Non so voi, ma sino ad oggi non avevo idea di chi fosse Cecilia Parodi. Dopo aver cercato qualche informazione in rete, ho trovato che sia l'ennesima scrittrice contemporanea, di quelle che piacciono tanto alle case editrici (tant'è che la pubblicano) e che sfornano storie piuttosto melense su infanzia e famiglie piene di quegli psicologismi che fanno tanto moderno. Non ho letto il suo romanzo, ma ormai coi libri contemporanei mi basta leggere la quarta di copertina, a volte persino solo il titolo, perché mi passi la voglia di andare oltre (e a volte sbaglio). E il fatto che il suo romanzo di esordio sia ambientato in Sardegna non mi dice molto di più. Quel che le è successo, però, mi dice enormemente più della sua opera, ammesso che, dopo l'episodio che sta vivendo, avrà ancora la possibilità di continuarla (cosa che dubito). È successo che, sull'onda emotiva della mattanza di Gaza, la signora, che commenta pubblicamente, come tutti, sui suoi profili social, in particolare su Instagram, si è prodotta in un video. Qui, dopo averne dette di cotte e di crude su Israele, ha allargato l'oggetto delle sue ire a tutti gli ebrei. “Li odio tutti”, ha detto, “insieme a i loro sostenitori. Dovrebbero finire tutti impiccati”. Se la sarebbe poi presa anche con la Segre. Uso il condizionale perché, come prevedibile, i video in questione sono poi stati rimossi e sono introvabili, ma è invece di facile reperibilità quel che ne è seguito, e che chiunque, al corrente di come vanno le cose nel sedicente Mondo Libero, avrebbe indovinato sin dalle prime battute di questa storia. La signora Parodi è indagata per “istigazione a delinquere e odio razziale” dopo due querele, una da parte di -udite, udite!- la senatrice a vita (oltre che vittima a vita) Liliana Segre, che non poteva mancare, da quella specie di Erinni che ha deciso di incarnare, questa ghiotta occasione per far da censore a cosa la gente pensi di lei e della sua razza. La seconda, invece, viene da nientepopodimeno che dal console onorario d'Israele per la Toscana, tal Marco Carrai. E se si muove persino lo Stato Ebraico senza neppure usare un velo di dissimulazione, le cose devono essere davvero serie. Come detto, il materiale originale è stato rimosso, ma come per tutto ciò che sta su internet esiste sempre chi ha registrato e rimesso in rete. Nel minuto usato dalla disinformazione di regime per stigmatizzare le espressioni della Parodi, la signora, visibilmente commossa e in lacrime, si esprime in frasi come: “Odio tutti, tutti gli ebrei, tutti gli israeliani, tutti quelli che li difendono, tutti i giornalisti, tutti i politici, tutti i paraculi, tutti i vigliacchi. Perché mi avete rovinato la vita, avete rovinato il mondo, l'esistenza di tutti. Ed io vi odio, mi fate schifo, non vi perdonerò mai. E se dovessi vedervi appesi per i piedi, ve lo giuro, che non basterà Piazzale Loreto, ma ci vorrà Piazza Tienanmen per appendervi tutti, io sarò in prima fila per sputarvi addosso”. Sulle dette offese di lesa maestà alla Segre, invece, non ho trovato traccia.
Ecco, questo è quello che, adeguatamente tagliato, è stato messo in rete dalla disinformazione di regime, quindi prendiamolo comunque con le pinze (e che siano belle lunghe e disinfettate). È chiaro che la Parodi sia una persona molto impressionabile e che non controlla troppo i propri sentimenti, così come è chiaro che provi un'avversione viscerale per la categoria di cui parla. Ma messa così, io ci vedo solo uno scoppio emozionale, ancor prima che del pensiero politico. E per quanto lo si possa disapprovare (e, messa così, persino io ne disapprovo ben poco), non si capisce perché debba risultare tanto pericoloso per la pacifica convivenza sociale da portarla in tribunale. O davvero il PM ritiene credibile che qualcuno, spinto dalle parole della Parodi, arrivi ad appendere per i piedi tutti gli ebrei e i loro simpatizzanti in Piazza Tienanmen? Vasto programma, avrebbe chiosato De Gaulle. Che poi, in questo caso, ricadrebbe sotto la giurisdizione del foro di Pechino. Come si vede, il caso è tanto grottesco e surreale che viene difficile ragionarci seriamente, ma serissima è la situazione in cui si viene a trovare una cittadina italiana per aver espresso un sentimento, quindi val la pena provarci.
