Non ho mai amato l'Islam, sia come religione che nella figura incarnata dai popoli ad esso convertiti. Sono uno di quelli che, leggendo di Storia, ha sempre tifato per i Crociati e considera la Gerusalemme che presero il 14 luglio 1099 come davvero “liberata”, liquidando come schifiltosi piagnoni quelli che lamentano il massacro degli occupanti mussulmani (come se a quel tempo non fosse la procedura usuale, anche a parti invertite). Non ho mai voluto visitare un paese mussulmano, né, quando pure avrebbe avuto un senso, ad esempio a Gerusalemme, entrare in una moschea. La mia avversione è aumentata dopo l'11 settembre 2001, periodo nel quale ho letto e apprezzato “La rabbia e l'orgoglio” di Oriana Fallaci, per dire. Questa è una premessa dovuta, visto quel che segue.
Ho sempre trovato allarmante la crescente presenza islamica su territorio europeo e italiano, e giudicato molto male le prospettive di convivenza pacifica fra noi e questi ospiti, che le politiche buoniste non solo delle sinistre, ma persino dei governi cosiddetti di destra (destre da operetta, vedi la Gran Bretagna, dove un indiano etnico ha guidato un governo tory) hanno incoraggiato a comportarsi da padroni. Mi ha sempre infastidito la loro insofferenza verso aspetti del costume, della vita di tutti i giorni e persino delle tradizioni di una terra che, avendoli accolti, avrebbe meritato maggior rispetto, a differenza di quanto avviene a chi si trasferisca in Pakistan o in Arabia Saudita. Eppure, nell'ultimo mese, alcuni eventi di cronaca mi hanno portato ad una comprensione differente della loro intolleranza. Fatti molto diversi fra loro, slegati e apparentemente di poco rilievo: la blasfema messinscena all'inaugurazione delle grottesche olimpiadi parigine, l'inclusione di transessuali nelle categorie sportive riservate alle donne, il “Calippo Tour” di tale Ambra Bianchini, per citarne tre dei più recenti.
L'Islam, fra le religioni più seguite nel mondo, è quella forse che manifesta un attaccamento maggiore alle tradizioni e ai dettami della fede. Ambiti entrambi pesantemente indeboliti, quando non sistematicamente demoliti, nelle società di modello occidentale, con sistema politico cosiddetto di democrazia liberale ed economia di mercato a trazione finanziaria. L'opposizione strutturata del cristianesimo, per parlare della religione a noi più vicina, è attualmente blanda, quando non inesistente, ed è accompagnata dallo svanire della sua influenza sulla vita dei singoli e in ogni ambito sociale, ed è già da tempo zero a livello politico. Non dico che sia necessariamente un qualcosa di positivo o negativo, ma è un fatto da tener presente. Ora, in società come quelle di quasi tutti i Paesi a maggioranza islamica, così come all'interno delle sempre più nutrite comunità islamiche delle nostre parti, gli attriti e le incompatibilità fra vita all'occidentale e vita tradizionale non possono che essere aspri e potenzialmente violenti. Quando vivevo a Parigi, mi capitò di leggere una serie di interviste fatte da una giornalista francese in posti in cui l'integralismo stava montando rapidamente, ossia Afghanistan, Pakistan e Iraq. L'accusa che gli abitanti di quei Paesi ci facevano era quella di diffondere pornografia e incoraggiare una vita sessuale dissoluta, oltre all'incerto (per loro) destino dei nati in quelle condizioni. Io lì per lì mi indignavo: nessuno li obbligava ad approvarci, ma nemmeno a pretendere che fossimo noi a vivere come loro. Il tempo ha dato ragione a loro. In due dei Paesi in questione, ad esempio, era in corso un'occupazione militare americana (senza dimenticare la presenza dei loro sciacalli in veste di truppe coloniali, fra cui anche l'Italia), su cui si reggeva l'esistenza di regimi-fantoccio non eletti né altrimenti scelti da nessuno che non fosse espressione di interessi stranieri. In quei Paesi leggi e merci e modi di vita erano giocoforza influenzati pesantemente da questa presenza militare straniera, e non si può biasimare un afghano delle campagne se poteva associare l'apertura delle università alle donne con i bombardamenti indiscriminati sulle zone rurali (cosa di cui nessuno ci ha mai fatto sapere niente) e la corruzione dilagante. Come se non bastasse, la diffusione in quegli anni di parabole satellitari ci faceva conoscere grazie al mix di oscenità, idiozia e menzogna spacciata per informazione che sono gli ingredienti principali di ogni pastone televisivo nel tanto celebrato Occidente.
