Nutro da tempo la convinzione che la classe giornalistica, non solo italiana, sia composta in gran parte da personaggi ignobili, veri e propri prostituti pronti a pubblicare menzogne e ad occultare persino ciò che hanno visto coi propri occhi, a favore di ricostruzioni falsificate condite di abbondante propaganda gradita a chiunque li paghi una congrua somma. Di conseguenza, catalogo tutto ciò che leggo e sento sulla stampa mainstream automaticamente come falso, dopodiché passo a verificare. D'altronde, se non la pensassi così non scriverei su questo spazio, né voi mi leggereste, ma basta per farmi passare per “complottista al soldo del Cremlino”, cosa che qualcuno, apparentemente sano di mente, dice credendoci pure.
Quando ad esempio Vladimir Putin e altre figure istituzionali russe accusarono l'Occidente d'aver organizzato l'incursione nell'oblast' di Kursk arrivando a fornire mercenari e personale straniero sotto bandiera ucraina, la carta igienica di regime, italiana e non solo, trattò la cosa come una sparata propagandistica russa, indegna di fede e, al massimo, da riferire come virgolettato. Giorni fa, ho raccolto la testimonianza di una donna russa che abitava uno dei villaggi sul confine, fra i primi a venir investito dall'avanzata ucraina, e la signora, rimasta in zona sino all'evacuazione, affermava di aver visto da vicino le truppe ostili e di non aver sentito “una sola parola in una lingua comprensibile”. Tradotto: né russi né ucraini, ma stranieri. Fra chi si è bevuto la versione propalata dai tiggì di regime nostrani e chi, invece, l'ha scartata in attesa di fonti più attendibili, chi era l'idiota?
Ovviamente non è possibile sempre rifarsi a fonti di prima mano, altrimenti non ci sarebbe lecito nemmeno negare che la luna non sia fatta di formaggio, in assenza di esperienza diretta. In quei casi cerco di ragionare per fatti concludenti, tramite logica e buon senso.
C'è però il rischio che, esagerando la tendenza a non volersi bere tutto, si vada a cadere esattamente là dove ci volevano i produttori seriali di menzogne. Ora, non parlo certo dei neo-complottisti di rito dem, quelli che ignoravano ostentatamente ogni fatto osceno sulla gestione della pandemenza e storcevano la bocca anche di fronte alle parole di premi nobel non ortodossi, e che adesso, di fronte alle pallottole che sibilano attorno a Trump, hanno già scoperto che si tratta di auto-attentati (esattamente come il celebre auto-attentato al Nord Stream): quelli sono dei poveri idioti e nessuno può farci niente, anche il Padreterno ci ha rinunciato. Ma parlo di molti, nell'area che frequento, i quali da tempo si mostrano scettici, quando non apertamente offesi, verso figure come Trump e Putin, e si scervellano per dimostrare come costoro altro non siano che marionette del NWO e “gatekeeper”. Il “gatekeeper”, per chi non lo sapesse, è una figura tipica del discorso di chi vuole smontare la propaganda ufficiale, e consiste in chi, apparentemente in prima fila all'opposizione dei principali temi cari all'agenda globalista, fa solo da catalizzatore del dissenso per poi, al momento opportuno, lasciare tanto dissenso in mezzo al guado e dileguarsi con vergogna, coprendo di discredito e riempiendo di disorientamento quella parte di pubblico che si era fidata. Non che i gatekeeper non esistano: proprio in Italia abbiamo avuto un esempio monstre di come il fenomeno funzioni. Il M5S, partito creato da un personaggio lontano da apparentamenti coi partiti tradizionali, violentemente anti-sistema, che come programma aveva lo scardinamento di praticamente tutto, una volta arrivato in Parlamento, che promettevano di aprire come una scatoletta di tonno, ha rivelato di essere lui, il tonno. Si è apparentato con la peggior feccia politica italiana, il piddì, ha appoggiato ogni porcheria di regime, votato per il lockdown, per il green-pass, per la von der Leyen, mandato la polizia a manganellare chi non voleva farsi iniettare un siero di cui ancora ignoriamo la composizione, riempito di soldi nostri la Pfizer, sino allo stato di guerra con la Russia, nostro fornitore naturale di energia, e a far da stampella a Mario Quisling, vero sicario della mafia finanziaria internazionale. Quindi, diffidare è lecito.
