Dopo alcuni dubbi, sono andato anch'io a vedere l'ultimo film di Ridley Scott, e l'impressione finale è stata: poteva andare molto peggio.
A lungo sono rimasto diviso fra due motivazioni altrettanto forti sia pro che contro: intanto Napoleone è uno dei miei eroi, su cui non faccio che leggere sin dai quattordici anni (e ne ho anche scritto: un romanzo su Waterloo, naturalmente rimasto non pubblicato, quindi non chiedetemi dove trovarlo), e un film fatto con un bel budget è un'occasione da non perdere per quello che cerco: costumi e ricostruzione di battaglie soprattutto.
Il “ma” stava invece nel fatto che è un film americano. E i film storici americani sono affetti, praticamente tutti, dal vizio della cialtroneria, della deturpazione volontaria di alcune figure storiche e dalla gestione allegra dell'ordine temporale degli eventi, cosa che mi irrita quando passa il segno. E se poi ci sono figure storiche francesi contrapposte a figure storiche anglosassoni, nove volte su dieci avremo una messinscena intrisa di tifoseria in cui le prime sono caricaturali e le seconde l'incarnazione della libertà contro alla tirannide. Troppo per la stima che ho dell'uomo Bonaparte.
Alla fine, però, mi sono convinto cercando di passare sopra alle inesattezze storiche, anche perché queste sarebbero state comunque inevitabili. E il perché è ovvio: la durata iniziale del film, quattro ore, non sarebbe stata mai sufficiente a dar conto di una vita ricca di eventi e degna di approfondimenti come quella del nostro Bonaparte, dall'infanzia in Corsica all'esilio a Sant'Elena, un mezzo secolo per il quale servirebbero non ore, ma mesi di visione. Come se non bastasse, Scott ha poi tagliato il tutto sino a ridurlo a due ore e mezza, appena sufficienti a non lasciare estenuato lo spettatore medio ma una chiara promessa di lasciar fuori dalla proiezione molti anni di eventi e personaggi importanti. Quindi mi son messo l'anima in pace, convinto che per portare al cinema la vita dell'Imperatore non si sarebbe potuto fare altro.
Intanto, le imprecisioni storiche ci sono state, ma meno gravi del previsto. Se il giovane Bonaparte nella realtà non fu presente all'esecuzione della regina Maria Antonietta, lo fu però a quella del re e marito Luigi XVI, e un'occasione è buona quanto l'altra per mostrarne l'atteggiamento cupo e ostile verso gli eccessi della Rivoluzione. Non ci fu nessuna cannonata francese sulle piramidi, anche solo per il fatto che la gittata dei cannoni dell'epoca non l'avrebbe permesso, ma devo ammettere che l'effetto scenico è impressionante, così come, ad Austerlitz, per l'evento dello stagno di Satschan gelato, su cui viene sintetizzata tutta la battaglia, che non solo è contestato da alcuni storici, ma non fu che una parte di uno scontro fra i più complessi, magistralmente condotti e di ampio respiro di tutta la storia militare (ma per chi voglia una ricostruzione insieme precisa e appassionante, consiglio il francese "Austerlitz" di Abel Gance, del 1960). Anzi, sono in genere le scene di battaglia a venir ristrette ad un teatro di poche centinaia di metri, quando nella realtà si svolgevano su fronti di alcuni chilometri coinvolgendo non migliaia, ma centinaia di migliaia di uomini. Più inverosimile ancora un Napoleone che, a Waterloo, si butta nella mischia sciabola in pugno: neppure volendo avrebbe potuto fare una cosa del genere, e non solo perché i tempi in cui il comandante in capo partecipava agli scontri corpo a corpo erano finiti da un pezzo, ma anche perché Napoleone, durante tutta la disgraziata campagna del 1815, soffrì di cistite e di emorroidi tanto acute che gli impedirono di seguire pienamente lo svolgimento delle operazioni, lasciando ai sottoposti la possibilità di compiere errori fatali. Né l'atteggiamento di Wellington, tanto sprezzante nei suoi confronti, corrisponde al vero: semmai all'inglese dobbiamo alcune delle testimonianze di rispetto verso Napoleone più lusinghiere della storia. A questo punto è un'inezia notare che i prussiani di Blücher,, che nel film arrivano a salvare gli inglesi a Waterloo dalla loro destra, in realtà, marciando da est, sarebbero dovuti arrivare da sinistra: sottigliezze da puristi, che non tolgono nulla alla visione.