Ora, pensiamoci bene: se ai nostri nonni, negli anni '50, fosse stata presentata, sugli schermi dei primi televisori, la società attuale, che reazione avrebbero avuto? Semplicemente di rigetto e disgusto. E non avrebbero certo atteso con ansia l'arrivo del tanto celebrato “futuro”. È la stessa cosa con le società islamiche, o a maggioranza islamica, con due differenze fondamentali: una, è che questo dubbio ben di Dio non è qualcosa di lontano nel tempo o nello spazio, ma letteralmente dietro l'angolo, nell'oggi. La seconda è che è invasivo, preme ovunque, dalle frontiere fisiche alla psiche dei singoli tramite gli schermi, e ha la tendenza ad imporsi con le buone o con le cattive per scalzare ogni altro modello di vita. Perché l'autocelebrantesi Modernità, dal sistema politico alle pratiche sessuali, non è qualcosa che chiede il permesso prima di infiltrarsi nelle culture nazionali per corroderle e deformarle a propria immagine e somiglianza, e se può farlo pacificamente, usa un mezzo infallibile per conquistare (stavo per scrivere: “corrompere”...) le masse: la moda. Non c'è idiozia o sconcezza che non venga adottata con entusiasmo su scala massiccia se si riesce a farla passare come l'ultima moda. Abbiamo visto file di imbecilli dormire sul marciapiede non perché rimasti senza casa, ma perché volevano garantirsi di essere i primi ad acquistare, a carissimo prezzo, un banale telefono che nei giorni successivi sarebbe stato disponibile comunque per tutti. E tutto perché quel telefono, con quel marchio, passava per essere alla moda. Un numero inverosimile di donne, in molti casi appena maggiorenni, si prostituiscono sulla famigerata piattaforma “Onlyfans” non in segreto, ma con nome e cognome, organizzando tournée sessuali a beneficio dei propri abbonati e finendo intervistate da quotidiani nazionali in cui dichiarano sfacciatamente di combattere i pregiudizi e di essere padrone della propria vita. L'avrebbero fatto se davvero, oggi, l'attività di prostituta fosse coperta di discredito e chi la esercita additata come una paria? E invece i mezzi di informazione esaltano i casi in cui la signorina arriva a guadagnare cifre mensili a quattro zeri senza mai adombrare il fatto che, per emanciparsi e farsi strada dignitosamente nella vita, ci sarebbero altre strade, tutte più faticose e che comportano doti personali e impegno ben al di là delle posizioni del Kamasutra. Il tutto ormai sdoganato come non solo accettabile, ma anche “moderno”, alla moda, appunto. E guai a dare della puttana (scusate il francesismo) ad una di queste povere orfane (perché una ragazzina che esercita una professione del genere è da considerare priva di genitori, anche se sono ancora vivi).