Meno lecito è trasformare in analisi una reazione di pancia. Molti commentatori, ho appurato, si risentono, ad esempio, ogniqualvolta Trump non dichiara che uscirà dalla NATO o che abbatterà il complotto giudaico-massonico mondiale. E, da questo, liquidano come auto-attentati quelli in cui ha rischiato grosso in appena due mesi. Dimostrando di 1) non avere alcun concetto di ciò che è lecito e razionale fare nell'alta politica, e 2) di non avere neppure i rudimenti della balistica. Per restare al secondo punto, il più semplice, basti dire, per ridicolizzare l'idea che Trump abbia pagato l'autore della prima sparatoria, quello che lo colpì di striscio all'orecchio, che con quell'arma e da quella distanza sarebbe bastata una folata d'aria appena più forte perché il proiettile deviasse di qualche millimetro e colpisse in pieno il cranio di Donald. Non è credibile, se non per chi conosca le armi solo tramite la Playstation, che quel tiro fosse “una finta”. Il secondo attentatore, poi, è un personaggio così noto per l'attività guerrafondaia, paranoide ossessionato dall'Ucraina per la quale aveva persino tentato di arruolare mercenari, che risulta difficile credere volesse arrivare armato vicino al candidato repubblicano per fargli un favore. Quanto al primo punto, non bisogna per forza aver letto Machiavelli per rendersi conto che uno che si propone alla guida degli Stati Uniti, paese intriso dei deliri che per decenni stampa, tv e cinema hanno ammannito sul “destino manifesto” e la lotta ai cattivi “Stati-canaglia” in giro per il mondo, e volesse prendere di petto tutte le favole con cui il pubblico è stato ammorbato e diretto sino a renderle la cultura popolare, verrebbe preso per pazzo e non avrebbe nessuna possibilità di spuntarla neppure contro una scema raccomandata come la Harris. Si obbietta persino che, essendo parte di uno dei due partiti ufficiali dell'establishment, si dimostri lui stesso parte dell'establishment. Sillogismo assai claudicante, se si pensa a come persino il suo primo vicepresidente, Pence, lo abbia tradito scaricandolo già durante la prima campagna elettorale. E il fatto che se lo sia tenuto, dimostra solo come a certi livelli bisogni sottostare comunque alle logiche del potere più perverso del mondo, quello della sedicente democrazia statunitense. Un paese in cui la corruzione politica è legale, e le multinazionali pagano le campagne elettorali ad entrambi i candidati, passando poi all'incasso durante la presidenza. Se si fosse presentato come indipendente, avrebbe fatto il bis di Ross Perot. La maggior affidabilità di Trump, e la sua minor nocività ai nostri interessi non tanto di italiani ed europei, ma anche solo di esseri umani, è data da quanto ha dimostrato di voler fare quando sedeva alla Casa Bianca: ha scaricato la NATO (vi ricordate il celebre “ve la dovete pagare voi” ad un inebetito Ugo Fantozzi-Gentiloni?), congelato la polveriera ucraina per quattro anni (la quale è scoppiata infatti immediatamente dopo la sua dipartita), dato il via al ritiro dall'Afghanistan e cercato di invertire il processo di de-industrializzazione che sta drenando le stesse basi del potenziale economico e materiale statunitense. Ci sarebbe altro, ma basta e avanza per capire che la sua politica era quella di gestione di un ridimensionamento globale degli USA di cui avremmo tutti bisogno come aria per respirare. E che, per gli effetti deleteri che ha di danneggiare gli interessi di quella cordata di multinazionali che controllano la politica statunitense, giustifica più di un tentativo di farlo fuori fisicamente (cosa che lo scrivente aveva pronosticato da un pezzo proprio su questo spazio). Il “caso Trump”, è, in grande, lo stesso problema che poneva Berlusconi alle gerarchie euro-atlantiche. Troppo ricco di suo per corromperlo, padrone di un impero troppo legato al territorio per essere interessato al fallimento del Paese in cui vive: e quindi naturalmente avversato da quelle mafie finanziarie internazionali che stanno completando la deindustrializzazione dei paesi occidentali. Non bastasse questo, ha dimostrato, durante i quattro anni della sua presidenza, di non essere interessato a promuovere conflitti ai quattro angoli del pianeta ritrovandosi così anche contro la lobby delle armi pesanti, che su quei conflitti si è ricoperta d'oro. Il fatto che questi potenti nemici siano riusciti a truffargli la vittoria truccando il voto delle presidenziali 2020, dopo che neppure le violenze terroristiche a sfondo razziale del movimento BLM erano riuscite ad intaccarne la base elettorale, dovrebbe bastare ad escludere una sua collusione con chi, pur di allontanarlo dalla Casa Bianca, è pronto anche ad ucciderlo.
