Sono bastate poche parole del ministro Lollobrigida per scatenare l'esercito di indignati che campano di severi moniti e allarmi-fascismo, e stavolta con strilli di un tono sopra la media (già alta) che gli è usuale. Tutta la compagnia circense del progressismo in carriera ha affilato le lingue e ripreso a vedere squadristi sotto al letto, e le immancabili vestali della Memoria, gente che nella vita fa il sopravvissuto all'Olocausto, si è svegliata dal letargo in cui giace passata la ricorrenza del 27 gennaio gridando, come la sempreverde Edith Bruck, “Il nazismo è tornato” (giuro che lo ha fatto davvero). Con l'effetto poi di ingenerare false speranze: alcuni dei miei amici più estremisti le hanno creduto, mandando subito le camice brune in tintoria.

E il problema stavolta qual'è stato? L'arresto poco gentile di spacciatori nordafricani? La privacy violata di borseggiatrici zingare filmate all'opera in metro? No, è bastato che Lollobrigida dicesse “Sostituzione etnica” che l'esercito della carta igienica stampata desse fiato alle trombe per gettare liquami sull'uomo colpevole già solo per il fatto di aver pronunciato le due parole. Come mai?

Negli ambienti che frequento, assai più liberali di quelli progressisti in cui si indice una jihad per ogni parola fuori posto, la Sostituzione Etnica indica un processo di annacquamento etnico-razziale effettuato con l'afflusso costante o in aumento di immigrati di altro ceppo, al fine di ridurre la popolazione autoctona a minoranza sotto schiaffo o a massa meticciata ormai senza più identità e quindi maggiormente propensa a farsi manipolare. Un procedimento quindi non casuale, ma operato dalle stesse elite transnazionali al fine di perpetuare il proprio potere politico ed economico. Che tale progetto esista non è incontrovertibile, ma che la procedura non assomigli a quello che abbiano sotto al naso ogni giorno è, secondo me, assai più chiaro, onde per cui mi trovo d'accordo con chi ne voglia discutere.

Ebbene, siccome ritengo di essere anche qui fra persone civili, ragioniamoci sopra. Siamo meno di 60 milioni di italiani. Di questi, oltre 6 sono definibili come “immigrati”. La stragrande maggioranza arriva da Paesi in cui la natalità è estremamente elevata, come Africa subsahariana, Medio Oriente, Asia meridionale, America Latina. Certo non tutti sono fertili, abbiamo bambini e vecchi e omosessuali, ma per varie ragioni le tre categorie sono particolarmente sottorappresentate, soprattutto se paragonate agli autoctoni. Questi ultimi, infatti, hanno praticamente smesso di figliare, grazie alle mirabili politiche economiche e sociali degli ultimi decenni, che hanno reso il lavoro stabile e ben retribuito una sorta di privilegio mentre quello ancora accessibile è stagionale, precario e umiliante, oltre che a retribuzione da fame e che non permetterebbe a nessuno o quasi di poter progettare, men che meno desiderare un futuro che comprenda una famiglia e numerosa prole. I nuovi arrivati, invece, sono quasi tutti giovani e fertili, e abituati a sfornare cinque, sei figli senza preoccuparsi di come mantenerli: dalle loro parti si vive con niente, anzi, sono i figli a lavorare per mantenere i genitori, e per giunta la maggior parte muore prima di arrivare all'età adulta, quindi conviene sfornarne tanti. Solo che una volta qui, grazie alle migliori condizioni igieniche, al SSN e ad altri mezzi di sostegno pubblico, alla maggiore età ci arrivano tutti o quasi. E se i sei milioni fanno circa tre milioni di coppie, nel giro di una generazione abbiamo qualcosa come diciotto milioni di “nuovi italiani” (fatta la tara anche ai morti) senza una goccia di sangue italiano nelle vene. Nel frattempo, gli italiani che erano già lì, e figli di altri italiani da generazione in generazione, è tanto se hanno mantenuto stabile il loro numero, e quindi saranno sempre i cinquantaquattro milioni di prima. Un'altra generazione, e i diciotto milioni di allogeni saranno diventati una trentina di milioni, a fronte dei sempre cinquantaquattro di “locali”. Questo a numeri fermi. Perché andrebbe considerato anche l'afflusso di “truppe fresche” dell'immigrazione illegale che arrivano giorno dopo giorno, e il cui ritmo pare esploso negli ultimi mesi. E come se non bastasse, la presenza di allogeni è mascherata dalla cittadinanza, dato che, nelle statistiche ufficiali, un nigeriano etnico con cittadinanza italiana non è considerato nella categoria “immigrati”, ma contribuisce comunque ad annacquare la base etnica italica. È anche per questo che, ufficialmente, il nostro numero di immigrati è così vicino a quello di paesi come la Francia o la Gran Bretagna in cui, anche ad uno sguardo superficiale, la componente extraeuropea della popolazione è molto più alta che in Italia.

