Se non altro adesso so che i vertici di Hamas leggono i miei articoli. Altrimenti perché scatenare, con tanto tempismo, una guerra che riportasse la questione palestinese alle prime pagine proprio qualche giorno dopo che io ne avevo denunciato la scomparsa?
Battute a parte, quello che sta accadendo è interessante a livello geopolitico a prescindere dal livello emotivo con cui in genere se ne parla (e se ne è sempre parlato). Nonostante abbia amici di lunga data in Israele, se volessi dire la mia sull'ennesimo diluvio di fuoco in corso, sarebbe quanto segue (e che, in gran parte, è quello che chiunque saprebbe usando appena un po' di buonsenso.
Seicento morti, oltre cento ostaggi, millecinquecento feriti e settecentocinquanta dispersi, che andranno ad aggiungersi quasi sicuramente al novero dei morti o dei prigionieri. L'Iron Dome utile come la contraerea ucraina. La frontiera attraversata da colonne di guerriglieri armati come coltello nel burro. Cittadine importanti come Sderot raggiunte da milizie nemiche per via di terra e ancora non del tutto riprese da Tzahal dopo trentasei ore di scontri. Questo primo bilancio materiale, per Israele rappresenta una vera e propria battaglia campale, la più pesante di tutto il secolo di violenze e guerre del conflitto arabo-israeliano, ed ha già il volto amaro di una sconfitta. Perché se ne possono dire tante, ma non che Israele emerga come avente una superiorità netta sui propri avversari, cosa che si era sforzata di fare con ogni mezzo per decenni, spesso con successo.
Intanto c'è il fallimento dell'intelligence, e non del solo Mossad, come la totalità del giornalismo occidentale cerca di accreditare come responsabile, ma di almeno tre. Perché dall'inizio della cosiddetta “guerra al terrorismo”, ossia dal 2001 (come minimo), i servizi segreti di USA e Gran Bretagna collaborano in maniera totale con Israele scambiandosi informazioni e dandosi supporto senza alcuna barriera. Così, a fare la figura degli idioti, che si son fatti passare sotto al naso senza accorgersi di nulla mesi e mesi di prepativi di un'offensiva su larga scala per cielo e terra (e persino in mare, con sbarchi di commando dietro alle linee israeliane), sono stati Mossad, Cia e MI5, ossia i celebrati servizi segreti migliori al mondo. Fra l'altro i servizi inglesi sono quelli che i nostri giornalisti di regime citano pedissequamente ogni giorno, per informarci sulle disfatte russe in Ucraina. Immaginiamoci adesso con quanto credito. Un risultato del genere fa pensare che ormai costoro lavorino non meglio dei servizi italiani, ridotti a recuperare informazioni di seconda e terza mano da un ufficio senza alcuna presenza sul campo o la conoscenza diretta della lingua e delle dinamiche sul territorio che dovrebbero tenere sotto controllo.
Un altro punto che merita molta, ma davvero molta considerazione, è il ruolo dell'Iran, ormai ammesso anche ufficialmente. Scommetto che molti avranno dimenticato il raid effettuato su territorio iraniano a fine gennaio scorso. Un vero e proprio atto di guerra, un bombardamento fatto coi droni ad una fabbrica di armi, su cui la firma israeliana era chiarissima. Se qualcuno pensava che la vendetta (o meglio, la risposta) iraniana si sarebbe limitata a qualche proclama infiammato e a due o tre esaltati che si fanno esplodere in un autobus per reclamare le settantadue vergini in paradiso, è servito. Un paese come l'Iran è un fattore di forza nello scacchiere mediorientale col quale non si può scherzare. Per decenni hanno dovuto giocare sulla difensiva, complice un relativo isolamento imposto con le minacce dal Dipartimento di Stato. Ma negli ultimi anni tutto è cambiato: dichiarando guerra alla Russia e tornando a contrapporsi alla Cina, gli USA hanno trascurato la nascita di un asse di Paesi pronti a sfidarne l'egemonia. L'Iran ha trovato amici e alleati. E oggi, complice anche il buco nero ucraino, che ha inghiottito armi, denaro e soprattutto l'attenzione degli atlantisti altrove, ha ricucito con l'Arabia Saudita e ha rafforzato la sua influenza fra i nemici di Israele. Perché come è noto Iran e Israele, per motivi ideologici e religiosi, oltre che di obbiettivi strategici, sono avversari irriconciliabili, e lo stesso Netanyahu non ha mai nascosto i suoi progetti di un conflitto su larga scala per annichilire la forza militare iraniana, cosa che significherebbe una guerra indiretta (forse) fra l'Occidente e il blocco russo-cinese (non proprio una bella pensata per uno intelligente come Bibi, ammettiamolo). Per mesi Teheran ha preparato una risposta, e questa è stata devastante. Che poi il costo lo stiano pagando i palestinesi ha poca importanza: chi prende le decisioni non ragiona in termini di lutti e dolori individuali.