Con Vladimir Putin la questione è ancora più plateale, ma occorrerebbe padroneggiare anche la complessa situazione storica, economica e geopolitica del suo Paese. La Russia, probabilmente la formazione statale più multietnica al mondo, con profonde radici nell'ortodossia ma importanti minoranze mussulmane e una plurisecolare presenza ebraica, spesso problematica (vedi quel che ne diceva Solženitsin), principale fornitore di idrocarburi all'Europa Occidentale anche dopo le sanzioni (solo che ora il petrolio ci arriva via India e altri), ma con legami sempre più forti con le nuove potenze economiche emergenti (e non per niente è fra i fondatori dei BRICS), con un passato egemonico ed un presente di ripresa politico-militare che ne fanno un avversario naturale per le potenze anglosassoni. È quasi comico che alcuni dei miei amici di area tradizionalista o reazionaria si siano offesi perché non ha dichiarato guerra ad Israele, e postino foto in cui visita rabbini e sinagoghe per dimostrarne la sudditanza al complotto giudaico-massonico globale. Vorrei far presente ai miei amici che governare un Paese come la Russia, in piena guerra guerreggiata nientemeno che con la NATO e sottoposta pertanto ad una sovversione interna eterodiretta, finanziata da fondi virtualmente inesauribili della banda Soros&C., non è semplice come giocare al Risiko, dove decidi di attaccare in Medio Oriente, lanci dadi e vedi subito se hai vinto. Chi si trova al Cremlino (e questo vale per chiunque) deve fare i conti con la complessità della situazione sia dentro che fuori, e spesso le decisioni che prende sono forzate da fattori materiali esterni. Anche io avrei preferito vedere la Wagner e i ceceni scorrazzare per Kharkov e Odessa sin dalla primavera del 2014, e forse, militarmente parlando, sarebbe stata una mossa vincente. Ma con tutta probabilità, politicamente parlando, ciò non era possibile. Dare inizio ad una guerra non è una decisione semplice, perché, come diceva Clausewitz, se non ricordo male, “un uomo può decidere quando dare inizio ad una guerra, ma non quando terminarla”, e innescare un meccanismo per il quale migliaia di vite dei tuoi stessi uomini verranno spente non è cosa che neppure uno statista freddo come Vladimir Vladimirovič avrà preso a cuor leggero. La Federazione Russa, per restare alla storia post-sovietica, ha partecipato attivamente a due soli conflitti nella sua storia: quello in Georgia, dopo aver subito un attacco da parte dei georgiani (cosa che hanno dovuto ammettere persino a Bruxelles, ed è tutto dire), e l'attuale operazione in Ucraina, e anche quest'ultima era stata giudicata inevitabile, viste le premesse, da una vecchia volpe come Kissinger. Per motivi di stabilità interna Putin mantiene buoni rapporti con le guide religiose di tutti i principali culti seguiti in Russia, e figuriamoci se può permettersi di non presenziare a qualche funzione in moschea o in sinagoga. Non risponderebbe a nessuna logica una dichiarazione di guerra ad Israele per un'area, Gaza, che non rientra in nessuno degli