In genere, invece, ho notato una cura nei costumi e nell'armamento che scalda il cuore, vista la solita trascuratezza americana verso le cose europee, massimamente storiche. Sarà che ormai tutto si fa al computer, e la tecnologia costa assai meno della ricostruzione fisica, ma gli scenari che ho visto rendevano giustizia a quanto ci si poteva aspettare. Se si pensa che è un film, e non un documentario, ce lo si può godere al netto di tutto, e semmai persino io ho imparato qualcosa. Ad esempio, nulla sapevo del primo figlio illegittimo di Napoleone, avuto con una ragazza francese e accuratamente nascosto al pubblico ben un anno prima della più celebre tresca con la Walewska, che già all'epoca era, per i soldati francesi, “la moglie polacca dell'imperatore”. E pazienza se il rapporto con Giuseppina viene messo al centro di tutto con tanto di inquadrature vagamente pornografiche: Scott, uomo del mestiere, sa che non poteva vendere al pubblico un film fatto solo di guerra e politica. Gli si perdona anche aver spiegato il ritorno dall'Egitto come reazione di un marito geloso alla notizia degli adulteri della moglie: effettivamente le relazioni extraconiugali dei due resero a volte teso il clima nel talamo, ma è vero, come nel film si fa capire, che c'era un legame profondo fra i due. Al divorzio si arrivò solo dopo molti anni e dopo l'assunzione della realtà che senza un erede il nuovo regime sarebbe stato condannato alla caduta immediatamente dopo la morte di Napoleone, e ciononostante anche dopo la separazione l'imperatore dimostrò un attaccamento singolare verso l'ex-moglie: non so se, come nel film, andasse a trovarla regolarmente, ma è verissimo che la mise in uno stato tale da non aver più bisogni materiali per il resto dei suoi giorni. Le rimase la loro prima casa, quella Malmaison che è tutt'ora uno dei più importanti musei sulla loro epoca, e le diede denaro in continuazione, per tamponare quei debiti che le spese folli di Giuseppina creavano come dal nulla. Alla fine, lei ricevette da lui oltre trenta milioni, cifra folle per l'epoca, e riuscì comunque a morire senza un soldo. È poi molto romantica l'idea che Napoleone sia tornato dall'Elba in un secondo accesso di gelosia, leggendo sui giornali insinuazioni sulle presunte infedeltà di Giuseppina con lo zar Alessandro, ma è anche impossibile. Perché se è vero, come ho scoperto grazie al film, che dopo la prima abdicazione i sovrani alleati che occupavano Parigi fossero andati a trovare l'ex-moglie dell'imperatore, è inverosimile che lei si sia messa a flirtare con tutti, e per di più, all'epoca del ritorno di Napoleone dall'Elba, se non altro, lei era morta da quasi un anno. Così, quella che a mio parere rimane l'impresa più bella della sua vita, lui l'ha intrapresa spinto da ben altri motivi.
Tanti poi sono i “buchi”, ma non è davvero il caso di farne una colpa al regista: come detto, che siano due ore e mezza o quattro, è inevitabile non poter dar conto di tutto, e se da un'inquadratura e l'altra passano anche tre, cinque anni, si perdona per esigenze narrative.
Ma c'è dell'altro per cui il film merita di non essere affossato dalla critica. Ed è che, come dicevo, poteva andare molto peggio.
In che senso?
Tocca fare un bel passo indietro.