I palestinesi, poi. Il fatto che gli inviati di tutto il mondo stiano là a raccontarci di come piovono le bombe non costituisce motivo per modificare quanto detto nel mio ultimo articolo: la questione che li riguarda è lontana più che mai da una soluzione. La loro situazione è la stessa, e non è risolvibile solo a livello territoriale, o demografico, o militare. Al punto in cui siamo non avrebbe senso né possibilità materiale un progetto di divisione del territorio: troppi sono gli insediamenti ebraici a contatto con quelli arabi, e togliere terra agli uni per favorire gli altri scatenerebbe reazioni che le classi dirigenti delle due parti troverebbero peggio di un conflitto. Per non parlare di Gaza, che anche abbandonata a sé stessa resta, come è, una polveriera di miseria buona solo per fare da serbatoio di arruolamento di fanatici suicidi. I territori arabi non hanno le risorse e le infrastrutture per poter costituire uno Stato che si regga in piedi. Poi c'è la questione demografica, che data la forte natalità degli arabi fa sentire gli ebrei sotto la minaccia del superamento e dell'inferiorità numerica. Questo è uno dei motivi per cui non ha alcuna chance l'idea di un solo Stato, ma non il solo. C'è che Israele è nato ed esiste come “Stato ebraico”, ossia lo Stato degli Ebrei, e quindi ha come primo obbiettivo quello di raccogliere una popolazione compattamente ebraica: integrare qualcosa come cinque o sei milioni di arabi sarebbe la fine di quel progetto, che nessuno ha intenzione di abbandonare. Ma neppure a livello militare c'è alcuna possibilità di risoluzione: Israele avrà l'atomica ma non può controllare un territorio abitato da milioni di persone che ne detestano l'autorità. Né i palestinesi possono sperare mai di poter prevalere con la sola forza.
Quello che però si è aggiunto di recente a questo quadro è il peso maggiore che fattori esterni hanno avuto. La Russia, che di per sé non avrebbe alcun motivo per avversare Israele, ma anzi, può contare su una maggioranza di popolazione ebraica di origine sovietica che guarda ancora con simpatia alle proprie radici, si è trovata Israele di traverso ogniqualvolta è intervenuta in Medio Oriente per rispondere alle mosse dell'avversario americano: in Siria, in Iran, in Armenia persino. La Cina, che non ha interesse ad un conflitto nell'area da cui gli arriva buona parte del petrolio di cui ha bisogno, è di nuovo ai ferri corti con Washington per Taiwan, e Israele è legata agli USA a doppio filo, quindi deve iscriverlo alla lista degli avversari. La Turchia, poi, già da molti anni, con Erdogan, si è riposizionata nella politica internazionale ed è passata da solido alleato a sponsor dei nemici di Israele. Così si è creata una tempesta perfetta in cui si è scatenata l'operazione militare di Hamas, che, comunque vada a finire, è già stata un successo strepitoso. Come durante la guerra dello Yom Kippur, infatti, ha preso totalmente di sorpresa il nemico, sfruttando anche la chiusura generale che avviene durante lo Shabbat. Che poi la risposta israeliana abbia già fatto centinaia di morti non ha alcun peso sulla bilancia del conflitto: Hamas e tutti i palestinesi hanno sempre condotto una guerra soprattutto di propaganda e di immagini, in cui ogni morto israeliano vale più dei propri, e persino questi vanno a loro vantaggio quando vittime civili. Per questo stavolta hanno filmato accuratamente ogni fase delle operazioni, diffondendole: il mondo ha così visto come forze di polizia, soldati e civili ben dentro il territorio di Israele siano stati uccisi o catturati da quelli che venivano considerati poco più che dei delinquenti di strada. L'immagine della madre che copre col proprio corpo la figlia, mentre vengono portate verso la prigionia, segnerà profondamente la psiche della popolazione ebraica, che andrà col pensiero ad altre deportazioni del passato.
In definitiva, quello che bisogna rimarcare è come il mondo sia cambiato, e questo cambiamento è arrivato anche nel conflitto israelo-palestinese. Probabilmente non lo accorcerà, ma di sicuro lo sta rendendo più feroce e pericoloso. Anzi, lo ha già fatto.
