Nel 1921, ossia quando il partito NSDAP era un gruppuscolo su cui nessuno avrebbe puntato e Hitler un illustre sconosciuto, nella storia del movimento nazionalsocialista si affermò un principio che ne sarebbe stato il caposaldo sino alla fine, e che nessuno avrebbe messo in discussione neppure nel bunker della Cancelleria di Berlino circondata dall'Armata Rossa: quello che veniva deciso dal leader avrebbe avuto forza di legge, ma una legge più assoluta, e più valida, di qualsiasi legge scritta. La cosa, che sino a quando il NSDAP raccoglieva poco più voti di +Europa, aveva ben poche conseguenze visibili all'esterno, ne avrebbe avute di ben altre quando il suo leader avrebbe deciso con la sua semplice parola per la Germania e per l'Europa continentale. Il fatto è che quando un intero sistema politico si lascia prendere da un delirio di onnipotenza e si crede incarnare la Verità assoluta, sia essa in forma di destino, forze strutturali della Storia, o libertà e democrazia da esportare ovunque e a chiunque, la catastrofe è dietro l'angolo. E non dovrebbe essere così difficile da comprendere: quando mancano tutti i freni inibitori e il criterio decisionale dato dalla valutazione obbiettiva dei risultati e i reali costi delle proprie decisioni, manca la possibilità di raddrizzare la rotta. Inevitabile che sistemi così strutturati finiscano a infrangersi sugli scogli, indipendentemente dalla forza materiale o dal talento tattico dei propri leader: prima o poi si trova sempre lo scoglio abbastanza grosso su cui rompersi definitivamente la testa. È successo alla Germania e ai suoi alleati, è successo all'URSS, ma era successo anche a Napoleone e succederà sempre, ancora e ancora. Non importa se stavolta il Führerprinzip è quello che pone le decisioni degli USA sopra ogni cosa: nessuno è invulnerabile, e Dio acceca chi vuol perdere. E per quanto sembri strano, la cecità e l'ottusità di intere classi dirigenti è spesso più impenetrabile di quella di singoli individui, senza poter chiamare la malattia mentale o l'inganno dell'entourage a scusante. Naturalmente, ci sono sempre quelli che colgono i segni della catastrofe.
Si racconta che un gentiluomo russo, in villeggiatura in Costa Azzurra nei primi anni del XX secolo, assistesse ad una scena piuttosto triviale in non so più quale porto dove aveva attraccato una nave del suo paese: elementi della ciurma, scesi a terra, avevano trattato con grande insolenza i propri stessi ufficiali. Quel gentiluomo, memore (disse lui stesso) di un passo dello storico greco Tucidide, tornato in patria si affrettò a vendere tutte le sue proprietà immobili, dopodiché si trasferì, con tutta la liquidità e la famiglia, all'estero, non so più se proprio in Francia o in Inghilterra. L'evento aveva risvegliato in lui il ricordo dell'analisi che lo storico aveva fatto ventiquattro secoli prima, e che prevedeva, per un popolo in cui le classi subalterne avessero perso ogni rispetto per l'autorità e i suoi rappresentanti, grossi sconvolgimenti in arrivo. Una dozzina d'anni dopo scoppiava la Rivoluzione d'Ottobre, e tutti quegli aristocratici che non avevano fatto come lui finirono in qualche fossa comune.
Oggi assistiamo ad uno spettacolo molto simile in entrambi i casi. Da una parte chiunque osi, pubblicamente, sollevare dubbi o sostenere versioni anche solo tendenzialmente difformi da quelle imposte tramite qualunque mezzo di comunicazione sui temi con cui il pubblico è quotidianamente martellato, volta per volta Covid, immigrazione, Russia, famiglia, sessualità, viene aggredito, ridicolizzato, tacciato di negazionismo (che richiama il “deviazionismo” della storia sovietica), e, ultimamente, perseguitato sino a che non lo si faccia abiurare e comunque allontanare dal posto di lavoro o dall'incarico pubblico che ricopre, specie se personaggio con un minimo di notorietà. In questo i capibanda di qualche formazione politica e i loro scagnozzi responsabili della disinformazione a mezzo stampa fanno a gara a richiedere teste e flagellazioni esemplari.
Dall'altra, l'arroganza e la furia con cui costoro ormai si scagliano, con automatismo pavloviano, non solo contro chiunque sgarri, ma persino contro chi sembra anche solo averlo fatto, è ormai fuori da ogni ricostruzione razionale. Il caso del generale Vannacci è esemplare. Al di là della persona di Vannacci, su cui ho visto accanirsi una vastissima platea, non solo progressista, ma persino di soggetti di area opposta, in una gara a chi si sforzava di più a vedere il dito e non la Luna, ho trovato un segnale d'allarme forte quanto una sirena dei pompieri vedere le classi dirigenti di un regime che ha divorziato dalla società da anni, e il cui scollamento con la realtà sta diventando totale, poco tempo dopo aver dato alla stessa società due colpi che preannunciano miseria e malcontento come l'abolizione del bonus edilizio e del reddito di cittadinanza, andare ad accanirsi contro un alto papavero dell'esercito, come a voler dileggiare l'unica istituzione armata del Paese che ne garantisce ancora l'esercizio del potere (o almeno l'occupazione delle sue sedi e il godimenti dei privilegi). Anche un idiota, e forse persino un euroburocrate, capirebbe che non è saggio prendere a calci per motivi ideologici quelli che dovrebbero sparare sulla folla il giorno che questa dovesse incazzarsi e volere la tua pelle. Ma quando a non rendersi conto della china presa sono gli stessi che ormai basano tutta la loro esistenza sulla mera sopportazione di una popolazione sottomessa e tenuta a bada solo dalla bruta forza dell'autorità, allora il livello di dissociazione dalla realtà e di scollamento dal sentire comune è giunto ad un livello irreversibile, oltre che totale.
Un sistema così ridotto non può, per forza di cose, durare. Naturalmente l'inerzia, che è un collante fra gli altri, potrà tenerlo insieme per ancora cinque, forse dieci anni, in assenza di scossoni. Noi però siamo sottoposti a shock continui, dal peso materiale e psicologico della marea montante di immigrati da mantenere sino agli scompensi causati dalle guerre in cui ci trascinano i padroni euroatlantici, e questo accelererà il momento in cui i nodi al pettine saranno troppi. Un momento in cui la sola inerzia non basterà a mantenere insieme una società che ha smesso di essere tale e vive di vaghe speranze ed elemosine elettorali.
Non resta che attendere.