Quando la guerra senza quartiere contro la Francia e il suo imperatore infuriava, la Gran Bretagna mise in piedi anche tutto il suo apparato di guerra culturale (psicologica, diremmo oggi), per demonizzare il nemico. In un profluvio cartaceo senza fine emerse, da caricature, romanzi, rime, resoconti più o meno verosimili, un'immagine di Napoleone magari poco realistica, ma che penetrò profondamente nella psiche collettiva di tutti i popoli anglosassoni. Un nanerottolo tirannico, soggetto a crisi isteriche e ridicolmente pieno di sé fu l'immagine che ben oltre Waterloo, e ancora nella cultura popolare del XX secolo, rimase di Napoleone così come concepita durante la sua vita e poi riconfermata in epoca vittoriana, una classica operazione propagandistica tanto ben riuscita che mi è capitato, negli anni, parlando con degli inglesi, vedermela riproposta come se niente fosse. E pazienza se il vero Bonaparte non era affatto basso, sapeva benissimo come affascinare gli uomini e perdeva le staffe in pubblico in poche occasioni: fu questa l'immagine che i vincitori cercarono di sdoganare anche sul continente. Ma qui è cascato l'asino. Perché nel XIX secolo, dall'altra parte, c'era la Francia, che oltre ad essere una delle principali potenze dell'epoca, era anche il centro culturale di tutta Europa, la cui lingua era ancora quella dell'alta società e della diplomazia, insegnata nelle scuole e diffusa ovunque tramite la propria altissima produzione letteraria. E in Francia rimase vivo a lungo il culto di Napoleone, grazie anche ad una ricca serie di fonti di prima mano sull'uomo e la sua opera, tutte cose che aiutarono a darne una rappresentazione positiva, di lui e della sua epoca, tramite romanzi, versi, dipinti, opere teatrali, persino musica, e un'infinità di saggi storici e biografie. L'immagine di Bonaparte come eroe, condottiero, statista e grand'uomo fu difesa e persino esportata, con molto successo in Italia (dove lo si considerava, e non a torto, italiano), e persino in territorio “nemico”, come in Germania (dove Heinrich Heine gli dedicò il Buch Legrand) e Russia: ricorderò sempre, a Irkutsk, nel cuore della Siberia orientale, un busto di Napoleone nella casa-museo di un decabrista. Questo, esiliato dopo aver preso parte all'insurrezione del dicembre 1825 (da cui il nome), pur avendo combattuto contro i francesi, continuò a nutrire per il loro sovrano un'ammirazione che lo accompagnò per tutta la vita. Così, con tutta questa potenza di fuoco a contrastare la narrativa anglosassone, l'immagine negativa di Napoleone fallì nell'imporsi al mondo non-anglosassone. Sino a che, col XX secolo, dominato dal cinema e dalla cultura e sottocultura dell'audiovisivo e del fumetto made in USA, non tornò prepotente la deformazione della verità storica a favore del progetto generale di un mondo in cui i nemici dei paesi anglosassoni non possono che essere brutti, cattivi, e criminali. E magari anche malati di mente e ridicoli. La caricatura di Napoleone è lentamente tornata in auge, anche se ormai nuovi nemici (tedeschi, russi, arabi) occupano quasi tutto l'obbiettivo dell'industria della propaganda hollywoodiana e non solo. Persino nell'altrimenti accurato “Waterloo” del 1970 l'imperatore è rappresentato in maniera decisamente antipatica. E aggiungiamoci che nel cinema anglosassone rimane invincibile la tentazione di ridicolizzare tutto ciò che è francese, eredità della lunga contrapposizione Francia-Inghilterra risalente al Medioevo e nonostante oltre un secolo di alleanza e due guerre mondiali combattute insieme. Per questo dico che poteva andare decisamente peggio: un regista mainstream come Ridley Scott, attento alle esigenze di cassa e con pochi scrupoli di precisione storica, poteva benissimo conformarsi a ciò che il suo pubblico si aspettava e dare l'ennesima prova di arroganza, uno sfregio da molti milioni di dollari degno di qualche nomination all'Oscar. E invece ci ha regalato un Napoleone che conserva la sua dignità, non privo di difetti ma senza eccessi caricaturali, forse un po' troppo serioso nell'interpretazione del pur bravo Joaquim Phoenix, ma di sicuro capace di conquistarsi il giusto grado di ammirazione per un carattere di statura sovrumana come il suo.
