In un surreale scambio di battute avvenuto lo scorso mese al cosiddetto Europarlamento, un deputato polacco, Grzegorz Braun, a cui era stata data la parola, se l'è vista togliere dopo nemmeno un minuto ed è stato severamente redarguito da una signora che pareva avere le funzioni dei nostri presidente della Camera o del Senato, per aver iniziato a chiedere, dopo il voto che pretendeva dagli Stati membri l'autorizzazione all'Ucraina a colpire in profondità le città della Russia, se l'Unione era scesa in guerra, a favore di chi e per cosa, oltre ad affermare che, prolungando il conflitto, non si stava facendo nulla per aiutare concretamente il popolo ucraino. La signora in questione, a commento del bavaglio, ha affermato (e senza arrossire) che il popolo ucraino aveva già deciso (quando? Come?) di volersi imbucare nell'Unione Europea piuttosto che nella Federazione Russa, in cui “non c'è democrazia né libertà di espressione”. Oltre al grottesco del blaterare di democrazia dall'unico organo eletto, ma anche privo di qualsiasi potere legislativo o decisionale, di una struttura, quella europea, gestita come una multinazionale con dei vertici che non rispondono a nessuno e non sono eletti da nessuno ma scelti a porte chiuse da un paio di Stati membri e poi imposti agli altri, mi ha colpito il riferimento alla libertà, anche se come libertà di espressione, e dopo averla appena negata a quello che è il rappresentante eletto di un popolo. Mi ha fatto riflettere su quelle che sono le abusatissime parole d'ordine del sistema politico e sociale occidentale, quelli che vengono eletti a valori fondamentali, a ciò che significavano in origine, e a ciò che rappresentano in concreto oggi. E la libertà è il primo che vorrei affrontare in quello che, idealmente, dovrebbe essere una sorta di dizionario dei luoghi comuni dell'ideologia di regime in cui siamo immersi.
Cos'è la libertà? A colpo d'occhio sembra facile sapere cosa sia, ma andando più a fondo si sospetta che non sia così. Io sono libero di andare dove mi pare, dire quel che voglio, decidere cosa fare della mia vita. Ma in realtà posso andare da qualche parte solo se ho i mezzi per farlo, parlare liberamente sino ad un certo punto (altrimenti rischio di ritrovarmi il naso rotto, una querela per diffamazione o anche peggio), e quanto a fare ciò che voglio nella (e della) mia vita, le limitazioni materiali sono, per tutti noi, tante da non far conto di enumerarle. Forse il dizionario aiuta di più?
Libertà: La facoltà di pensare, di operare, di scegliere a proprio talento, in modo autonomo. (Treccani)
Definizione abbastanza astratta, ma che ben si sposa con quello che pensiamo essere la mancanza di libertà: ci immaginiamo posti in cui a criticare il governo si finisce vittime della censura, non si può uscire dal Paese e si è costretti a vedere le decisioni principali della propria vita, dagli studi al lavoro, prese da altri, magari dei perfetti estranei. Il che, però, fa comprendere come il concetto di libertà sia legato più ad immagini negative, evocanti la sua privazione, che a qualche contenuto specifico.
Eppure, essendo stata la principale parola d'ordine delle rivoluzioni moderne, quella inglese, quella americana e quella francese, da cui vien fatto comunemente nascere l'assetto attuale di quello che si (auto)definisce il “Mondo Libero”, un qualche contenuto dovrà pure averlo.