obbiettivi strategici vitali per la Russia. Ma l'abbiamo visto salvare in extremis la Siria dal cadere nelle mani dei tagliagole con targa USA dell'ISIS; ha fatto dell'Iran uno dei suoi partner strategici globali, e ha favorito la distensione fra lo stesso e l'avversario storico saudita. Ci vuole una bella dose di fantasia per immaginarselo come una pedina della politica israeliana... Così come non sta in piedi l'idea, anch'essa coi suoi fan, che sia in combutta con le cancellerie occidentali per... per cosa? Quali siano stati gli interessi occidentali in Russia lo abbiamo visto negli anni '90, quando a Mosca vi fu il governo più filo-occidentale di tutta la storia russa. Un Paese in disfacimento, governato da oligarchie mafiose ben disposte a svendere tutto il patrimonio nazionale ad acquirenti stranieri, militarmente azzerato e politicamente risibile. Poi arrivò Putin, e in ventiquattro anni la Russia recuperò coesione interna, forza militare e capacità di azione politica esterna. Sino a ritrovare la forza di opporsi ad ogni minaccia al proprio territorio, cosa che è accaduta due volte, come ricordato. Uno come Kissinger avrebbe dato per scontato che, pur di non ritrovarsi l'Ucraina nella NATO, e quindi i missili puntati su Mosca a cinque minuti dall'impatto dopo il lancio, i russi sarebbero andati in guerra. Ma i governi europei, trascinati dai deliri baltici e polacchi, pare abbiano puntato proprio su questo. Come risultato, il blocco dei BRICS si è compattato, segnando prospettive molto cupe per la vita economica futura di tutto il Vecchio Continente (e, toltagli l'Europa, gli USA, che hanno già perso Asia, Africa e persino Sudamerica, saranno in una posizione strategica globale molto difficile). Detto questo, se Putin è un agente al soldo della mafia finanziaria occidentale, i suoi capi non devono essere molto soddisfatti...
Quando ad esempio Vladimir Putin e altre figure istituzionali russe accusarono l'Occidente d'aver organizzato l'incursione nell'oblast' di Kursk arrivando a fornire mercenari e personale straniero sotto bandiera ucraina, la carta igienica di regime, italiana e non solo, trattò la cosa come una sparata propagandistica russa, indegna di fede e, al massimo, da riferire come virgolettato. Giorni fa, ho raccolto la testimonianza di una donna russa che abitava uno dei villaggi sul confine, fra i primi a venir investito dall'avanzata ucraina, e la signora, rimasta in zona sino all'evacuazione, affermava di aver visto da vicino le truppe ostili e di non aver sentito “una sola parola in una lingua comprensibile”. Tradotto: né russi né ucraini, ma stranieri. Fra chi si è bevuto la versione propalata dai tiggì di regime nostrani e chi, invece, l'ha scartata in attesa di fonti più attendibili, chi era l'idiota?
Ovviamente non è possibile sempre rifarsi a fonti di prima mano, altrimenti non ci sarebbe lecito nemmeno negare che la luna non sia fatta di formaggio, in assenza di esperienza diretta. In quei casi cerco di ragionare per fatti concludenti, tramite logica e buon senso.
