Lo so, lo so, lo sappiamo tutti: è da ingenui pensare che dalle elezioni americane esca fuori qualcosa di buono per noi europei, e tanto meno per noi italiani. Quelli votano comunque per candidati che hanno l'approvazione delle lobby, e sarà tanto se uno come Trump, che è troppo ricco di suo per essere corrompibile, sopravviverà abbastanza per fare gli interessi dei suoi elettori, che non sono certo i nostri. E in ogni caso, stati-fantoccio siamo, e stati-fantoccio resteremo. Ma lo spettacolo di una colossale messinscena mediatica, volta a buggerare l'uomo medio facendo conto che fosse ancora più scemo di quanto l'esposizione ai media abbia reso, pagata in maniera ipertrofica dai mostri della mafia finanziaria e industriale a stelle e strisce, ma che fallisce miseramente, mentre i prostituti a mezzo stampa di mezzo mondo cercavano, affranti, di non raccontarla, è troppo gustoso perché, almeno oggi, non ci si sieda a godersela. Quindi, da domani torneremo ad osservare le manovre fraudolente con cui i soliti noti cercheranno di tarpare ogni azione tesa a migliorare le condizioni di vita e di lavoro in Occidente e altrove, magari promuovendo guerre vecchie e nuove (che sono sempre il business più lucroso). Ma per stasera, approfittiamone, e tiriamo fuori i pop-corn.
La prima vittima di una torta in faccia che, come nelle comiche finali degli anni '20, colpivano in massa, e nel mucchio, è la povera candidata Kamala Harris. Ora è facile come sparare sulla Croce Rossa, ma per anni, e soprattutto negli ultimi tre mesi, i presstituti (termine perfetto, coniato, guarda caso, proprio da Donald Trump) ce ne hanno fatto un'overdose ricostruendone l'immagine di novella Giovanna D'Arco, campionessa femminile di tutti i diritti di tutti i cosiddetti, e presunti, sfruttati d'America e del mondo. Con lei non avrebbero avuto nulla da temere le donne, i latinos, i negri, gli immigrati, le coppie LGBT+$ e anche l'ambiente. Con l'incredibile macchina da guerra che l'ha sostenuta, e che, fra i finanziatori della sua campagna elettorale, presentava tutte le principali grandi aziende e società americane, è stata capace solo di fare la figura di quello che è: una scema miracolata da un ricco matrimonio buona per qualsiasi poltrona da yes-man (ops, yes-woman, non cadiamo negli stereotipi di genere), clone ideale di quel fantoccio con le pile scariche dell'attuale presidente e destinata solo a firmare decreti scritti e ideati da altri. È riuscita a deludere chiunque, e anche ad offendere quelle stesse minoranze sul cui voto puntava. Certo non dev'essere stato geniale assumere l'accento tipico degli afroamericani quando parlava a platee di negri, cosa che costoro ritengono particolarmente insultante, come qualsiasi persona sentendo scimmiottare la propria parlata, ma che neppure nel suo pagatissimo staff non l'abbiano notato, fa davvero senso.
Lo staff Democratico si piazza ex-equo a fianco della seconda presidente-donna fallita nell'urna (funeraria). Gente che dovrebbe sguazzare nell'organizzazione di eventi e strategie elettorali, e a cui era stata data letteralmente una montagna di soldi per procurarsi i migliori mezzi e le migliori menti, si è vista schifata persino dal proprio elettorato tradizionale, e ha perso anche negli stati in cui non faticava mai. Ci vuole del genio per sprofondare così. Come udii anni fa in un filmetto americano, che ricordo solo perché fu il primo con Kirsten Dunst che vidi, “un conto è fallire, un conto è fare un fiasco colossale”. Qui l'abbiamo centrato in pieno.