Se guardiamo al passato, al momento in cui l'Antico Regime veniva rovesciato, la libertà era abbastanza concretamente identificata in cose come il suffragio universale, l'espressione del pensiero non soggetto a censure o repressione, la fede religiosa, il movimento interno sul territorio nazionale e al di fuori dello stesso per motivi di studio, lavoro o commercio. Per non farla troppo lunga non toccherò se non di sfuggita il fatto che, dopo tanta enfasi sulla libertà personale, i regimi politici usciti da quelle rivoluzioni non si affrettarono ad abolire la schiavitù e la tollerarono anzi per parecchio tempo ancora, senza vederci un che di contraddittorio o scandaloso, né si scomposero nell'adottare anche politiche economiche protezioniste. Col tempo il concetto di libertà si amplia, comprendendo i diritti dei lavoratori e quelli delle donne, quelli dell'istruzione e dei bambini, sino ad arrivare, col Novecento, alle minoranze etnico-linguistiche, l'omosessualità, il divorzio, l'aborto... pare che non ci siano limiti a quello che si possa rivendicare dietro ad un anelito di libertà. Ed effettivamente, la parola ha con sé un'aura di sacralità, di bontà tale che, in nome della libertà è stato visto come giustificabile un buon numero di crimini, mentre nessuno vorrebbe vedersi definito come “nemico della libertà”, e “illiberale” è divenuto un inaccettabile insulto. Eppure, pare essere un concetto poco afferrabile. Strano, no? Proviamo a vedere cosa ne pensavano in antichità.
Secondo Platone, nell'VIII libro della Repubblica, “Quando un popolo, divorato dalla sete di libertà, si trova ad avere a capo dei coppieri che gliene versano a sazietà, fino ad ubriacarlo, accade allora che, se i governanti resistono alle richieste dei sempre più esigenti sudditi, sono dichiarati despoti. E avviene pure che chi si dimostra disciplinato nei confronti dei superiori è definito un uomo senza carattere, servo; che il padre impaurito finisce per trattare il figlio come suo pari, e non è più rispettato, che il maestro non osa rimproverare gli scolari e costoro si fanno beffe di lui, che i giovani pretendano gli stessi diritti, le stesse considerazioni dei vecchi, e questi, per non parer troppo severi, danno ragione ai giovani. In questo clima di libertà, nel nome della libertà, non vi è più riguardo per nessuno. In mezzo a tale licenza nasce e si sviluppa una mala pianta: la tirannia.” Libertà come arbitrio e genesi della tirannia, dunque. Ma anche, altrove, come spontaneità degli atti umani da giudicare bene o male a seconda della loro ragione. Aristotele, a sua volta, credeva nella volontarietà delle azioni umane, e quindi nella loro libertà, che le portava a poter essere valutate come biasimevoli o meritevoli, quando spontanee. In tutti i casi, comunque, è evidente che la libertà non è un bene in sé, ma solo un presupposto per raggiungere il Bene o la virtù. Col Cristianesimo questo quadro si approfondisce includendo il concetto di peccato originale. La libertà, nel pensiero cristiano, era quella di scegliere fra il Bene e il Male: lo stesso peccato originale, dunque, ne è l'origine. Essa è buona se diretta al bene, cattiva se diretta al male. Ma in sé non ha contenuto. E anche durante il Rinascimento le cose non cambiano: si discuteva se l'azione umana fosse libera o necessitata da fattori esterni, ad esempio Dio (famosa la polemica fra Erasmo da Rotterdam e Martin Lutero, l'uno sostenente il libero arbitrio, l'altro la predestinazione alla dannazione o alla salvezza), ma i termini rimasero gli stessi: ammesso e non concesso che la libertà fosse qualcosa di concreto, essa serviva solo come condizione per giudicare della responsabilità delle azioni umane.
Insomma, a nessuno passava per la testa di considerare la libertà un bene in sé, ma solo un qualcosa di funzionale al Bene.
Tutto cambiò quando, fra gli “immortali principi” dell'89, i rivoluzionari francesi misero proprio la libertà. E un profluvio di discorsi mise tanta di quell'enfasi e di aspettative su questa parola, da farne un valore assoluto, in difesa del quale si potevano giustificare repressione, omicidi e stragi.