Messa così, la questione non è più se la Sostituzione Etnica esista, ma quando sarà irreversibile. E totale. Avete notato che in Gran Bretagna il Primo Ministro è indiano,il sindaco di Londra pakistano, così come il primo ministro scozzese (e leader del partito nazionalista, a riprova di come anche le parole abbiano perso di ogni significato nella società globalizzata), mentre nella stessa capitale gli abitanti con discendenza britannica siano la minoranza? Ecco, questa è Sostituzione Etnica.

Secondo punto. Negli anni, ho avuto modo di conoscere i discorsi anche privati dei progressisti, i tipici elettori PD e ItaliaViva, borghesi, professionisti ben inseriti e magari in odore di Massoneria. Sono sempre fervidi sostenitori di una società multirazziale, dei matrimoni misti, del rimescolamento etnico. Anche se un attimo prima ti urlavano che le razze non esistono dato che abbiamo tutto lo stesso DNA al 99 virgolaqualcosa percento. Poche idee ma confuse. Perché se è vera la storia del DNA (e resta da dimostrare che quel virgolaqualcosa non sia più importante del resto), è più vero ancora che il concetto di “razza” col DNA non ha niente a che fare, dato che esiste da millenni prima che si iniziasse a parlare di genetica, e quanto alle differenze, basterebbe guardare in faccia un giapponese, un lettone e un congolese per vederle, anche senza fagli il test del DNA. E quanto al meticciato, è la via più brutale per cancellare o adulterare irrimediabilmente il patrimonio genetico, linguistico e culturale di un mondo fatto di miriadi di gruppi etnici, linguistici e nazionali, fondendoli tutti in un nuovo tipo d'uomo di color marrone e che vive immerso nel pattume delle metropoli globalizzate. Ma non era la diversità la maggior ricchezza del genere umano? Come se non bastasse, tutti costoro, apologeti del Nuovo Ordine Mulatto Mondiale, erano e sono tutti sposati con gente delle loro parti, e quindi deprezzavano automaticamente le loro stesse scelte di vita. Borghesissimi e provinciali nel privato quanto globalisti e meticciatori (col culo degli altri, e scusate il francesismo) in piazza. Praticamente risulto più globalizzato io, che avendo nel sangue ceppi sardo, iberico, greco e persino ebraico, ho fatto dei figli con una che nel DNA si è ritrovata non solo sangue slavo orientale, ma anche balcanico, baltico e finnico. Ai nostri bambini risulta un DNA come gli Europei di calcio...

Tornando seri, è palese come alle classi dirigenti dei Paesi occidentali, così come ai produttori di propaganda che ci ammorbano giorno e notte dai megafoni della disinformazione, coi film, con la pubblicità e mille altri metodi subdoli di persuasione occulta, quello che noi chiamiamo “Sostituzione etnica” è non solo qualcosa di concretamente esistente, ma persino di desiderabile, un obbiettivo da raggiungere meglio prima che poi. E che però scatena reazioni rabbiose e commenti velenosi, da puro negazionismo, se viene riconosciuto come tale da chi non lo apprezza, e ne vede il risultato finale: la cancellazione delle identità locali e dei patrimoni etnici e culturali nazionali al fine di ottenere una società transnazionale fatta di individui sia razzialmente che culturalmente amorfi, incerti e malleabili, una sorta di Frankenstein costruiti in laboratorio con pezzi raccolti di qua e di là, senza un passato e perciò senza un futuro, che potranno essere decisi entrambi, come nei regimi dittatoriali più assoluti, da un comitato di esperti che modellerà, volta per volta, ciò che è consigliabile sapere e ciò che è preferibile desiderare.

Per il bene comune, ovviamente, che coinciderà con quello di chi comanda. Come fa dire Camus ai senatori romani del suo “Caligola”, “Andiamo a mangiare: e siccome Roma siamo noi, tutto l'impero ne uscirà più sazio”.
Non vi sentite tutti già più satolli?

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Friedrich von Tannenberg
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