Non ho nulla che mi porti a simpatizzare per una signora di area probabilmente progressista (ha partecipato ad un'iniziativa indetta dai giovani del PD, che per me equivale ad avere impresso il marchio della Bestia), ma mi chiedo quanto stomaco bisogni avere in una Procura della Repubblica per bollare come “istigazione a delinquere” il desiderio di vedere impiccato qualcuno. Allora bisognerebbe aprire un procedimento ogniqualvolta si sente esclamare un “ma va' a morire ammazzato”? Ed io, quanti ergastoli mi sono già guadagnato per aver desiderato, e per di più descritto con dovizia di particolari sadici, la morte dopo tortura di una bella fetta della classe dirigente italiana, specie quella complice, dall'ex ministro Speranza all'attuale presiniente Paperella, dello scempio giuridico e civile messo in atto con la scusa del Covid?
Si vive in un regime repressivo quando la legge è al servizio delle classi dominanti e serve non per dirimere le controversie di interesse pubblico, quanto per colpire duro chiunque attenti agli interessi di quelle classi. Anche e soprattutto nel caso tale attentato venga dall'aver espresso pensieri non conformi ai desiderata di chi detiene il potere. Denunce del genere, se non in Italia, sono già possibili in gran parte dell'Occidente sedicente libero, ad esempio in Svezia, dove esprimere pensieri di odio contro gli omosessuali è reato penale. Vederle arrivate a noi, anche senza attendere l'esito del processo, ma considerate degne di far scattare un procedimento legale, fa capire molte cose della società in cui viviamo.
La stigmatizzazione dell'odio è una di quelle armi utilissime a regimi repressivi impregnati di ideologia, essendo una gallina dalle uova d'oro per chi, dal legislatore al giudice, volesse farne un'arma di guerra ideologica. Quando un reato è designato in modo abbastanza vago da poter essere individuato a piacere dagli inquirenti e dai tribunali, quella è un'arma ideologica. In URSS esisteva il reato di “attività antisovietiche”. In mano ad un giudice, si capisce che qualsiasi cosa potesse rientrare nella categoria, dalla resistenza armata allo sciopero alle barzellette politiche. E infatti in Siberia, e dopo l'epoca dei gulag, in galera, ci finì molta gente anche solo per una barzelletta. Lo scrittore Babel', ad esempio, venne condannato perché, astenendosi dallo scrivere, aveva messo in atto questo genere di attività. O così almeno fu costretto a confessare.
Noi non abbiamo le attività antisovietiche, ma abbiamo i crimini di odio e di discriminazione razziale. Cosa sia l'odio, e quanto vago possa essere, sino al livello sovietico, ci arriviamo tutti. Se dico che odio un intero popolo o una persona, è chiaro che sia odio. Ma se dico solo che mi sta violentemente sulle scatole? Un tribunale più interpretarlo come odio, perché no? E se dico che mi fa schifo? Che è un bastardo, un criminale da vedere dietro alle sbarre? Odio, odio! E che altro? Sino alle semplici battute denigratorie, magari svilendone l'aspetto fisico o accentuandone i difetti di pronuncia. Vi ricorda qualcosa? Per decenni i giornali e i comici di sinistra si ingrassarono sfottendo Berlusconi per la scarsa altezza o l'accento brianzolo. Ma allora nessuno avrebbe preso sul serio un ipotetico “reato d'odio”. Possiamo però fare esempi più pregnanti. Ad esempio, Facebook, quella sentina della privacy e di ogni propaganda dem che blocca e sospende per qualsiasi foto storica con una svastica o la parola “negro”, ma dal 24 febbraio 2022 fece eccezione a tale procedura per chiunque avesse espresso odio e sentimenti omicidi rivolti al popolo russo e ai suoi soldati e governanti.
È chiaro che insultare gli ebrei va contro all'imposizione ideologica del regime sotto a cui viviamo, mentre desiderare la morte anche per tutti i russi, da Kaliningrad a Petropavlovsk in Kamciatka, non fa battere ciglio su un social, figuriamoci ad una procura della Repubblica (delle banane, a questo punto). E quanto si ritenga importante difendere l'intoccabilità di Israele e degli ebrei, in un momento in cui Israele rade al suolo una città zeppa di civili, colpendo ospedali, scuole e campi profughi, e causando qualcosa come quarantamila morti in pochi mesi, salta immediatamente all'occhio. Qualsiasi cosa accada, l'ebreo è intoccabile. Desiderate pure la morte di russi e bielorussi, di ungheresi e iraniani, di fascisti e reazionari, ma guai a dire che odiate Israele. Questo è odio e istigazione a delinquere; quegli altri, no. E perché? Perché quelli son cattivi e hanno torto, gli ebrei (e tutte le altre categorie protette, che poi sarebbero l'Occidente), invece son buoni e hanno ragione a prescindere. Le pagliaccesche olimpiadi di Parigi ne hanno rappresentato la metafora plastica: russi e bielorussi esclusi per ragioni estranee allo sport, la Russia in sostanza perché sta facendo una guerra, ma partecipano coi pieni diritti... Stati Uniti e Israele. Ossia due Paesi che non sono stati in pace e hanno aggredito vicini e lontani ogni singolo giorno da almeno settant'anni. Ah, e quale ragione palese c'è stata per l'esclusione degli atleti bielorussi? Qualcuno ha delle idee? O dobbiamo accontentarci del solito “io so' io e voi nun sete un cazzo”? (scusate il francesismo).