Battute a parte, quello che sta accadendo è interessante a livello geopolitico a prescindere dal livello emotivo con cui in genere se ne parla (e se ne è sempre parlato). Nonostante abbia amici di lunga data in Israele, se volessi dire la mia sull'ennesimo diluvio di fuoco in corso, sarebbe quanto segue (e che, in gran parte, è quello che chiunque saprebbe usando appena un po' di buonsenso.
Seicento morti, oltre cento ostaggi, millecinquecento feriti e settecentocinquanta dispersi, che andranno ad aggiungersi quasi sicuramente al novero dei morti o dei prigionieri. L'Iron Dome utile come la contraerea ucraina. La frontiera attraversata da colonne di guerriglieri armati come coltello nel burro. Cittadine importanti come Sderot raggiunte da milizie nemiche per via di terra e ancora non del tutto riprese da Tzahal dopo trentasei ore di scontri. Questo primo bilancio materiale, per Israele rappresenta una vera e propria battaglia campale, la più pesante di tutto il secolo di violenze e guerre del conflitto arabo-israeliano, ed ha già il volto amaro di una sconfitta. Perché se ne possono dire tante, ma non che Israele emerga come avente una superiorità netta sui propri avversari, cosa che si era sforzata di fare con ogni mezzo per decenni, spesso con successo.
Intanto c'è il fallimento dell'intelligence, e non del solo Mossad, come la totalità del giornalismo occidentale cerca di accreditare come responsabile, ma di almeno tre. Perché dall'inizio della cosiddetta “guerra al terrorismo”, ossia dal 2001 (come minimo), i servizi segreti di USA e Gran Bretagna collaborano in maniera totale con Israele scambiandosi informazioni e dandosi supporto senza alcuna barriera. Così, a fare la figura degli idioti, che si son fatti passare sotto al naso senza accorgersi di nulla mesi e mesi di prepativi di un'offensiva su larga scala per cielo e terra (e persino in mare, con sbarchi di commando dietro alle linee israeliane), sono stati Mossad, Cia e MI5, ossia i celebrati servizi segreti migliori al mondo. Fra l'altro i servizi inglesi sono quelli che i nostri giornalisti di regime citano pedissequamente ogni giorno, per informarci sulle disfatte russe in Ucraina. Immaginiamoci adesso con quanto credito. Un risultato del genere fa pensare che ormai costoro lavorino non meglio dei servizi italiani, ridotti a recuperare informazioni di seconda e terza mano da un ufficio senza alcuna presenza sul campo o la conoscenza diretta della lingua e delle dinamiche sul territorio che dovrebbero tenere sotto controllo.
Un altro punto che merita molta, ma davvero molta considerazione, è il ruolo dell'Iran, ormai ammesso anche ufficialmente. Scommetto che molti avranno dimenticato il raid effettuato su territorio iraniano a fine gennaio scorso. Un vero e proprio atto di guerra, un bombardamento fatto coi droni ad una fabbrica di armi, su cui la firma israeliana era chiarissima. Se qualcuno pensava che la vendetta (o meglio, la risposta) iraniana si sarebbe limitata a qualche proclama infiammato e a due o tre esaltati che si fanno esplodere in un autobus per reclamare le settantadue vergini in paradiso, è servito. Un paese come l'Iran è un fattore di forza nello scacchiere mediorientale col quale non si può scherzare. Per decenni hanno dovuto giocare sulla difensiva, complice un relativo isolamento imposto con le minacce dal Dipartimento di Stato. Ma negli ultimi anni tutto è cambiato: dichiarando guerra alla Russia e tornando a contrapporsi alla Cina, gli USA hanno trascurato la nascita di un asse di Paesi pronti a sfidarne l'egemonia. L'Iran ha trovato amici e alleati. E oggi, complice anche il buco nero ucraino, che ha inghiottito armi, denaro e soprattutto l'attenzione degli atlantisti altrove, ha ricucito con l'Arabia Saudita e ha rafforzato la sua influenza fra i nemici di Israele. Perché come è noto Iran e Israele, per motivi ideologici e religiosi, oltre che di obbiettivi strategici, sono avversari irriconciliabili, e lo stesso Netanyahu non ha mai nascosto i suoi progetti di un conflitto su larga scala per annichilire la forza militare iraniana, cosa che significherebbe una guerra indiretta (forse) fra l'Occidente e il blocco russo-cinese (non proprio una bella pensata per uno intelligente come Bibi, ammettiamolo). Per mesi Teheran ha preparato una risposta, e questa è stata devastante. Che poi il costo lo stiano pagando i palestinesi ha poca importanza: chi prende le decisioni non ragiona in termini di lutti e dolori individuali.