Aggiungiamoci la blasfemia, che viene rivolta da cosiddetti artisti e attori contro al cuore stesso della nostra storia e della nostra civiltà, quel Cristianesimo senza il quale neppure esisterebbe un concetto di Europa. Blasfemia che quasi mai sfiora l'Islam o altre religioni, ma che un mussulmano nota prima di chiunque altro e, potete starne certi, accoglie con una repulsione pari solo al disprezzo per le società che permettono uno scempio delle proprie stesse radici. Ora, per parlare di un caso concreto, pensate al fatto che un miliardo e più di mussulmani hanno assistito, esattamente come noi, a quell'abominevole farsa che è stata la versione olimpica dell'Ultima Cena in salsa francese. Aver fatto di una scena fondamentale del Nuovo Testamento e della vita del Cristo una collezione di fenomeni da baraccone, in cui all'aspetto di perversione sessuale era data volutamente enfasi, nonostante non fosse rivolta contro all'Islam (sospetto per pura vigliaccheria: dimenticare la visita fatta nel 2015 alla redazione di Charlie Hebdo risulta difficile) può aver mandato al fedele mussulmano dei messaggi molto chiari: che le nostre società sono marce sino al midollo, prive di ogni rispetto per sé stesse e ciò che dovrebbe essere più sacro, ossia proprio il Sacro; e che ormai da noi tutto è permesso, incapaci come siamo di difendere qualsiasi valore che non sia la distruzione di ogni valore tradizionale. E avrà notato, magari, che ad organizzare lo scempio era stato messo lì un tizio sia ebreo che omosessuale.
Certo, trovo grottesche quando non soltanto barbare le restrizioni poste alla vita sociale delle donne in alcuni luoghi, come l'Afghanistan, dove ormai non solo una donna non può più studiare all'università, ma nemmeno far sentire la propria voce in pubblico (ammesso e non concesso che ce la raccontino giusta), ma bisogna anche dire che si tratta di casi praticamente isolati, e che la gamma di tolleranza e di concessione di diritti è varia quanto lo stesso numero di società dei Paesi islamici. Ad esempio, si fa tanta cagnara sempre e solo per l'Iran, anche perché è lì che si fomentano rivolte “per i diritti delle donne”, e per decenni i cosiddetti “diritti” sono stati ben altrimenti violati in Arabia Saudita, che è stato un buon alleato degli USA e quindi poteva imporre il velo integrale e negare alle donne voto, lavoro e persino la patente senza guadagnarsi epiteti infami e le urla delle femministe come il vicino dall'altra parte del Golfo. Mentre in Iran l'obbligo è sempre stato solo di un fazzoletto che coprisse parte dei capelli (e che neppure tutte le donne, a seconda del luogo, osservano, basta fare attenzione ai servizi che i nostri stessi tiggì mandano da Tehran), la possibilità di lavorare c'è sempre stata, previo accordo del marito, e mai è stato messo in forse il diritto di elettorato attivo e passivo. O che dire della proibizione di alcolici? In Iran è assoluta, come in Arabia. In Iraq, sino a tutti gli anni '80, ossia prima che da noi si decidesse la distruzione di quel Paese, era possibile l'acquisto e il consumo, ma solo in privato. E in Turkmenistan, tutt'ora, non solo non c'è alcun divieto, ma producono pure un'ottima vodka in uno stabilimento locale. Però sempre lì è vietato il tabacco... Insomma, è un mondo vario, di cui sappiamo sempre poco e sempre male, e pur non provando alcun desiderio di andarci a vivere, ammetto che, confrontati con il nostro sfacelo, non abbiano tutti i torti nella reazione di rigetto. Perché se ci pensiamo bene la loro è una reazione di pura sopravvivenza. Tutte le società tradizionali, incluse quelle islamiche, sono state caratterizzate da una capacità di adattarsi all'ambiente e alle circostanze dandosi una struttura interna di durata potenzialmente lunghissima. Pensiamo all'India, in cui il sistema delle caste è sopravvissuto a qualsiasi cambio generale di dominio, conquiste, avvento di nuovi credi religiosi, per millenni. E tuttavia, a contatto con la tecnologia