In definitiva, il caso Parodi dimostra come siamo all'imposizione violenta dell'ideologia ufficiale. Ci sono cose che è vietato dire, categorie privilegiate che è vietato toccare, ed esiste il reato di odio. In attesa di vedere quelli di invidia, gola e lussuria (ovviamente solo se etero). E abbiamo il coraggio di parlare contro il Ministero per la Prevenzione del Vizio afghano. Per questo mi sento di solidarizzare con la Parodi, indipendentemente dall'orientamento politico e dai suoi trascorsi. Questa donna, potete contarci, è già vittima in un sacrificio rituale agli dei malefici la cui religione ci viene imposta giorno dopo giorno, e può dire addio alla carriera di scrittrice come a qualsiasi ruolo o professione che comporti una qualche visibilità. Se si son mossi personaggi come la Segre o il rappresentante di Israele, idoli sinistri in questi tempi di oscurantismo ideologico, le cose per la signora son già davvero serie, e dimostrano che potrebbero esserlo potenzialmente per chiunque, per poco che l'espressione di un'idea o persino di un sentimento vi sfugga di mano.
Ecco, questo è quello che, adeguatamente tagliato, è stato messo in rete dalla disinformazione di regime, quindi prendiamolo comunque con le pinze (e che siano belle lunghe e disinfettate). È chiaro che la Parodi sia una persona molto impressionabile e che non controlla troppo i propri sentimenti, così come è chiaro che provi un'avversione viscerale per la categoria di cui parla. Ma messa così, io ci vedo solo uno scoppio emozionale, ancor prima che del pensiero politico. E per quanto lo si possa disapprovare (e, messa così, persino io ne disapprovo ben poco), non si capisce perché debba risultare tanto pericoloso per la pacifica convivenza sociale da portarla in tribunale. O davvero il PM ritiene credibile che qualcuno, spinto dalle parole della Parodi, arrivi ad appendere per i piedi tutti gli ebrei e i loro simpatizzanti in Piazza Tienanmen? Vasto programma, avrebbe chiosato De Gaulle. Che poi, in questo caso, ricadrebbe sotto la giurisdizione del foro di Pechino. Come si vede, il caso è tanto grottesco e surreale che viene difficile ragionarci seriamente, ma serissima è la situazione in cui si viene a trovare una cittadina italiana per aver espresso un sentimento, quindi val la pena provarci.
Non ho nulla che mi porti a simpatizzare per una signora di area probabilmente progressista (ha partecipato ad un'iniziativa indetta dai giovani del PD, che per me equivale ad avere impresso il marchio della Bestia), ma mi chiedo quanto stomaco bisogni avere in una Procura della Repubblica per bollare come “istigazione a delinquere” il desiderio di vedere impiccato qualcuno. Allora bisognerebbe aprire un procedimento ogniqualvolta si sente esclamare un “ma va' a morire ammazzato”? Ed io, quanti ergastoli mi sono già guadagnato per aver desiderato, e per di più descritto con dovizia di particolari sadici, la morte dopo tortura di una bella fetta della classe dirigente italiana, specie quella complice, dall'ex ministro Speranza all'attuale presiniente Paperella, dello scempio giuridico e civile messo in atto con la scusa del Covid?
Si vive in un regime repressivo quando la legge è al servizio delle classi dominanti e serve non per dirimere le controversie di interesse pubblico, quanto per colpire duro chiunque attenti agli interessi di quelle classi. Anche e soprattutto nel caso tale attentato venga dall'aver espresso pensieri non conformi ai desiderata di chi detiene il potere. Denunce del genere, se non in Italia, sono già possibili in gran parte dell'Occidente sedicente libero, ad esempio in Svezia, dove esprimere pensieri di odio contro gli omosessuali è reato penale. Vederle arrivate a noi, anche senza attendere l'esito del processo, ma considerate degne di far scattare un procedimento legale, fa capire molte cose della società in cui viviamo.