I palestinesi, poi. Il fatto che gli inviati di tutto il mondo stiano là a raccontarci di come piovono le bombe non costituisce motivo per modificare quanto detto nel mio ultimo articolo: la questione che li riguarda è lontana più che mai da una soluzione. La loro situazione è la stessa, e non è risolvibile solo a livello territoriale, o demografico, o militare. Al punto in cui siamo non avrebbe senso né possibilità materiale un progetto di divisione del territorio: troppi sono gli insediamenti ebraici a contatto con quelli arabi, e togliere terra agli uni per favorire gli altri scatenerebbe reazioni che le classi dirigenti delle due parti troverebbero peggio di un conflitto. Per non parlare di Gaza, che anche abbandonata a sé stessa resta, come è, una polveriera di miseria buona solo per fare da serbatoio di arruolamento di fanatici suicidi. I territori arabi non hanno le risorse e le infrastrutture per poter costituire uno Stato che si regga in piedi. Poi c'è la questione demografica, che data la forte natalità degli arabi fa sentire gli ebrei sotto la minaccia del superamento e dell'inferiorità numerica. Questo è uno dei motivi per cui non ha alcuna chance l'idea di un solo Stato, ma non il solo. C'è che Israele è nato ed esiste come “Stato ebraico”, ossia lo Stato degli Ebrei, e quindi ha come primo obbiettivo quello di raccogliere una popolazione compattamente ebraica: integrare qualcosa come cinque o sei milioni di arabi sarebbe la fine di quel progetto, che nessuno ha intenzione di abbandonare. Ma neppure a livello militare c'è alcuna possibilità di risoluzione: Israele avrà l'atomica ma non può controllare un territorio abitato da milioni di persone che ne detestano l'autorità. Né i palestinesi possono sperare mai di poter prevalere con la sola forza.
Quello che però si è aggiunto di recente a questo quadro è il peso maggiore che fattori esterni hanno avuto. La Russia, che di per sé non avrebbe alcun motivo per avversare Israele, ma anzi, può contare su una maggioranza di popolazione ebraica di origine sovietica che guarda ancora con simpatia alle proprie radici, si è trovata Israele di traverso ogniqualvolta è intervenuta in Medio Oriente per rispondere alle mosse dell'avversario americano: in Siria, in Iran, in Armenia persino. La Cina, che non ha interesse ad un conflitto nell'area da cui gli arriva buona parte del petrolio di cui ha bisogno, è di nuovo ai ferri corti con Washington per Taiwan, e Israele è legata agli USA a doppio filo, quindi deve iscriverlo alla lista degli avversari. La Turchia, poi, già da molti anni, con Erdogan, si è riposizionata nella politica internazionale ed è passata da solido alleato a sponsor dei nemici di Israele. Così si è creata una tempesta perfetta in cui si è scatenata l'operazione militare di Hamas, che, comunque vada a finire, è già stata un successo strepitoso. Come durante la guerra dello Yom Kippur, infatti, ha preso totalmente di sorpresa il nemico, sfruttando anche la chiusura generale che avviene durante lo Shabbat. Che poi la risposta israeliana abbia già fatto centinaia di morti non ha alcun peso sulla bilancia del conflitto: Hamas e tutti i palestinesi hanno sempre condotto una guerra soprattutto di propaganda e di immagini, in cui ogni morto israeliano vale più dei propri, e persino questi vanno a loro vantaggio quando vittime civili. Per questo stavolta hanno filmato accuratamente ogni fase delle operazioni, diffondendole: il mondo ha così visto come forze di polizia, soldati e civili ben dentro il territorio di Israele siano stati uccisi o catturati da quelli che venivano considerati poco più che dei delinquenti di strada. L'immagine della madre che copre col proprio corpo la figlia, mentre vengono portate verso la prigionia, segnerà profondamente la psiche della popolazione ebraica, che andrà col pensiero ad altre deportazioni del passato.
In definitiva, quello che bisogna rimarcare è come il mondo sia cambiato, e questo cambiamento è arrivato anche nel conflitto israelo-palestinese. Probabilmente non lo accorcerà, ma di sicuro lo sta rendendo più feroce e pericoloso. Anzi, lo ha già fatto.
P.S: Sarebbe bene che qualcuno ora pensasse a cosa accadrebbe qui, a casa nostra, con tutto quello che stiamo facendo entrare senza alcun controllo dall'Africa e dal Medio Oriente. So che non accadrà, tanto, poverini, "fuggono dalla guerra". Ma i più acuti già sanno che la guerra non se la lasciano alle spalle, ma ce la portano in casa.