrebbe da dire, visto che ebbero vasta rinomanza, a partire dalla fine del XIX secolo, quelli che videro devastare le proprietà e commettere violenze di massa sulle comunità ebraiche nei territori dell'impero russo. Paradossalmente, furono più frequenti nei territori dell'attuale Ucraina e Moldova (anche perché la popolazione ebraica era più consistente), che oggi le burocrazie europee vorrebbero presentare come isole di libertà minacciate dall'autocrazia moscovita. Divennero eccidi di massa durante la breve e ingloriosa prima Repubblica Ucraina (1918-1921), a riprova del fatto che l'antisemitismo era profondamente radicato nel costume e nella mentalità di quelle popolazioni (così come in Polonia e nei Paesi Baltici, anche se oggi non si deve dire perché siamo alleati). E a differenza che nel resto della Russia: perché se è vero che il pregiudizio contro gli ebrei era presente anche nel resto dei territori dell'impero, difficilmente arrivava alla violenza omicida raggiunta nelle regioni occidentali e meridionali, in cui spesso lo zar mandava le truppe a rimettere ordine e a proteggere la vita dei sudditi israeliti (altra cosa che oggi non è conveniente ricordare). Poi, con l'ondata di antisemitismo che investì l'Europa centrale e orientale insieme all'avanzata della Wehrmacht, se ne ebbe una recrudescenza, sino al secondo dopoguerra, dove, contrariamente a quanto credono i più, non cessarono ma ebbero luogo nei territori sotto controllo alleato: possiamo ricordare i pogrom nella Polonia occupata dai sovietici, dal 1944 al 1947, e quello di Tripoli del dicembre 1945, in cui la popolazione araba fece strage degli ebrei locali sotto al naso delle inerti forze di occupazione britannica (mai nulla del genere era accaduto sotto l'amministrazione italiana, neppure dopo le leggi razziali).

Oggi la parola è tornata in gran spolvero dopo che un gruppo di tifosi israeliani è stato aggredito dalla popolazione mussulmana di origine extra-europea ad Amsterdam, ma fa conto di raccontare meglio i fatti, perché, per come l'ha presentata la stampa occidentale, quella “libera e indipendente”, pare che sia tutta opera di feroci antisemiti saltati addosso a tradimento agli ignari israeliani.

I tifosi del Maccabi, sia allo stadio che fuori si sono comportati con la strafottenza tipica dei tifosi di tutto il mondo. La cosa grave, però, è che abbiano dato una coloritura politica alle loro rodomontate, prima cantando dagli spalti cori su Gaza (il più esemplare è quello che faceva: “Niente scuole a Gaza perché non ci sono più bambini”), e poi, dopo la partita, alla vista delle numerose bandiere palestinesi esposte da finestre e balconi, si sono attardati per strada per strapparvele. Purtroppo per loro, si sono accorti tardi di trovarsi in una delle città europee con una numerosissima comunità islamica, la quale ha dato il via ad una vera e propria caccia all'uomo: sono stati inseguiti, colpiti con vari oggetti, ma il dettaglio più interessante è che i tassinari hanno partecipato attivamente all'inseguimento, segnalando la presenza dei tifosi in fuga tramite l'apparecchiatura di lavoro. In definitiva, è stato un miracolo se non ci è scappato il morto.

Le reazioni sono state, al solito, teatrali. Israele ha mandato persino un volo di stato per far rientrare i concittadini contusi, come se non ci fossero voli di linea sufficienti alla bisogna; Netanyahu ha parlato di “antisemitismo premeditato” (avendo ragione a metà), mentre il re d'Olanda ha persino espresso vergogna per la dimostrata incapacità di proteggere gli ebrei “come durante la Seconda Guerra Mondiale”.