È da allora che la libertà è servita da bandiera per ogni sorta di rivendicazioni, dalle più sacrosante alle più ridicole, e alcune (lasciatemelo dire) al limite del criminale. Libertà è l'elettorato concesso alle donne, ma anche l'aborto. È libertà quella di poter viaggiare sia dentro che fuori dal territorio nazionale, ma anche le sfilate di maschi vestiti da battone sadomaso nei grotteschi “pride”. Libertà è il poter accedere agli studi anche se privi di mezzi, ma anche costringere chi ci sta attorno a chiamarci “signorina” pure se si ha la barba e la voce da baritono. E questo perché, la libertà, presa da sola, non ha alcun contenuto, e quindi, esasperata e spinta in tutte le direzioni, diviene capace di coprire e fagocitare qualsiasi cosa, perché essendo un concetto vuoto non è mai possibile esaurirlo e vedere la fine. E quindi arriva, anche logicamente, a generare quegli assurdi in cui nega sé stessa. Come per il parlamentare zittito e silenziato in nome della libertà di espressione. O come nella maternità surrogata. In cui, per garantire a due ricchi omosessuali la “libertà” di generare un bambino, facoltà che la Natura, da vera matrigna, ha inspiegabilmente negato loro, si sfrutta il bisogno di una donna usandola come un contenitore per crescersi dentro una vita che lei non vedrà neppure, ridotta a mezzo per soddisfare le voglie immonde di due depravati che le tappano la bocca pagandone l'uso del suo corpo con regolare contratto. E al prezzo di mercato. Col risultato che la donna, per la cui dignità e libertà ci si era spesi da due secoli, si ritrova ridotta a merce deperibile, schiava retribuita affinché perda ogni diritto (cominciando da quello più naturale di tutti, il diritto di esser chiamata madre del figlio che ha portato in grembo). Non stupisce che chi ci guarda dall'esterno, e vive in società ancora dotate di legami con il proprio passato e la propria identità, ci veda come dei malati di mente o dei depravati, e si organizzi, dalla Russia all'Iran, dalla Cina al Sudamerica, per sottrarsi all'influenza della nostra propaganda.
La libertà così com'è divenuta, nella nostra iperliberale società, assomiglia sempre meno a qualcosa di “liberatorio”, e sempre più ad un mostro sfuggito al controllo del proprio scienziato pazzo, una sorta di Frankenstein che nelle intenzioni doveva consegnarci un radioso futuro e nei fatti non fa che sfornare un'oscenità dietro l'altra, in tutti i campi: legale, etico, e persino logico-razionale. Un Moloch dallo stomaco senza fondo mai sazio a cui stiamo sacrificando persino l'umanità, al cui servizio avrebbe dovuto essere. Questo perché è uno dei frutti avvelenati di quella stagione in cui il razionalismo aveva preteso di fare a meno di qualsiasi freno alle proprie speculazioni, emancipandosi prima dalla religione, poi dalla tradizione, e in seguito persino dalla biologia e dalla stessa natura umana. Risultando, senza quei saggi contrappesi, qualcosa di auto-contraddittorio. E di opposto a ciò che avrebbe voluto essere.
Purtroppo non ci sono ricette valide per ritrovare quei freni. Anche perché si trattava di freni che, per loro natura, una volta rotti non possono venire ripristinati. Se la trascendenza è stata svalutata a bigotteria, se la tradizione viene associata alla rozzezza, nell'animo disumanizzato della nostra società non vi sarà più posto per esse. E la macchina, senza freni, si fermerà solo quando troverà un ostacolo abbastanza solido contro cui andare a sbattere.
Cos'è la libertà? A colpo d'occhio sembra facile sapere cosa sia, ma andando più a fondo si sospetta che non sia così. Io sono libero di andare dove mi pare, dire quel che voglio, decidere cosa fare della mia vita. Ma in realtà posso andare da qualche parte solo se ho i mezzi per farlo, parlare liberamente sino ad un certo punto (altrimenti rischio di ritrovarmi il naso rotto, una querela per diffamazione o anche peggio), e quanto a fare ciò che voglio nella (e della) mia vita, le limitazioni materiali sono, per tutti noi, tante da non far conto di enumerarle. Forse il dizionario aiuta di più?
Libertà: La facoltà di pensare, di operare, di scegliere a proprio talento, in modo autonomo. (Treccani)
Definizione abbastanza astratta, ma che ben si sposa con quello che pensiamo essere la mancanza di libertà: ci immaginiamo posti in cui a criticare il governo si finisce vittime della censura, non si può uscire dal Paese e si è costretti a vedere le decisioni principali della propria vita, dagli studi al lavoro, prese da altri, magari dei perfetti estranei. Il che, però, fa comprendere come il concetto di libertà sia legato più ad immagini negative, evocanti la sua privazione, che a qualche contenuto specifico.
