Nel mezzo delle emergenze con cui le grancasse di regime ci riempiono le orecchie due fatti sono passati uno totalmente ignorato, l'altro appena citato come ordinaria amministrazione. E che invece avrebbero dovuto preoccupare chiunque abbia a cuore il futuro della società in cui viviamo. Il più ameno, per così dire, è il percorso dell'ex ministro degli Esteri Luigi di Maio (e fa già ridere pensare che abbia potuto esserlo) verso la nomina a rappresentante speciale dell'Unione Europea nel Golfo Persico. Non bastando la totale inettitudine e la mancanza di alcun merito personale mostrate al mondo durante il sin troppo lungo tempo passato a ridicolizzare l'Italia alla Farnesina (tutti ricordano benissimo la figuraccia fattagli fare da Lavrov, che lo trattò da imbucato alla mensa del Cremlino e mangiapane a ufo), ora questo individuo andrà ad esibirsi su di un palcoscenico diplomatico come il Golfo Persico, che dal punto di vista delle relazioni internazionali, fra la storica rivalità Iran-Arabia Saudita, le ingerenze USA, le manovre cinesi e la grave crisi proprio fra UE e Qatar dopo l'inchiesta (in via di insabbiamento da parte della magistratura belga) sulla corruzione all'Eurociarlamento, si presenta come un vero incubo diplomatico e richiederebbe la presenza di qualche vecchia volpe delle cancellerie occidentali, un discepolo di Kissinger con buoni agganci in loco e una profonda conoscenza delle dinamiche locali oltre a personalità e capacità dialettiche. Bruxelles ci manda un signor nessuno ignorante di tutto, incapace di distinguere un diplomatico da una pasta alla crema e con un curriculum fitto di fallimenti che non arriverebbe ad ispirare fiducia nemmeno in uno spettatore dei cinegiornali RAI. E perché? “Lo ha indicato Draghi”. Questa è la sconcertante risposta di Borrell, il cosiddetto “capo della diplomazia europea” (ammesso che una cosa del genere sia mai esistita), un lucertolone noto per espettorare tesi prive di ogni aggancio con la realtà ma fortemente cariche di furori ideologici, come quando accusò la Russia di essersi fatta da sola l'attentato al gasdotto Nord Stream, tesi che non ha modificato nemmeno dopo che persino i compari di Washington hanno ammesso essere totalmente campata in aria. Ebbene, Borrell, che teoricamente dovrebbe difendere la rispettabilità e la credibilità delle istituzioni europee che rappresenta, si nasconde dietro a Mario Quisling, uno che non è più investito di alcuna autorità, che non rappresenta nessuno e che non ha più voce in capitolo in niente, per nominare ad un posto di particolare delicatezza una figura che col suo solo nome è un insulto alla popolazione italiana che lo ha ripudiato col voto, e un danno di immagine enorme per la stessa UE che dovrebbe affidargli i propri interessi. E questo dopo che nello stesso Golfo, alla notizia della candidatura, voci autorevoli si siano pubblicamente chieste se a Bruxelles avessero voglia di scherzare.
In realtà non di scherzo si tratta, ma di semplici consorterie ignare di tutto ciò che non sia portare avanti un programma di destabilizzazione e omologazione sociale nell'interesse di qualche gruppo finanziario che se ne sbatte altamente dell'Europa e degli europei (non si vede forse da qualsiasi politica portata avanti dall'Unione?), e al cui interno vige lo strapotere di consorterie mafiose che premiano i sicari e i picciotti più affidabili con poltrone d'oro senza altri requisiti che quelli della fedeltà agli ordini ricevuti. Pensare che ci ammorbano da decenni con la retorica sul liberismo, sulla meritocrazia e sulle alte competenze da sviluppare e premiare per il futuro che ci aspetta...
Il secondo evento, probabilmente ancora più funesto, sia per gli effetti immediati che per i significati profondi, è stata la visita del ministro degli esteri tedesco, la signora Baerbock, in Cina, attorno al 20 aprile scorso. Naturalmente i media di regime non hanno dato alcuno spazio a ciò che in tale occasione è accaduto, ed il perché è presto detto.
La signora, a dimostrazione che la maggior partecipazione delle donne agli affari pubblici non è garanzia né di maggior utilità né di migliori relazioni umane, ha passato il tempo non a curare gli interessi della Repubblica Federale Tedesca con quello che, per il sesto anno consecutivo, è il suo primo partner commerciale, ma a rimbeccare i cinesi sulle violazioni dei diritti umani, criticandone i buoni rapporti con la Russia, e minacciando conseguenze nel caso la situazione con Taiwan dovesse aggravarsi. La reazione cinese è stata brutale: il suo omologo si è rifiutato di stringerle la mano e il presidente Xi ha annullato all'ultimo momento la riunione in cui avrebbe dovuto incontrarla. “La Cina non ha bisogno di lezioni condiscendenti” è stata la pietra tombale della visita della signora Baerbock, che se fosse rimasta a casa avrebbe prestato un'opera più utile al proprio Paese.