A lungo sono rimasto diviso fra due motivazioni altrettanto forti sia pro che contro: intanto Napoleone è uno dei miei eroi, su cui non faccio che leggere sin dai quattordici anni (e ne ho anche scritto: un romanzo su Waterloo, naturalmente rimasto non pubblicato, quindi non chiedetemi dove trovarlo), e un film fatto con un bel budget è un'occasione da non perdere per quello che cerco: costumi e ricostruzione di battaglie soprattutto.
Il “ma” stava invece nel fatto che è un film americano. E i film storici americani sono affetti, praticamente tutti, dal vizio della cialtroneria, della deturpazione volontaria di alcune figure storiche e dalla gestione allegra dell'ordine temporale degli eventi, cosa che mi irrita quando passa il segno. E se poi ci sono figure storiche francesi contrapposte a figure storiche anglosassoni, nove volte su dieci avremo una messinscena intrisa di tifoseria in cui le prime sono caricaturali e le seconde l'incarnazione della libertà contro alla tirannide. Troppo per la stima che ho dell'uomo Bonaparte.
Alla fine, però, mi sono convinto cercando di passare sopra alle inesattezze storiche, anche perché queste sarebbero state comunque inevitabili. E il perché è ovvio: la durata iniziale del film, quattro ore, non sarebbe stata mai sufficiente a dar conto di una vita ricca di eventi e degna di approfondimenti come quella del nostro Bonaparte, dall'infanzia in Corsica all'esilio a Sant'Elena, un mezzo secolo per il quale servirebbero non ore, ma mesi di visione. Come se non bastasse, Scott ha poi tagliato il tutto sino a ridurlo a due ore e mezza, appena sufficienti a non lasciare estenuato lo spettatore medio ma una chiara promessa di lasciar fuori dalla proiezione molti anni di eventi e personaggi importanti. Quindi mi son messo l'anima in pace, convinto che per portare al cinema la vita dell'Imperatore non si sarebbe potuto fare altro.
Intanto, le imprecisioni storiche ci sono state, ma meno gravi del previsto. Se il giovane Bonaparte nella realtà non fu presente all'esecuzione della regina Maria Antonietta, lo fu però a quella del re e marito Luigi XVI, e un'occasione è buona quanto l'altra per mostrarne l'atteggiamento cupo e ostile verso gli eccessi della Rivoluzione. Non ci fu nessuna cannonata francese sulle piramidi, anche solo per il fatto che la gittata dei cannoni dell'epoca non l'avrebbe permesso, ma devo ammettere che l'effetto scenico è impressionante, così come, ad Austerlitz, per l'evento dello stagno di Satschan gelato, su cui viene sintetizzata tutta la battaglia, che non solo è contestato da alcuni storici, ma non fu che una parte di uno scontro fra i più complessi, magistralmente condotti e di ampio respiro di tutta la storia militare (ma per chi voglia una ricostruzione insieme precisa e appassionante, consiglio il francese "Austerlitz" di Abel Gance, del 1960). Anzi, sono in genere le scene di battaglia a venir ristrette ad un teatro di poche centinaia di metri, quando nella realtà si svolgevano su fronti di alcuni chilometri coinvolgendo non migliaia, ma centinaia di migliaia di uomini. Più inverosimile ancora un Napoleone che, a Waterloo, si butta nella mischia sciabola in pugno: neppure volendo avrebbe potuto fare una cosa del genere, e non solo perché i tempi in cui il comandante in capo partecipava agli scontri corpo a corpo erano finiti da un pezzo, ma anche perché Napoleone, durante tutta la disgraziata campagna del 1815, soffrì di cistite e di emorroidi tanto acute che gli impedirono di seguire pienamente lo svolgimento delle operazioni, lasciando ai sottoposti la possibilità di compiere errori fatali. Né l'atteggiamento di Wellington, tanto sprezzante nei suoi confronti, corrisponde al vero: semmai all'inglese dobbiamo alcune delle testimonianze di rispetto verso Napoleone più lusinghiere della storia. A questo punto è un'inezia notare che i prussiani di Blücher,, che nel film arrivano a salvare gli inglesi a Waterloo dalla loro destra, in realtà, marciando da est, sarebbero dovuti arrivare da sinistra: sottigliezze da puristi, che non tolgono nulla alla visione.