C'è però il rischio che, esagerando la tendenza a non volersi bere tutto, si vada a cadere esattamente là dove ci volevano i produttori seriali di menzogne. Ora, non parlo certo dei neo-complottisti di rito dem, quelli che ignoravano ostentatamente ogni fatto osceno sulla gestione della pandemenza e storcevano la bocca anche di fronte alle parole di premi nobel non ortodossi, e che adesso, di fronte alle pallottole che sibilano attorno a Trump, hanno già scoperto che si tratta di auto-attentati (esattamente come il celebre auto-attentato al Nord Stream): quelli sono dei poveri idioti e nessuno può farci niente, anche il Padreterno ci ha rinunciato. Ma parlo di molti, nell'area che frequento, i quali da tempo si mostrano scettici, quando non apertamente offesi, verso figure come Trump e Putin, e si scervellano per dimostrare come costoro altro non siano che marionette del NWO e “gatekeeper”. Il “gatekeeper”, per chi non lo sapesse, è una figura tipica del discorso di chi vuole smontare la propaganda ufficiale, e consiste in chi, apparentemente in prima fila all'opposizione dei principali temi cari all'agenda globalista, fa solo da catalizzatore del dissenso per poi, al momento opportuno, lasciare tanto dissenso in mezzo al guado e dileguarsi con vergogna, coprendo di discredito e riempiendo di disorientamento quella parte di pubblico che si era fidata. Non che i gatekeeper non esistano: proprio in Italia abbiamo avuto un esempio monstre di come il fenomeno funzioni. Il M5S, partito creato da un personaggio lontano da apparentamenti coi partiti tradizionali, violentemente anti-sistema, che come programma aveva lo scardinamento di praticamente tutto, una volta arrivato in Parlamento, che promettevano di aprire come una scatoletta di tonno, ha rivelato di essere lui, il tonno. Si è apparentato con la peggior feccia politica italiana, il piddì, ha appoggiato ogni porcheria di regime, votato per il lockdown, per il green-pass, per la von der Leyen, mandato la polizia a manganellare chi non voleva farsi iniettare un siero di cui ancora ignoriamo la composizione, riempito di soldi nostri la Pfizer, sino allo stato di guerra con la Russia, nostro fornitore naturale di energia, e a far da stampella a Mario Quisling, vero sicario della mafia finanziaria internazionale. Quindi, diffidare è lecito.
Meno lecito è trasformare in analisi una reazione di pancia. Molti commentatori, ho appurato, si risentono, ad esempio, ogniqualvolta Trump non dichiara che uscirà dalla NATO o che abbatterà il complotto giudaico-massonico mondiale. E, da questo, liquidano come auto-attentati quelli in cui ha rischiato grosso in appena due mesi. Dimostrando di 1) non avere alcun concetto di ciò che è lecito e razionale fare nell'alta politica, e 2) di non avere neppure i rudimenti della balistica. Per restare al secondo punto, il più semplice, basti dire, per ridicolizzare l'idea che Trump abbia pagato l'autore della prima sparatoria, quello che lo colpì di striscio all'orecchio, che con quell'arma e da quella distanza sarebbe bastata una folata d'aria appena più forte perché il proiettile deviasse di qualche millimetro e colpisse in pieno il cranio di Donald. Non è credibile, se non per chi conosca le armi solo tramite la Playstation, che quel tiro fosse “una finta”. Il secondo attentatore, poi, è un personaggio così noto per l'attività guerrafondaia, paranoide ossessionato dall'Ucraina per la quale aveva persino tentato di arruolare mercenari, che risulta difficile credere volesse arrivare armato vicino al candidato repubblicano per fargli un favore. Quanto al primo punto, non bisogna per forza aver letto Machiavelli per rendersi conto che uno che si propone alla guida degli Stati Uniti, paese intriso dei deliri che per decenni stampa, tv e cinema hanno ammannito sul “destino manifesto” e la lotta ai cattivi “Stati-canaglia” in giro per il mondo, e volesse prendere di petto tutte le favole con cui il pubblico è stato ammorbato e diretto sino a renderle la cultura popolare, verrebbe preso per pazzo e non avrebbe nessuna possibilità di spuntarla neppure