Oltre alle considerazioni più immediate, come il fatto che un Paese che noi tendiamo a considerare come un modello di efficienza e formalismo metta ai propri vertici qualcuno capace di fare strame persino dell'ABC della diplomazia, e riportando a casa una figura pessima e uno strappo che i suoi successori, se avranno più cervello, avranno il loro bel daffare a ricucire, è illuminante scoprire come la nuova classe dirigente europea (perché quello che fa la Germania o si fa in Germania ricade automaticamente su tutta l'Unione) è composta di esaltati come la Baerbock, gente che, invece di pensare a mantenere buoni rapporti con le nazioni che rappresentano i pesi massimi in ogni ambito globale, da quello militare a quello economico, e in cui i propri stessi Paesi hanno interessi enormi e un numero di concittadini direttamente interessati a che vi si intrattengano buoni rapporti, o perché ci vivono o perché vi hanno legato i propri patrimoni, non hanno altro obbiettivo che quello di tenere lezioni ispirate su principi morali (sentendosi automaticamente nella posizione di farle), impicciandosi di questioni geograficamente estranee al loro ambito e in cui non solo i propri governi non hanno alcun interesse ad intervenire, ma neppure alcun mezzo per influirvi, con il prevedibile risultato di fomentare attriti, produrre rotture e accelerare il riposizionamento di governi come quello cinese in alleanze globali contro gli interessi europei.
In realtà non di scherzo si tratta, ma di semplici consorterie ignare di tutto ciò che non sia portare avanti un programma di destabilizzazione e omologazione sociale nell'interesse di qualche gruppo finanziario che se ne sbatte altamente dell'Europa e degli europei (non si vede forse da qualsiasi politica portata avanti dall'Unione?), e al cui interno vige lo strapotere di consorterie mafiose che premiano i sicari e i picciotti più affidabili con poltrone d'oro senza altri requisiti che quelli della fedeltà agli ordini ricevuti. Pensare che ci ammorbano da decenni con la retorica sul liberismo, sulla meritocrazia e sulle alte competenze da sviluppare e premiare per il futuro che ci aspetta...
Il secondo evento, probabilmente ancora più funesto, sia per gli effetti immediati che per i significati profondi, è stata la visita del ministro degli esteri tedesco, la signora Baerbock, in Cina, attorno al 20 aprile scorso. Naturalmente i media di regime non hanno dato alcuno spazio a ciò che in tale occasione è accaduto, ed il perché è presto detto.
La signora, a dimostrazione che la maggior partecipazione delle donne agli affari pubblici non è garanzia né di maggior utilità né di migliori relazioni umane, ha passato il tempo non a curare gli interessi della Repubblica Federale Tedesca con quello che, per il sesto anno consecutivo, è il suo primo partner commerciale, ma a rimbeccare i cinesi sulle violazioni dei diritti umani, criticandone i buoni rapporti con la Russia, e minacciando conseguenze nel caso la situazione con Taiwan dovesse aggravarsi. La reazione cinese è stata brutale: il suo omologo si è rifiutato di stringerle la mano e il presidente Xi ha annullato all'ultimo momento la riunione in cui avrebbe dovuto incontrarla. “La Cina non ha bisogno di lezioni condiscendenti” è stata la pietra tombale della visita della signora Baerbock, che se fosse rimasta a casa avrebbe prestato un'opera più utile al proprio Paese.
Oltre alle considerazioni più immediate, come il fatto che un Paese che noi tendiamo a considerare come un modello di efficienza e formalismo metta ai propri vertici qualcuno capace di fare strame persino dell'ABC della diplomazia, e riportando a casa una figura pessima e uno strappo che i suoi successori, se avranno più cervello, avranno il loro bel daffare a ricucire, è illuminante scoprire come la nuova classe dirigente europea (perché quello che fa la Germania o si fa in Germania ricade automaticamente su tutta l'Unione) è composta di esaltati come la Baerbock, gente che, invece di pensare a mantenere buoni rapporti con le nazioni che rappresentano i pesi massimi in ogni ambito globale, da quello militare a quello economico, e in cui i propri stessi Paesi hanno interessi enormi e un numero di concittadini direttamente interessati a che vi si intrattengano buoni rapporti, o perché ci vivono o perché vi hanno legato i propri patrimoni, non hanno altro obbiettivo che quello di tenere lezioni ispirate su principi morali (sentendosi automaticamente nella posizione di farle), impicciandosi di questioni geograficamente estranee al loro ambito e in cui non solo i propri governi non hanno alcun interesse ad intervenire, ma neppure alcun mezzo per influirvi, con il prevedibile risultato di fomentare attriti, produrre rotture e accelerare il riposizionamento di governi come quello cinese in alleanze globali contro gli interessi europei.
Direi che se una simile politica fosse stata dettata dai nostri peggiori nemici non avrebbe potuto essere più dannosa per noi stessi. Ma probabilmente sbaglio ad usare il condizionale.