e la penetrazione economica e culturale occidentale, si sono tutte dissolte, una dopo l'altra, e le poche sopravvissute non godono di buona salute. Le società islamiche possono essere sopravvissute a tutto, alle Crociate, alla conquista mongola e a quella europea, e non avrebbero mai dato vita ad una rivoluzione scientifica o industriale, ma è palese che avrebbero potuto continuare a sussistere più o meno uguali per parecchi altri secoli e senza grossi scossoni. E tuttavia, se esposte alla liberalizzazione dei costumi sessuali, alla blasfemia legalizzata e all'egemonia dell'economico-finanziario su ogni altra istanza sociale, sarebbero destinate alla dissoluzione e alla servitù come già accaduto alle società tribali africane o agli amerindi. Questo lo percepiscono, anche se non lo comprendono concettualmente, anche gli abitanti più incolti delle città magrebine, delle oasi sahariane e delle montagne afgane. E la stretta su molte cose, dalle proibizioni alimentari alla diffusione di materiale audiovisivo, è semplicemente una reazione dettata dall'istinto di sopravvivenza. Le nostre società sono passate dal conservatorismo borghese provinciale e un po' bigotto all'esaltazione di Sodoma e Gomorra dei Pride, alla dissoluzione dei legami familiari e al pervertimento del ruolo della donna negandone la destinazione, metafisica prima ancora che biologica, del dare la vita, denigrando la figura della madre di molti figli e rendendo la gravidanza un ostacolo alla carriera e al “godersi la vita”, che si risolve, alla fine, nell'esaurirsi in qualche ufficio e darsi all'alcool e alle orge durante le poche ferie che il Sistema concede quale unica valvola di sfogo. Una società così potrà anche reggere esteriormente, ma non regge, al suo interno, nulla di umano. I veli, le frustate, la pena di morte per il reato di sodomia o di sesso prematrimoniale possono sembrare ridicoli, preistorici o abominevoli, ma mettiamoci in testa che quelle società, che fra l'altro gli stessi progressisti, quando vogliono calunniare il nostro passato medievale e cristiano, ci presentano come fonte di civiltà superiore alla nostra, quelle società, dico, hanno retto per millenni a molti scossoni pur portandosi dietro tutto quel bagaglio di restrizioni e di “violazioni dei diritti”. Non sopravviverebbero che breve tempo all'adozione della dissolutezza e dell'anarchia dei costumi che già ha trasformato le nostre società in una poltiglia di oscenità e di nevrosi, e che renderebbe anche le loro una copia di quello che vedono ogni giorno da noi. Se avessero visto un'alternativa, ossia un modo di vivere “all'occidentale” che non avesse minacciato natalità, famiglia, legami sociali, fede religiosa e rispetto per le proprie tradizioni, forse non si sarebbero attaccati con tanta foga (“intolleranza”, direbbe qualcuno) alle manifestazioni più violente e rigide della legge islamica. Ma quell'alternativa non gliel'abbiamo mai fatta vedere, proprio perché non esiste: il “modo di vivere all'occidentale” è esattamente la dissoluzione di quei legami sociali e di quelle tradizioni che per loro sono ancora tanto importanti e che noi abbiamo ormai perso per sempre. Anche le bombe e le aggressioni all'arma bianca sono un'espressione di quel rigetto. E, pur essendo personalmente a favore delle libertà garantite alle donne, compresa quella di avere una vita sessuale, da padre di una bambina di sette anni ma che cresce in fretta, fra una società che spinge la donna ad essere moglie e madre, ed una che la spinge a prostituirsi su Onlyfans, credo che gli islamici non abbiano tutti i torti a preferire la prima. Nella mia opinione, fra l'altro, gli eventuali abusi della prima sarebbero emendabili; quelli della seconda, no, perché la dissoluzione dei legami familiari, la banalizzazione del sesso e la trasformazione dei cittadini in amebe sradicate da tutto e tutti facilmente manipolabili è l'essenza stessa della fase di decomposizione della civiltà Occidentale che viviamo.