Eppure, essendo stata la principale parola d'ordine delle rivoluzioni moderne, quella inglese, quella americana e quella francese, da cui vien fatto comunemente nascere l'assetto attuale di quello che si (auto)definisce il “Mondo Libero”, un qualche contenuto dovrà pure averlo.
Se guardiamo al passato, al momento in cui l'Antico Regime veniva rovesciato, la libertà era abbastanza concretamente identificata in cose come il suffragio universale, l'espressione del pensiero non soggetto a censure o repressione, la fede religiosa, il movimento interno sul territorio nazionale e al di fuori dello stesso per motivi di studio, lavoro o commercio. Per non farla troppo lunga non toccherò se non di sfuggita il fatto che, dopo tanta enfasi sulla libertà personale, i regimi politici usciti da quelle rivoluzioni non si affrettarono ad abolire la schiavitù e la tollerarono anzi per parecchio tempo ancora, senza vederci un che di contraddittorio o scandaloso, né si scomposero nell'adottare anche politiche economiche protezioniste. Col tempo il concetto di libertà si amplia, comprendendo i diritti dei lavoratori e quelli delle donne, quelli dell'istruzione e dei bambini, sino ad arrivare, col Novecento, alle minoranze etnico-linguistiche, l'omosessualità, il divorzio, l'aborto... pare che non ci siano limiti a quello che si possa rivendicare dietro ad un anelito di libertà. Ed effettivamente, la parola ha con sé un'aura di sacralità, di bontà tale che, in nome della libertà è stato visto come giustificabile un buon numero di crimini, mentre nessuno vorrebbe vedersi definito come “nemico della libertà”, e “illiberale” è divenuto un inaccettabile insulto. Eppure, pare essere un concetto poco afferrabile. Strano, no? Proviamo a vedere cosa ne pensavano in antichità.
Secondo Platone, nell'VIII libro della Repubblica, “Quando un popolo, divorato dalla sete di libertà, si trova ad avere a capo dei coppieri che gliene versano a sazietà, fino ad ubriacarlo, accade allora che, se i governanti resistono alle richieste dei sempre più esigenti sudditi, sono dichiarati despoti. E avviene pure che chi si dimostra disciplinato nei confronti dei superiori è definito un uomo senza carattere, servo; che il padre impaurito finisce per trattare il figlio come suo pari, e non è più rispettato, che il maestro non osa rimproverare gli scolari e costoro si fanno beffe di lui, che i giovani pretendano gli stessi diritti, le stesse considerazioni dei vecchi, e questi, per non parer troppo severi, danno ragione ai giovani. In questo clima di libertà, nel nome della libertà, non vi è più riguardo per nessuno. In mezzo a tale licenza nasce e si sviluppa una mala pianta: la tirannia.” Libertà come arbitrio e genesi della tirannia, dunque. Ma anche, altrove, come spontaneità degli atti umani da giudicare bene o male a seconda della loro ragione. Aristotele, a sua volta, credeva nella volontarietà delle azioni umane, e quindi nella loro libertà, che le portava a poter essere valutate come biasimevoli o meritevoli, quando spontanee. In tutti i casi, comunque, è evidente che la libertà non è un bene in sé, ma solo un presupposto per raggiungere il Bene o la virtù. Col Cristianesimo questo quadro si approfondisce includendo il concetto di peccato originale. La libertà, nel pensiero cristiano, era quella di scegliere fra il Bene e il Male: lo stesso peccato originale, dunque, ne è l'origine. Essa è buona se diretta al bene, cattiva se diretta al male. Ma in sé non ha contenuto. E anche durante il Rinascimento le cose non cambiano: si discuteva se l'azione umana fosse libera o necessitata da fattori esterni, ad esempio Dio (famosa la polemica fra Erasmo da Rotterdam e Martin Lutero, l'uno sostenente il libero arbitrio, l'altro la predestinazione alla dannazione o alla salvezza), ma i termini rimasero gli stessi: ammesso e non concesso che la libertà fosse qualcosa di concreto, essa serviva solo come condizione per giudicare della responsabilità delle azioni umane.