In tutto questo, l'ossessione di richiamare (del tutto a sproposito) le persecuzioni antisemite d'altri tempi fanno perdere completamente di vista il vero punto della questione. Intanto, la monomania da Olocausto è risibilmente fuori luogo: quello di Amsterdam non è stato un pogrom, intanto perché non avente ad oggetto la popolazione ebraica residente, poi perché reazione a provocazioni reali, e quindi perché non ci sono stati morti (in tutti, ma proprio tutti i pogrom così chiamati i cadaveri si ammassavano per le vie). Ma è più interessante notare come tutti i commentatori, dai politici ai pennivendoli di regime, troppo presi dall'evocare inesistenti croci uncinate, abbiano mancato di rilevare la vera sostanza dell'evento: che Israele, se ha vinto la battaglia a Gaza, l'ha persa in Europa. Gli israeliani (e, presto, anche la popolazione israelita residente da lunga data, sinora quasi del tutto risparmiata da violenze sistematiche) si sono risvegliati in un Vecchio Continente in cui, se manca del tutto un “pericolo fascista” (se non nelle menti bacate dei regimi-fantoccio continentali), ci si ritrova una popolazione di provenienza extraeuropea accomunata da una forte fede islamica e accompagnata da una caratteristica che, vista la debolezza dei regimi politici locali e, al contrario, la violenza e l'intolleranza dell'azione politica israeliana contro la popolazione araba di quelle parti, non potrà che aumentare, ossia un virulento antisemitismo, specularmente sempre più intollerante e sempre più violento. Il fatto che le autorità, i partiti politici (non per forza di sinistra, basti vedere le uscite della nostra ex-sovranista) e i pennivendoli di regime delirino di Terzo Reich e di cose successe ormai quasi cent'anni fa, non dimostra se non l'esistenza di una realtà virtuale in cui questa gente vive, realtà costruita a tavolino e conculcata con dosi massicce di propaganda e disinformazione anche al largo pubblico, ma in cui finiscono per vivere loro stessi, nell'impossibilità di osservare e giudicare imparzialmente l'altra realtà, quella oggettiva, che gli sta sotto il naso e che sta anche iniziando a pestar loro i piedi. Ed è una realtà oggettiva in cui non c'entrano le SS, Hitler non è mai comparso e a nessuno è passato per la testa di colpevolizzare gli ebrei per la morte di Gesù Cristo o per aver inquinato il sangue ariano. È una realtà a cui ci hanno portato decenni di politiche buoniste di porte aperte, di immigrazione incontrollata e di sorrisi e fiumi di denaro contante distribuiti come sussidi e aiuti all'integrazione a gente di cui non abbiamo neppure cercato di controllare la provenienza sociale e culturale, e che ormai affolla senza più rimedio tutte le principali città d'Europa, costituendo dove il 10, dove il 20 per cento della popolazione, e a volte anche di più. Gente che odiava l'Occidente per un passato coloniale a cui la Germania nazista era completamente estranea, ma non così le democrazie liberali inglese e francese. Gente a cui era insegnato già nei suoi testi sacri a disprezzare l'infedele, quando non ad ucciderlo. Gente convinta in buona fede della superiorità morale delle proprie tradizioni, anche quando queste comprendevano la Sharia. Gente che nei propri paesi attribuisce alle donne ruoli rigidamente definiti e ostracizza, quando non li giustizia pubblicamente, gli omosessuali. Una massa non integrabile che infatti non si è integrata, ma ha solo approfittato della nostra generosa idiozia per installarsi nelle capitali europee sino al punto che le stesse polizie locali evitano di entrare nei loro quartieri per semplice paura. Oswald Spengler lo aveva descritto ormai un secolo fa con una precisione che sa di preveggenza: l'integrazione fra civiltà non esiste, esiste solo il cedere terreno dalla più debole alla più forte, la quale, se sembra adattarsi alle forme della prima, lo fa solo come mezzo per meglio combattere e sconfiggere il nemico. E infatti. Hanno le loro scuole coraniche, hanno i loro servizi d'ordine, hanno le loro autorità per dirimere i contrasti secondo le proprie leggi. Vivono come in una fortezza, ma ne escono quando vogliono, e, spesso, per fare ciò che reputano giusto fare, senza badare ai nostri codici penali. Praticano, se gli va, l'infibulazione, i matrimoni combinati, con o fra minorenni, e hanno persino la propria finanza, quella islamica, che, a dirla tutta, a confronto della nostra non è neppure male. Al punto in cui siamo, solo qualche scemo ha potuto davvero meravigliarsi per l'inerzia della polizia olandese ad Amsterdam. È semmai un atteggiamento obbligato, e faremmo meglio ad abituarci, dato che il rapporto di forze è già a nostro sfavore. Così come gli israeliani faranno bene ad abituarsi a venire accolti non più da un clima di simpatia, magari condito coi sensi di colpa autoindotti per le “responsabilità” sull'Olocausto, ma da ostilità, odio e, sempre più spesso, esplosioni di violenza per ragioni sempre meno vistose. Naturalmente dovremo sorbirci ancora per un po' le lagne sull'emergenza antisemitismo legata ai rigurgiti fascisti e all'avanzata delle destre, ma col tempo anche questa pappardella verrà cancellata dal canto dei muezzin e dallo sghignazzare di chi, memore delle mattanze a Gaza e in Libano, citerà l'Olocausto non come monto ma come un buon esempio. Perché il punto segnato ad Amsterdam è questo: non i pogrom, ma la sostituzione etnica. Anche se chi ne parla viene puntualmente bollato di “complottista”.

Avremo occasione di riparlarne: siamo solo all'inizio.

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Friedrich von Tannenberg
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