Che se poi qualcuno dovesse dire, come tanti commentatori, spesso in quota Lega, specie negli anni dopo l'11 settembre 2001, “se non gli piace come viviamo noi, che se ne restino (o tornino) a casa loro”, si potrebbe far notare che per il nostro sistema economico-finanziario non esiste alcuna “casa loro” da rispettare, ma ogni angolo del pianeta in cui vi siano risorse da sfruttare è passibile di invasione, infezione e altri metodi di persuasione, magari occulta, che “convincano” il buon selvaggio di turno che è bello e conveniente gettare alle ortiche sistemi di vita che duravano da millenni per abbracciare le nostre magnifiche sorti e progressive.
Ho sempre trovato allarmante la crescente presenza islamica su territorio europeo e italiano, e giudicato molto male le prospettive di convivenza pacifica fra noi e questi ospiti, che le politiche buoniste non solo delle sinistre, ma persino dei governi cosiddetti di destra (destre da operetta, vedi la Gran Bretagna, dove un indiano etnico ha guidato un governo tory) hanno incoraggiato a comportarsi da padroni. Mi ha sempre infastidito la loro insofferenza verso aspetti del costume, della vita di tutti i giorni e persino delle tradizioni di una terra che, avendoli accolti, avrebbe meritato maggior rispetto, a differenza di quanto avviene a chi si trasferisca in Pakistan o in Arabia Saudita. Eppure, nell'ultimo mese, alcuni eventi di cronaca mi hanno portato ad una comprensione differente della loro intolleranza. Fatti molto diversi fra loro, slegati e apparentemente di poco rilievo: la blasfema messinscena all'inaugurazione delle grottesche olimpiadi parigine, l'inclusione di transessuali nelle categorie sportive riservate alle donne, il “Calippo Tour” di tale Ambra Bianchini, per citarne tre dei più recenti.
L'Islam, fra le religioni più seguite nel mondo, è quella forse che manifesta un attaccamento maggiore alle tradizioni e ai dettami della fede. Ambiti entrambi pesantemente indeboliti, quando non sistematicamente demoliti, nelle società di modello occidentale, con sistema politico cosiddetto di democrazia liberale ed economia di mercato a trazione finanziaria. L'opposizione strutturata del cristianesimo, per parlare della religione a noi più vicina, è attualmente blanda, quando non inesistente, ed è accompagnata dallo svanire della sua influenza sulla vita dei singoli e in ogni ambito sociale, ed è già da tempo zero a livello politico. Non dico che sia necessariamente un qualcosa di positivo o negativo, ma è un fatto da tener presente. Ora, in società come quelle di quasi tutti i Paesi a maggioranza islamica, così come all'interno delle sempre più nutrite comunità islamiche delle nostre parti, gli attriti e le incompatibilità fra vita all'occidentale e vita tradizionale non possono che essere aspri e potenzialmente violenti. Quando vivevo a Parigi, mi capitò di leggere una serie di interviste fatte da una giornalista francese in posti in cui l'integralismo stava montando rapidamente, ossia Afghanistan, Pakistan e Iraq. L'accusa che gli abitanti di quei Paesi ci facevano era quella di diffondere pornografia e incoraggiare una vita sessuale dissoluta, oltre all'incerto (per loro) destino dei nati in quelle condizioni. Io lì per lì mi indignavo: nessuno li obbligava ad approvarci, ma nemmeno a pretendere che fossimo noi a vivere come loro. Il tempo ha dato ragione a loro. In due dei Paesi in questione, ad esempio, era in corso un'occupazione militare americana (senza dimenticare la presenza dei loro sciacalli in veste di truppe coloniali, fra cui anche l'Italia), su cui si reggeva l'esistenza di regimi-fantoccio non eletti né altrimenti scelti da nessuno che non fosse espressione di interessi stranieri. In quei Paesi leggi e merci e modi di vita erano giocoforza influenzati pesantemente da questa presenza militare straniera, e non si può biasimare un afghano delle campagne se poteva associare l'apertura delle università alle donne con i bombardamenti indiscriminati sulle zone rurali (cosa di cui nessuno ci ha mai fatto sapere niente) e la corruzione dilagante. Come se non bastasse, la diffusione in quegli anni di parabole satellitari ci faceva conoscere grazie al mix di oscenità, idiozia e menzogna spacciata per informazione che sono gli ingredienti principali di ogni pastone televisivo nel tanto celebrato Occidente.