Insomma, a nessuno passava per la testa di considerare la libertà un bene in sé, ma solo un qualcosa di funzionale al Bene.
Tutto cambiò quando, fra gli “immortali principi” dell'89, i rivoluzionari francesi misero proprio la libertà. E un profluvio di discorsi mise tanta di quell'enfasi e di aspettative su questa parola, da farne un valore assoluto, in difesa del quale si potevano giustificare repressione, omicidi e stragi.
È da allora che la libertà è servita da bandiera per ogni sorta di rivendicazioni, dalle più sacrosante alle più ridicole, e alcune (lasciatemelo dire) al limite del criminale. Libertà è l'elettorato concesso alle donne, ma anche l'aborto. È libertà quella di poter viaggiare sia dentro che fuori dal territorio nazionale, ma anche le sfilate di maschi vestiti da battone sadomaso nei grotteschi “pride”. Libertà è il poter accedere agli studi anche se privi di mezzi, ma anche costringere chi ci sta attorno a chiamarci “signorina” pure se si ha la barba e la voce da baritono. E questo perché, la libertà, presa da sola, non ha alcun contenuto, e quindi, esasperata e spinta in tutte le direzioni, diviene capace di coprire e fagocitare qualsiasi cosa, perché essendo un concetto vuoto non è mai possibile esaurirlo e vedere la fine. E quindi arriva, anche logicamente, a generare quegli assurdi in cui nega sé stessa. Come per il parlamentare zittito e silenziato in nome della libertà di espressione. O come nella maternità surrogata. In cui, per garantire a due ricchi omosessuali la “libertà” di generare un bambino, facoltà che la Natura, da vera matrigna, ha inspiegabilmente negato loro, si sfrutta il bisogno di una donna usandola come un contenitore per crescersi dentro una vita che lei non vedrà neppure, ridotta a mezzo per soddisfare le voglie immonde di due depravati che le tappano la bocca pagandone l'uso del suo corpo con regolare contratto. E al prezzo di mercato. Col risultato che la donna, per la cui dignità e libertà ci si era spesi da due secoli, si ritrova ridotta a merce deperibile, schiava retribuita affinché perda ogni diritto (cominciando da quello più naturale di tutti, il diritto di esser chiamata madre del figlio che ha portato in grembo). Non stupisce che chi ci guarda dall'esterno, e vive in società ancora dotate di legami con il proprio passato e la propria identità, ci veda come dei malati di mente o dei depravati, e si organizzi, dalla Russia all'Iran, dalla Cina al Sudamerica, per sottrarsi all'influenza della nostra propaganda.
La libertà così com'è divenuta, nella nostra iperliberale società, assomiglia sempre meno a qualcosa di “liberatorio”, e sempre più ad un mostro sfuggito al controllo del proprio scienziato pazzo, una sorta di Frankenstein che nelle intenzioni doveva consegnarci un radioso futuro e nei fatti non fa che sfornare un'oscenità dietro l'altra, in tutti i campi: legale, etico, e persino logico-razionale. Un Moloch dallo stomaco senza fondo mai sazio a cui stiamo sacrificando persino l'umanità, al cui servizio avrebbe dovuto essere. Questo perché è uno dei frutti avvelenati di quella stagione in cui il razionalismo aveva preteso di fare a meno di qualsiasi freno alle proprie speculazioni, emancipandosi prima dalla religione, poi dalla tradizione, e in seguito persino dalla biologia e dalla stessa natura umana. Risultando, senza quei saggi contrappesi, qualcosa di auto-contraddittorio. E di opposto a ciò che avrebbe voluto essere.
Purtroppo non ci sono ricette valide per ritrovare quei freni. Anche perché si trattava di freni che, per loro natura, una volta rotti non possono venire ripristinati. Se la trascendenza è stata svalutata a bigotteria, se la tradizione viene associata alla rozzezza, nell'animo disumanizzato della nostra società non vi sarà più posto per esse. E la macchina, senza freni, si fermerà solo quando troverà un ostacolo abbastanza solido contro cui andare a sbattere.
Allacciate le cinture.