contro una scema raccomandata come la Harris. Si obbietta persino che, essendo parte di uno dei due partiti ufficiali dell'establishment, si dimostri lui stesso parte dell'establishment. Sillogismo assai claudicante, se si pensa a come persino il suo primo vicepresidente, Pence, lo abbia tradito scaricandolo già durante la prima campagna elettorale. E il fatto che se lo sia tenuto, dimostra solo come a certi livelli bisogni sottostare comunque alle logiche del potere più perverso del mondo, quello della sedicente democrazia statunitense. Un paese in cui la corruzione politica è legale, e le multinazionali pagano le campagne elettorali ad entrambi i candidati, passando poi all'incasso durante la presidenza. Se si fosse presentato come indipendente, avrebbe fatto il bis di Ross Perot. La maggior affidabilità di Trump, e la sua minor nocività ai nostri interessi non tanto di italiani ed europei, ma anche solo di esseri umani, è data da quanto ha dimostrato di voler fare quando sedeva alla Casa Bianca: ha scaricato la NATO (vi ricordate il celebre “ve la dovete pagare voi” ad un inebetito Ugo Fantozzi-Gentiloni?), congelato la polveriera ucraina per quattro anni (la quale è scoppiata infatti immediatamente dopo la sua dipartita), dato il via al ritiro dall'Afghanistan e cercato di invertire il processo di de-industrializzazione che sta drenando le stesse basi del potenziale economico e materiale statunitense. Ci sarebbe altro, ma basta e avanza per capire che la sua politica era quella di gestione di un ridimensionamento globale degli USA di cui avremmo tutti bisogno come aria per respirare. E che, per gli effetti deleteri che ha di danneggiare gli interessi di quella cordata di multinazionali che controllano la politica statunitense, giustifica più di un tentativo di farlo fuori fisicamente (cosa che lo scrivente aveva pronosticato da un pezzo proprio su questo spazio). Il “caso Trump”, è, in grande, lo stesso problema che poneva Berlusconi alle gerarchie euro-atlantiche. Troppo ricco di suo per corromperlo, padrone di un impero troppo legato al territorio per essere interessato al fallimento del Paese in cui vive: e quindi naturalmente avversato da quelle mafie finanziarie internazionali che stanno completando la deindustrializzazione dei paesi occidentali. Non bastasse questo, ha dimostrato, durante i quattro anni della sua presidenza, di non essere interessato a promuovere conflitti ai quattro angoli del pianeta ritrovandosi così anche contro la lobby delle armi pesanti, che su quei conflitti si è ricoperta d'oro. Il fatto che questi potenti nemici siano riusciti a truffargli la vittoria truccando il voto delle presidenziali 2020, dopo che neppure le violenze terroristiche a sfondo razziale del movimento BLM erano riuscite ad intaccarne la base elettorale, dovrebbe bastare ad escludere una sua collusione con chi, pur di allontanarlo dalla Casa Bianca, è pronto anche ad ucciderlo.
Con Vladimir Putin la questione è ancora più plateale, ma occorrerebbe padroneggiare anche la complessa situazione storica, economica e geopolitica del suo Paese. La Russia, probabilmente la formazione statale più multietnica al mondo, con profonde radici nell'ortodossia ma importanti minoranze mussulmane e una plurisecolare presenza ebraica, spesso problematica (vedi quel che ne diceva Solženitsin), principale fornitore di idrocarburi all'Europa Occidentale anche dopo le sanzioni (solo che ora il petrolio ci arriva via India e altri), ma con legami sempre più forti con le nuove potenze economiche emergenti (e non per niente è fra i fondatori dei BRICS), con un passato egemonico ed un presente di ripresa politico-militare che ne fanno un avversario naturale per le potenze anglosassoni. È quasi comico che alcuni dei miei amici di area tradizionalista o reazionaria si siano offesi perché non ha dichiarato guerra ad Israele, e postino foto in cui visita rabbini e sinagoghe per dimostrarne la sudditanza al complotto giudaico-massonico globale. Vorrei far presente ai miei amici che governare un Paese come la Russia, in piena guerra guerreggiata nientemeno