Ora, pensiamoci bene: se ai nostri nonni, negli anni '50, fosse stata presentata, sugli schermi dei primi televisori, la società attuale, che reazione avrebbero avuto? Semplicemente di rigetto e disgusto. E non avrebbero certo atteso con ansia l'arrivo del tanto celebrato “futuro”. È la stessa cosa con le società islamiche, o a maggioranza islamica, con due differenze fondamentali: una, è che questo dubbio ben di Dio non è qualcosa di lontano nel tempo o nello spazio, ma letteralmente dietro l'angolo, nell'oggi. La seconda è che è invasivo, preme ovunque, dalle frontiere fisiche alla psiche dei singoli tramite gli schermi, e ha la tendenza ad imporsi con le buone o con le cattive per scalzare ogni altro modello di vita. Perché l'autocelebrantesi Modernità, dal sistema politico alle pratiche sessuali, non è qualcosa che chiede il permesso prima di infiltrarsi nelle culture nazionali per corroderle e deformarle a propria immagine e somiglianza, e se può farlo pacificamente, usa un mezzo infallibile per conquistare (stavo per scrivere: “corrompere”...) le masse: la moda. Non c'è idiozia o sconcezza che non venga adottata con entusiasmo su scala massiccia se si riesce a farla passare come l'ultima moda. Abbiamo visto file di imbecilli dormire sul marciapiede non perché rimasti senza casa, ma perché volevano garantirsi di essere i primi ad acquistare, a carissimo prezzo, un banale telefono che nei giorni successivi sarebbe stato disponibile comunque per tutti. E tutto perché quel telefono, con quel marchio, passava per essere alla moda. Un numero inverosimile di donne, in molti casi appena maggiorenni, si prostituiscono sulla famigerata piattaforma “Onlyfans” non in segreto, ma con nome e cognome, organizzando tournée sessuali a beneficio dei propri abbonati e finendo intervistate da quotidiani nazionali in cui dichiarano sfacciatamente di combattere i pregiudizi e di essere padrone della propria vita. L'avrebbero fatto se davvero, oggi, l'attività di prostituta fosse coperta di discredito e chi la esercita additata come una paria? E invece i mezzi di informazione esaltano i casi in cui la signorina arriva a guadagnare cifre mensili a quattro zeri senza mai adombrare il fatto che, per emanciparsi e farsi strada dignitosamente nella vita, ci sarebbero altre strade, tutte più faticose e che comportano doti personali e impegno ben al di là delle posizioni del Kamasutra. Il tutto ormai sdoganato come non solo accettabile, ma anche “moderno”, alla moda, appunto. E guai a dare della puttana (scusate il francesismo) ad una di queste povere orfane (perché una ragazzina che esercita una professione del genere è da considerare priva di genitori, anche se sono ancora vivi).
Aggiungiamoci la blasfemia, che viene rivolta da cosiddetti artisti e attori contro al cuore stesso della nostra storia e della nostra civiltà, quel Cristianesimo senza il quale neppure esisterebbe un concetto di Europa. Blasfemia che quasi mai sfiora l'Islam o altre religioni, ma che un mussulmano nota prima di chiunque altro e, potete starne certi, accoglie con una repulsione pari solo al disprezzo per le società che permettono uno scempio delle proprie stesse radici. Ora, per parlare di un caso concreto, pensate al fatto che un miliardo e più di mussulmani hanno assistito, esattamente come noi, a quell'abominevole farsa che è stata la versione olimpica dell'Ultima Cena in salsa francese. Aver fatto di una scena fondamentale del Nuovo Testamento e della vita del Cristo una collezione di fenomeni da baraccone, in cui all'aspetto di perversione sessuale era data volutamente enfasi, nonostante non fosse rivolta contro all'Islam (sospetto per pura vigliaccheria: dimenticare la visita fatta nel 2015 alla redazione di Charlie Hebdo risulta difficile) può aver mandato al fedele mussulmano dei messaggi molto chiari: che le nostre società sono marce sino al midollo, prive di ogni rispetto per sé stesse e ciò che dovrebbe essere più sacro, ossia proprio il Sacro; e che ormai da noi tutto è permesso, incapaci come siamo di difendere qualsiasi valore che non sia la distruzione di ogni valore tradizionale. E avrà notato, magari, che ad organizzare lo scempio era stato messo lì un tizio sia ebreo che omosessuale.