In genere, invece, ho notato una cura nei costumi e nell'armamento che scalda il cuore, vista la solita trascuratezza americana verso le cose europee, massimamente storiche. Sarà che ormai tutto si fa al computer, e la tecnologia costa assai meno della ricostruzione fisica, ma gli scenari che ho visto rendevano giustizia a quanto ci si poteva aspettare. Se si pensa che è un film, e non un documentario, ce lo si può godere al netto di tutto, e semmai persino io ho imparato qualcosa. Ad esempio, nulla sapevo del primo figlio illegittimo di Napoleone, avuto con una ragazza francese e accuratamente nascosto al pubblico ben un anno prima della più celebre tresca con la Walewska, che già all'epoca era, per i soldati francesi, “la moglie polacca dell'imperatore”. E pazienza se il rapporto con Giuseppina viene messo al centro di tutto con tanto di inquadrature vagamente pornografiche: Scott, uomo del mestiere, sa che non poteva vendere al pubblico un film fatto solo di guerra e politica. Gli si perdona anche aver spiegato il ritorno dall'Egitto come reazione di un marito geloso alla notizia degli adulteri della moglie: effettivamente le relazioni extraconiugali dei due resero a volte teso il clima nel talamo, ma è vero, come nel film si fa capire, che c'era un legame profondo fra i due. Al divorzio si arrivò solo dopo molti anni e dopo l'assunzione della realtà che senza un erede il nuovo regime sarebbe stato condannato alla caduta immediatamente dopo la morte di Napoleone, e ciononostante anche dopo la separazione l'imperatore dimostrò un attaccamento singolare verso l'ex-moglie: non so se, come nel film, andasse a trovarla regolarmente, ma è verissimo che la mise in uno stato tale da non aver più bisogni materiali per il resto dei suoi giorni. Le rimase la loro prima casa, quella Malmaison che è tutt'ora uno dei più importanti musei sulla loro epoca, e le diede denaro in continuazione, per tamponare quei debiti che le spese folli di Giuseppina creavano come dal nulla. Alla fine, lei ricevette da lui oltre trenta milioni, cifra folle per l'epoca, e riuscì comunque a morire senza un soldo. È poi molto romantica l'idea che Napoleone sia tornato dall'Elba in un secondo accesso di gelosia, leggendo sui giornali insinuazioni sulle presunte infedeltà di Giuseppina con lo zar Alessandro, ma è anche impossibile. Perché se è vero, come ho scoperto grazie al film, che dopo la prima abdicazione i sovrani alleati che occupavano Parigi fossero andati a trovare l'ex-moglie dell'imperatore, è inverosimile che lei si sia messa a flirtare con tutti, e per di più, all'epoca del ritorno di Napoleone dall'Elba, se non altro, lei era morta da quasi un anno. Così, quella che a mio parere rimane l'impresa più bella della sua vita, lui l'ha intrapresa spinto da ben altri motivi.
Tanti poi sono i “buchi”, ma non è davvero il caso di farne una colpa al regista: come detto, che siano due ore e mezza o quattro, è inevitabile non poter dar conto di tutto, e se da un'inquadratura e l'altra passano anche tre, cinque anni, si perdona per esigenze narrative.
Ma c'è dell'altro per cui il film merita di non essere affossato dalla critica. Ed è che, come dicevo, poteva andare molto peggio.
In che senso?
Tocca fare un bel passo indietro.