La stigmatizzazione dell'odio è una di quelle armi utilissime a regimi repressivi impregnati di ideologia, essendo una gallina dalle uova d'oro per chi, dal legislatore al giudice, volesse farne un'arma di guerra ideologica. Quando un reato è designato in modo abbastanza vago da poter essere individuato a piacere dagli inquirenti e dai tribunali, quella è un'arma ideologica. In URSS esisteva il reato di “attività antisovietiche”. In mano ad un giudice, si capisce che qualsiasi cosa potesse rientrare nella categoria, dalla resistenza armata allo sciopero alle barzellette politiche. E infatti in Siberia, e dopo l'epoca dei gulag, in galera, ci finì molta gente anche solo per una barzelletta. Lo scrittore Babel', ad esempio, venne condannato perché, astenendosi dallo scrivere, aveva messo in atto questo genere di attività. O così almeno fu costretto a confessare.
Noi non abbiamo le attività antisovietiche, ma abbiamo i crimini di odio e di discriminazione razziale. Cosa sia l'odio, e quanto vago possa essere, sino al livello sovietico, ci arriviamo tutti. Se dico che odio un intero popolo o una persona, è chiaro che sia odio. Ma se dico solo che mi sta violentemente sulle scatole? Un tribunale più interpretarlo come odio, perché no? E se dico che mi fa schifo? Che è un bastardo, un criminale da vedere dietro alle sbarre? Odio, odio! E che altro? Sino alle semplici battute denigratorie, magari svilendone l'aspetto fisico o accentuandone i difetti di pronuncia. Vi ricorda qualcosa? Per decenni i giornali e i comici di sinistra si ingrassarono sfottendo Berlusconi per la scarsa altezza o l'accento brianzolo. Ma allora nessuno avrebbe preso sul serio un ipotetico “reato d'odio”. Possiamo però fare esempi più pregnanti. Ad esempio, Facebook, quella sentina della privacy e di ogni propaganda dem che blocca e sospende per qualsiasi foto storica con una svastica o la parola “negro”, ma dal 24 febbraio 2022 fece eccezione a tale procedura per chiunque avesse espresso odio e sentimenti omicidi rivolti al popolo russo e ai suoi soldati e governanti.
È chiaro che insultare gli ebrei va contro all'imposizione ideologica del regime sotto a cui viviamo, mentre desiderare la morte anche per tutti i russi, da Kaliningrad a Petropavlovsk in Kamciatka, non fa battere ciglio su un social, figuriamoci ad una procura della Repubblica (delle banane, a questo punto). E quanto si ritenga importante difendere l'intoccabilità di Israele e degli ebrei, in un momento in cui Israele rade al suolo una città zeppa di civili, colpendo ospedali, scuole e campi profughi, e causando qualcosa come quarantamila morti in pochi mesi, salta immediatamente all'occhio. Qualsiasi cosa accada, l'ebreo è intoccabile. Desiderate pure la morte di russi e bielorussi, di ungheresi e iraniani, di fascisti e reazionari, ma guai a dire che odiate Israele. Questo è odio e istigazione a delinquere; quegli altri, no. E perché? Perché quelli son cattivi e hanno torto, gli ebrei (e tutte le altre categorie protette, che poi sarebbero l'Occidente), invece son buoni e hanno ragione a prescindere. Le pagliaccesche olimpiadi di Parigi ne hanno rappresentato la metafora plastica: russi e bielorussi esclusi per ragioni estranee allo sport, la Russia in sostanza perché sta facendo una guerra, ma partecipano coi pieni diritti... Stati Uniti e Israele. Ossia due Paesi che non sono stati in pace e hanno aggredito vicini e lontani ogni singolo giorno da almeno settant'anni. Ah, e quale ragione palese c'è stata per l'esclusione degli atleti bielorussi? Qualcuno ha delle idee? O dobbiamo accontentarci del solito “io so' io e voi nun sete un cazzo”? (scusate il francesismo).
In definitiva, il caso Parodi dimostra come siamo all'imposizione violenta dell'ideologia ufficiale. Ci sono cose che è vietato dire, categorie privilegiate che è vietato toccare, ed esiste il reato di odio. In attesa di vedere quelli di invidia, gola e lussuria (ovviamente solo se etero). E abbiamo il coraggio di parlare contro il Ministero per la Prevenzione del Vizio afghano. Per questo mi sento di solidarizzare con la Parodi, indipendentemente dall'orientamento politico e dai suoi trascorsi. Questa donna, potete contarci, è già vittima in un sacrificio rituale agli dei malefici la cui religione ci viene imposta giorno dopo giorno, e può dire addio alla carriera di scrittrice come a qualsiasi ruolo o professione che comporti una qualche visibilità. Se si son mossi personaggi come la Segre o il rappresentante di Israele, idoli sinistri in questi tempi di oscurantismo ideologico, le cose per la signora son già davvero serie, e dimostrano che potrebbero esserlo potenzialmente per chiunque, per poco che l'espressione di un'idea o persino di un sentimento vi sfugga di mano.
Siamo passati dalla civiltà del diritto al Marchese del Grillo. Con tutto che il grande Alberto Sordi almeno faceva ridere.