Certo, trovo grottesche quando non soltanto barbare le restrizioni poste alla vita sociale delle donne in alcuni luoghi, come l'Afghanistan, dove ormai non solo una donna non può più studiare all'università, ma nemmeno far sentire la propria voce in pubblico (ammesso e non concesso che ce la raccontino giusta), ma bisogna anche dire che si tratta di casi praticamente isolati, e che la gamma di tolleranza e di concessione di diritti è varia quanto lo stesso numero di società dei Paesi islamici. Ad esempio, si fa tanta cagnara sempre e solo per l'Iran, anche perché è lì che si fomentano rivolte “per i diritti delle donne”, e per decenni i cosiddetti “diritti” sono stati ben altrimenti violati in Arabia Saudita, che è stato un buon alleato degli USA e quindi poteva imporre il velo integrale e negare alle donne voto, lavoro e persino la patente senza guadagnarsi epiteti infami e le urla delle femministe come il vicino dall'altra parte del Golfo. Mentre in Iran l'obbligo è sempre stato solo di un fazzoletto che coprisse parte dei capelli (e che neppure tutte le donne, a seconda del luogo, osservano, basta fare attenzione ai servizi che i nostri stessi tiggì mandano da Tehran), la possibilità di lavorare c'è sempre stata, previo accordo del marito, e mai è stato messo in forse il diritto di elettorato attivo e passivo. O che dire della proibizione di alcolici? In Iran è assoluta, come in Arabia. In Iraq, sino a tutti gli anni '80, ossia prima che da noi si decidesse la distruzione di quel Paese, era possibile l'acquisto e il consumo, ma solo in privato. E in Turkmenistan, tutt'ora, non solo non c'è alcun divieto, ma producono pure un'ottima vodka in uno stabilimento locale. Però sempre lì è vietato il tabacco... Insomma, è un mondo vario, di cui sappiamo sempre poco e sempre male, e pur non provando alcun desiderio di andarci a vivere, ammetto che, confrontati con il nostro sfacelo, non abbiano tutti i torti nella reazione di rigetto. Perché se ci pensiamo bene la loro è una reazione di pura sopravvivenza. Tutte le società tradizionali, incluse quelle islamiche, sono state caratterizzate da una capacità di adattarsi all'ambiente e alle circostanze dandosi una struttura interna di durata potenzialmente lunghissima. Pensiamo all'India, in cui il sistema delle caste è sopravvissuto a qualsiasi cambio generale di dominio, conquiste, avvento di nuovi credi religiosi, per millenni. E tuttavia, a contatto con la tecnologia e la penetrazione economica e culturale occidentale, si sono tutte dissolte, una dopo l'altra, e le poche sopravvissute non godono di buona salute. Le società islamiche possono essere sopravvissute a tutto, alle Crociate, alla conquista mongola e a quella europea, e non avrebbero mai dato vita ad una rivoluzione scientifica o industriale, ma è palese che avrebbero potuto continuare a sussistere più o meno uguali per parecchi altri secoli e senza grossi scossoni. E tuttavia, se esposte alla liberalizzazione dei costumi sessuali, alla blasfemia legalizzata e all'egemonia dell'economico-finanziario su ogni altra istanza sociale, sarebbero destinate alla dissoluzione e alla servitù come già accaduto alle società tribali africane o agli amerindi. Questo lo percepiscono, anche se non lo comprendono concettualmente, anche gli abitanti più incolti delle città magrebine, delle oasi sahariane e delle montagne afgane. E la stretta su molte cose, dalle proibizioni alimentari alla diffusione di materiale audiovisivo, è semplicemente una reazione dettata dall'istinto di sopravvivenza. Le nostre società sono passate dal conservatorismo borghese provinciale