Quando la guerra senza quartiere contro la Francia e il suo imperatore infuriava, la Gran Bretagna mise in piedi anche tutto il suo apparato di guerra culturale (psicologica, diremmo oggi), per demonizzare il nemico. In un profluvio cartaceo senza fine emerse, da caricature, romanzi, rime, resoconti più o meno verosimili, un'immagine di Napoleone magari poco realistica, ma che penetrò profondamente nella psiche collettiva di tutti i popoli anglosassoni. Un nanerottolo tirannico, soggetto a crisi isteriche e ridicolmente pieno di sé fu l'immagine che ben oltre Waterloo, e ancora nella cultura popolare del XX secolo, rimase di Napoleone così come concepita durante la sua vita e poi riconfermata in epoca vittoriana, una classica operazione propagandistica tanto ben riuscita che mi è capitato, negli anni, parlando con degli inglesi, vedermela riproposta come se niente fosse. E pazienza se il vero Bonaparte non era affatto basso, sapeva benissimo come affascinare gli uomini e perdeva le staffe in pubblico in poche occasioni: fu questa l'immagine che i vincitori cercarono di sdoganare anche sul continente. Ma qui è cascato l'asino. Perché nel XIX secolo, dall'altra parte, c'era la Francia, che oltre ad essere una delle principali potenze dell'epoca, era anche il centro culturale di tutta Europa, la cui lingua era ancora quella dell'alta società e della diplomazia, insegnata nelle scuole e diffusa ovunque tramite la propria altissima produzione letteraria. E in Francia rimase vivo a lungo il culto di Napoleone, grazie anche ad una ricca serie di fonti di prima mano sull'uomo e la sua opera, tutte cose che aiutarono a darne una rappresentazione positiva, di lui e della sua epoca, tramite romanzi, versi, dipinti, opere teatrali, persino musica, e un'infinità di saggi storici e biografie. L'immagine di Bonaparte come eroe, condottiero, statista e grand'uomo fu difesa e persino esportata, con molto successo in Italia (dove lo si considerava, e non a torto, italiano), e persino in territorio “nemico”, come in Germania (dove Heinrich Heine gli dedicò il Buch Legrand) e Russia: ricorderò sempre, a Irkutsk, nel cuore della Siberia orientale, un busto di Napoleone nella casa-museo di un decabrista. Questo, esiliato dopo aver preso parte all'insurrezione del dicembre 1825 (da cui il nome), pur avendo combattuto contro i francesi, continuò a nutrire per il loro sovrano un'ammirazione che lo accompagnò per tutta la vita. Così, con tutta questa potenza di fuoco a contrastare la narrativa anglosassone, l'immagine negativa di Napoleone fallì nell'imporsi al mondo non-anglosassone. Sino a che, col XX secolo, dominato dal cinema e dalla cultura e sottocultura dell'audiovisivo e del fumetto made in USA, non tornò prepotente la deformazione della verità storica a favore del progetto generale di un mondo in cui i nemici dei paesi anglosassoni non possono che essere brutti, cattivi, e criminali. E magari anche malati di mente e ridicoli. La caricatura di Napoleone è lentamente tornata in auge, anche se ormai nuovi nemici (tedeschi, russi, arabi) occupano quasi tutto l'obbiettivo dell'industria della propaganda hollywoodiana e non solo. Persino nell'altrimenti accurato “Waterloo” del 1970 l'imperatore è rappresentato in maniera decisamente antipatica. E aggiungiamoci che nel cinema anglosassone rimane invincibile la tentazione di ridicolizzare tutto ciò che è francese, eredità della lunga contrapposizione Francia-Inghilterra risalente al Medioevo e nonostante oltre un secolo di alleanza e due guerre mondiali combattute insieme. Per questo dico che poteva andare decisamente peggio: un regista mainstream come Ridley Scott, attento alle esigenze di cassa e con pochi scrupoli di precisione storica, poteva benissimo conformarsi a ciò che il suo pubblico si aspettava e dare l'ennesima prova di arroganza, uno sfregio da molti milioni di dollari degno di qualche nomination all'Oscar. E invece ci ha regalato un Napoleone che conserva la sua dignità, non privo di difetti ma senza eccessi caricaturali, forse un po' troppo serioso nell'interpretazione del pur bravo Joaquim Phoenix, ma di sicuro capace di conquistarsi il giusto grado di ammirazione per un carattere di statura sovrumana come il suo.
Che, visti i tempi, è grasso che cola.