I media, quindi. Da mesi hanno montato e gonfiato una candidata scialba cercando di presentarla come una promessa per il futuro, e quasi riuscivano a nascondere che fosse invece lì già da quattro anni, e che rappresentasse una politica interna inconcludente ed una estera semplicemente criminale. “Eleggetela, e vedrete”, parevano dire. E non contenti di questo, l'hanno data per eletta da subito, forse pensando di manipolare l'opinione pubblica da veri virtuosi secondo lo schema: diamo per vincente il perdente, così i pecoroni la voteranno e vincerà davvero. Che sarebbe pretendere un livello di povertà intellettiva persino inferiore a quello a cui hanno ridotto, con decenni di propaganda, il pubblico americano, noto per andar dietro a predicatori e attorucoli incapaci di padroneggiare un vocabolario di più di cento parole. “Kamala è in vantaggio”, dicevano, quando era a malapena testa a testa con Trump. Poi, vedendo che i sondaggi, quelli veri, non cambiavano, hanno raddrizzato la mira negli ultimi sette giorni, parlando di “testa a testa”. Che, per chi sa leggere fra le righe, significava uno svantaggio incolmabile. Bugiardi e ipocriti che fuggivano come topi dalla nave che si inabissava, intenti solo a pararsi il culo (scusate il francesismo). E che ancora nella notte, ad urne appena chiuse e a disastro già incombente, facevano come l'ineffabile Congiu, che, prima di venir mandato a dormire dai propri colleghi di SkyBalle24, balbettava di un surreale “testa a testa” 47 a 47, con uno scarto dello 0,2%, manco fosse un analista di laboratorio a maneggiare provette. Peggio ancora i colleghi in studio che, ancora dopo dodici ore dalla chiusura dei seggi, rifiutavano di parlare di voto popolare e si concentravano sui “Grandi Elettori”, puntando tutti i riflettori sulla spartizione del punteggio elettorale e facendone una sorta di partita a tennis. Dalla mattina, invece, erano evidenti facce patibolari e travasi di bile che evidenziavano l'ennesima cantonata presa. Ma quando si fa i diffusori di veline, e non di informazione e verità, succede. E ultimamente anche spesso.
I cosiddetti “leader” del mondo cosiddetto “libero”. Memori di come Trump li aveva trattati durante la prima presidenza, forse, e cioè a pesci in faccia, hanno tifato come degli hooligan per la scema, consci del fatto che sarebbe stata una vicina di tavolo ideale alle periodiche abbuffate che, con la scusa di Nato, G7 e vertici vari, li tengono impegnati a far finta di decidere qualcosa. Poi, è anche meno scoreggiona di Biden, vuoi mettere? Si ritrovano un uomo che li giudica e li tratta per quel che sono, ossia invertebrati e leccapiedi, e glielo dice pure. Tanto non hanno comunque il coraggio di reagire, e lui lo sa: avrebbero potuto avere uno scatto d'orgoglio, ed evitare di abbassarsi alla rituale telefonata di congratulazioni, come Trump stesso si rifiutò di fare quattro anni fa. Ma figuratevi se ne sono capaci: hanno già tutti telefonato, lingua sino a terra, elogiando il radioso futuro delle relazioni con gli USA. Orban, meritatamente, sghignazza.
E una parolina ai cosiddetti “analisti”, ossia statistici, sondaggisti, esperti di fuffologia con editoriale fisso in giornali che neppure arrivano in edicola, vogliamo spenderla? Appena qualche giorno fa davo conto proprio qui di come costoro avessero capito tutto sulla suddivisione del voto americano: donne, negri, amerindi, latinos, LGBT+$, tutti a votare la Kamala. Oggi pare che gli elettori USA siano tutti maschi bianchi etero e anche un po' fascisti. Oppure che l'americano medio, sia esso uomo o donna, bianco o negro, etero o altro, si è rotto le balle di venir diviso in cellette da contrapporre le une alle altre a comando di quattro cialtroni che poi se le giocano come a carte. E sempre sulla pelle altrui. E hanno votato come pare a loro. Così come per un altro “analista”, che poco tempo fa spiegava l'assurdo (secondo lui) di una classe lavoratrice che votava per un candidato dei ricchi, che avrebbe fatto politiche contrarie agli interessi dei poveri. Ammesso e non concesso che Trump sia il candidato dei ricchi, e non di sé stesso, lo stesso genio dimenticava di ricordare come i ricchi veri, le conglomerate d'America ma con sede ed interessi all'estero, abbiano fatto fronte comune per la Harris, e perché. Forse anche loro ragionano in modo tanto assurdo, contro i propri interessi? O non sarà che avevano visto benissimo, ossia che una presidenza Trump andava a rovinare gli affari di chi ha smantellato il tessuto industriale USA trasferendolo in Cina? Misteri, per questi geni della lampada, che si stupiscono di una realtà refrattaria a tanta scienza. E che ha fatto, ancora una volta, dei loro sudati sforzi materia per nuova carta igienica.