che con la NATO e sottoposta pertanto ad una sovversione interna eterodiretta, finanziata da fondi virtualmente inesauribili della banda Soros&C., non è semplice come giocare al Risiko, dove decidi di attaccare in Medio Oriente, lanci dadi e vedi subito se hai vinto. Chi si trova al Cremlino (e questo vale per chiunque) deve fare i conti con la complessità della situazione sia dentro che fuori, e spesso le decisioni che prende sono forzate da fattori materiali esterni. Anche io avrei preferito vedere la Wagner e i ceceni scorrazzare per Kharkov e Odessa sin dalla primavera del 2014, e forse, militarmente parlando, sarebbe stata una mossa vincente. Ma con tutta probabilità, politicamente parlando, ciò non era possibile. Dare inizio ad una guerra non è una decisione semplice, perché, come diceva Clausewitz, se non ricordo male, “un uomo può decidere quando dare inizio ad una guerra, ma non quando terminarla”, e innescare un meccanismo per il quale migliaia di vite dei tuoi stessi uomini verranno spente non è cosa che neppure uno statista freddo come Vladimir Vladimirovič avrà preso a cuor leggero. La Federazione Russa, per restare alla storia post-sovietica, ha partecipato attivamente a due soli conflitti nella sua storia: quello in Georgia, dopo aver subito un attacco da parte dei georgiani (cosa che hanno dovuto ammettere persino a Bruxelles, ed è tutto dire), e l'attuale operazione in Ucraina, e anche quest'ultima era stata giudicata inevitabile, viste le premesse, da una vecchia volpe come Kissinger. Per motivi di stabilità interna Putin mantiene buoni rapporti con le guide religiose di tutti i principali culti seguiti in Russia, e figuriamoci se può permettersi di non presenziare a qualche funzione in moschea o in sinagoga. Non risponderebbe a nessuna logica una dichiarazione di guerra ad Israele per un'area, Gaza, che non rientra in nessuno degli obbiettivi strategici vitali per la Russia. Ma l'abbiamo visto salvare in extremis la Siria dal cadere nelle mani dei tagliagole con targa USA dell'ISIS; ha fatto dell'Iran uno dei suoi partner strategici globali, e ha favorito la distensione fra lo stesso e l'avversario storico saudita. Ci vuole una bella dose di fantasia per immaginarselo come una pedina della politica israeliana... Così come non sta in piedi l'idea, anch'essa coi suoi fan, che sia in combutta con le cancellerie occidentali per... per cosa? Quali siano stati gli interessi occidentali in Russia lo abbiamo visto negli anni '90, quando a Mosca vi fu il governo più filo-occidentale di tutta la storia russa. Un Paese in disfacimento, governato da oligarchie mafiose ben disposte a svendere tutto il patrimonio nazionale ad acquirenti stranieri, militarmente azzerato e politicamente risibile. Poi arrivò Putin, e in ventiquattro anni la Russia recuperò coesione interna, forza militare e capacità di azione politica esterna. Sino a ritrovare la forza di opporsi ad ogni minaccia al proprio territorio, cosa che è accaduta due volte, come ricordato. Uno come Kissinger avrebbe dato per scontato che, pur di non ritrovarsi l'Ucraina nella NATO, e quindi i missili puntati su Mosca a cinque minuti dall'impatto dopo il lancio, i russi sarebbero andati in guerra. Ma i governi europei, trascinati dai deliri baltici e polacchi, pare abbiano puntato proprio su questo. Come risultato, il blocco dei BRICS si è compattato, segnando prospettive molto cupe per la vita economica futura di tutto il Vecchio Continente (e, toltagli l'Europa, gli USA, che hanno già perso Asia, Africa e persino Sudamerica, saranno in una posizione strategica globale molto difficile). Detto questo, se Putin è un agente al soldo della mafia finanziaria occidentale, i suoi capi non devono essere molto soddisfatti...
In definitiva, prima di gridare al tradimento, sarebbe meglio lasciar perdere i titoli della carta igienica stampata e cercare di giudicare da una prospettiva di lungo termine e globale. Perché da questo punto di vista, se Trump la spunta e Putin tiene botta ancora per un po', vedremo dei rapporti di forza molto interessanti nei prossimi anni.