e un po' bigotto all'esaltazione di Sodoma e Gomorra dei Pride, alla dissoluzione dei legami familiari e al pervertimento del ruolo della donna negandone la destinazione, metafisica prima ancora che biologica, del dare la vita, denigrando la figura della madre di molti figli e rendendo la gravidanza un ostacolo alla carriera e al “godersi la vita”, che si risolve, alla fine, nell'esaurirsi in qualche ufficio e darsi all'alcool e alle orge durante le poche ferie che il Sistema concede quale unica valvola di sfogo. Una società così potrà anche reggere esteriormente, ma non regge, al suo interno, nulla di umano. I veli, le frustate, la pena di morte per il reato di sodomia o di sesso prematrimoniale possono sembrare ridicoli, preistorici o abominevoli, ma mettiamoci in testa che quelle società, che fra l'altro gli stessi progressisti, quando vogliono calunniare il nostro passato medievale e cristiano, ci presentano come fonte di civiltà superiore alla nostra, quelle società, dico, hanno retto per millenni a molti scossoni pur portandosi dietro tutto quel bagaglio di restrizioni e di “violazioni dei diritti”. Non sopravviverebbero che breve tempo all'adozione della dissolutezza e dell'anarchia dei costumi che già ha trasformato le nostre società in una poltiglia di oscenità e di nevrosi, e che renderebbe anche le loro una copia di quello che vedono ogni giorno da noi. Se avessero visto un'alternativa, ossia un modo di vivere “all'occidentale” che non avesse minacciato natalità, famiglia, legami sociali, fede religiosa e rispetto per le proprie tradizioni, forse non si sarebbero attaccati con tanta foga (“intolleranza”, direbbe qualcuno) alle manifestazioni più violente e rigide della legge islamica. Ma quell'alternativa non gliel'abbiamo mai fatta vedere, proprio perché non esiste: il “modo di vivere all'occidentale” è esattamente la dissoluzione di quei legami sociali e di quelle tradizioni che per loro sono ancora tanto importanti e che noi abbiamo ormai perso per sempre. Anche le bombe e le aggressioni all'arma bianca sono un'espressione di quel rigetto. E, pur essendo personalmente a favore delle libertà garantite alle donne, compresa quella di avere una vita sessuale, da padre di una bambina di sette anni ma che cresce in fretta, fra una società che spinge la donna ad essere moglie e madre, ed una che la spinge a prostituirsi su Onlyfans, credo che gli islamici non abbiano tutti i torti a preferire la prima. Nella mia opinione, fra l'altro, gli eventuali abusi della prima sarebbero emendabili; quelli della seconda, no, perché la dissoluzione dei legami familiari, la banalizzazione del sesso e la trasformazione dei cittadini in amebe sradicate da tutto e tutti facilmente manipolabili è l'essenza stessa della fase di decomposizione della civiltà Occidentale che viviamo.
Che se poi qualcuno dovesse dire, come tanti commentatori, spesso in quota Lega, specie negli anni dopo l'11 settembre 2001, “se non gli piace come viviamo noi, che se ne restino (o tornino) a casa loro”, si potrebbe far notare che per il nostro sistema economico-finanziario non esiste alcuna “casa loro” da rispettare, ma ogni angolo del pianeta in cui vi siano risorse da sfruttare è passibile di invasione, infezione e altri metodi di persuasione, magari occulta, che “convincano” il buon selvaggio di turno che è bello e conveniente gettare alle ortiche sistemi di vita che duravano da millenni per abbracciare le nostre magnifiche sorti e progressive.
Non hanno davvero tutti i torti a voler restare sé stessi. Almeno loro un'idea ce l'hanno di che significa essere “sé stessi”.