Infine, un saluto a tutto il jet-set, da Hollywood a Manhattan, pletora di attori, cantanti, saltimbanchi da show del sabato sera e altri animali da salotto del Partito Democratico, i quali, traboccanti di dollari, si sono sperticati anche stavolta nel far campagna elettorale a chi riempie loro la ciotola. Anche se la gente paga il biglietto per i loro concerti e film, devono capire che, con la vita da cocainomani e pervertiti a cinque stelle che fanno, non hanno davvero alcun ascendente in materia elettorale.
La prima vittima di una torta in faccia che, come nelle comiche finali degli anni '20, colpivano in massa, e nel mucchio, è la povera candidata Kamala Harris. Ora è facile come sparare sulla Croce Rossa, ma per anni, e soprattutto negli ultimi tre mesi, i presstituti (termine perfetto, coniato, guarda caso, proprio da Donald Trump) ce ne hanno fatto un'overdose ricostruendone l'immagine di novella Giovanna D'Arco, campionessa femminile di tutti i diritti di tutti i cosiddetti, e presunti, sfruttati d'America e del mondo. Con lei non avrebbero avuto nulla da temere le donne, i latinos, i negri, gli immigrati, le coppie LGBT+$ e anche l'ambiente. Con l'incredibile macchina da guerra che l'ha sostenuta, e che, fra i finanziatori della sua campagna elettorale, presentava tutte le principali grandi aziende e società americane, è stata capace solo di fare la figura di quello che è: una scema miracolata da un ricco matrimonio buona per qualsiasi poltrona da yes-man (ops, yes-woman, non cadiamo negli stereotipi di genere), clone ideale di quel fantoccio con le pile scariche dell'attuale presidente e destinata solo a firmare decreti scritti e ideati da altri. È riuscita a deludere chiunque, e anche ad offendere quelle stesse minoranze sul cui voto puntava. Certo non dev'essere stato geniale assumere l'accento tipico degli afroamericani quando parlava a platee di negri, cosa che costoro ritengono particolarmente insultante, come qualsiasi persona sentendo scimmiottare la propria parlata, ma che neppure nel suo pagatissimo staff non l'abbiano notato, fa davvero senso.
Lo staff Democratico si piazza ex-equo a fianco della seconda presidente-donna fallita nell'urna (funeraria). Gente che dovrebbe sguazzare nell'organizzazione di eventi e strategie elettorali, e a cui era stata data letteralmente una montagna di soldi per procurarsi i migliori mezzi e le migliori menti, si è vista schifata persino dal proprio elettorato tradizionale, e ha perso anche negli stati in cui non faticava mai. Ci vuole del genio per sprofondare così. Come udii anni fa in un filmetto americano, che ricordo solo perché fu il primo con Kirsten Dunst che vidi, “un conto è fallire, un conto è fare un fiasco colossale”. Qui l'abbiamo centrato in pieno.
I media, quindi. Da mesi hanno montato e gonfiato una candidata scialba cercando di presentarla come una promessa per il futuro, e quasi riuscivano a nascondere che fosse invece lì già da quattro anni, e che rappresentasse una politica interna inconcludente ed una estera semplicemente criminale. “Eleggetela, e vedrete”, parevano dire. E non contenti di questo, l'hanno data per eletta da subito, forse pensando di manipolare l'opinione pubblica da veri virtuosi secondo lo schema: diamo per vincente il perdente, così i pecoroni la voteranno e vincerà davvero. Che sarebbe pretendere un livello di povertà intellettiva persino inferiore a quello a cui hanno ridotto, con decenni di propaganda, il pubblico americano, noto per andar dietro a predicatori e attorucoli incapaci di padroneggiare un vocabolario di più di cento parole. “Kamala è in vantaggio”, dicevano, quando era a malapena testa a testa con Trump. Poi, vedendo che i sondaggi, quelli veri, non cambiavano, hanno raddrizzato la mira negli ultimi sette giorni, parlando di “testa a testa”. Che, per chi sa leggere fra le righe, significava uno svantaggio incolmabile. Bugiardi e ipocriti che fuggivano come topi dalla nave che si inabissava, intenti solo a pararsi il culo (scusate il francesismo). E che ancora nella notte, ad urne appena chiuse e a disastro già incombente, facevano come l'ineffabile Congiu, che, prima di venir mandato a dormire dai propri colleghi di SkyBalle24, balbettava di un surreale “testa a testa” 47 a 47, con uno scarto dello 0,2%, manco fosse un analista di laboratorio a maneggiare provette. Peggio ancora i colleghi in studio che, ancora dopo dodici ore dalla chiusura dei seggi, rifiutavano di parlare di voto popolare e si concentravano sui “Grandi Elettori”, puntando tutti i riflettori sulla spartizione del punteggio elettorale e facendone una sorta di partita a tennis. Dalla mattina, invece, erano evidenti facce patibolari e travasi di bile che evidenziavano l'ennesima cantonata presa. Ma quando si fa i diffusori di veline, e non di informazione e verità, succede. E ultimamente anche spesso.
I cosiddetti “leader” del mondo cosiddetto “libero”. Memori di come Trump li aveva trattati durante la prima presidenza, forse, e cioè a pesci in faccia, hanno tifato come degli hooligan per la scema, consci del fatto che sarebbe stata una vicina di tavolo ideale alle periodiche abbuffate che, con la scusa di Nato, G7 e vertici vari, li tengono impegnati a far finta di decidere qualcosa. Poi, è anche meno scoreggiona di Biden, vuoi mettere? Si ritrovano un uomo che li giudica e li tratta per quel che sono, ossia invertebrati e leccapiedi, e glielo dice pure. Tanto non hanno comunque il coraggio di reagire, e lui lo sa: avrebbero potuto avere uno scatto d'orgoglio, ed evitare di abbassarsi alla rituale telefonata di congratulazioni, come Trump stesso si rifiutò di fare quattro anni fa. Ma figuratevi se ne sono capaci: hanno già tutti telefonato, lingua sino a terra, elogiando il radioso futuro delle relazioni con gli USA. Orban, meritatamente, sghignazza.
E una parolina ai cosiddetti “analisti”, ossia statistici, sondaggisti, esperti di fuffologia con editoriale fisso in giornali che neppure arrivano in edicola, vogliamo spenderla? Appena qualche giorno fa davo conto proprio qui di come costoro avessero capito tutto sulla suddivisione del voto americano: donne, negri, amerindi, latinos, LGBT+$, tutti a votare la Kamala. Oggi pare che gli elettori USA siano tutti maschi bianchi etero e anche un po' fascisti. Oppure che l'americano medio, sia esso uomo o donna, bianco o negro, etero o altro, si è rotto le balle di venir diviso in cellette da contrapporre le une alle altre a comando di quattro cialtroni che poi se le giocano come a carte. E sempre sulla pelle altrui. E hanno votato come pare a loro. Così come per un altro “analista”, che poco tempo fa spiegava l'assurdo (secondo lui) di una classe lavoratrice che votava per un candidato dei ricchi, che avrebbe fatto politiche contrarie agli interessi dei poveri. Ammesso e non concesso che Trump sia il candidato dei ricchi, e non di sé stesso, lo stesso genio dimenticava di ricordare come i ricchi veri, le conglomerate d'America ma con sede ed interessi all'estero, abbiano fatto fronte comune per la Harris, e perché. Forse anche loro ragionano in modo tanto assurdo, contro i propri interessi? O non sarà che avevano visto benissimo, ossia che una presidenza Trump andava a rovinare gli affari di chi ha smantellato il tessuto industriale USA trasferendolo in Cina? Misteri, per questi geni della lampada, che si stupiscono di una realtà refrattaria a tanta scienza. E che ha fatto, ancora una volta, dei loro sudati sforzi materia per nuova carta igienica.
Infine, un saluto a tutto il jet-set, da Hollywood a Manhattan, pletora di attori, cantanti, saltimbanchi da show del sabato sera e altri animali da salotto del Partito Democratico, i quali, traboccanti di dollari, si sono sperticati anche stavolta nel far campagna elettorale a chi riempie loro la ciotola. Anche se la gente paga il biglietto per i loro concerti e film, devono capire che, con la vita da cocainomani e pervertiti a cinque stelle che fanno, non hanno davvero alcun ascendente in materia elettorale.
Un ringraziamento a loro e a tutti gli altri: per oggi, ci hanno regalato tante buone ragioni per andarcene a letto di buonumore.