Nelle primissime pagine della “Scienza della Logica”, Hegel parla in maniera illuminante dei propri tempi come quelli del “singolare spettacolo di un popolo civile senza metafisica – simile ad un tempio riccamente adornato, ma privo di santuario”.
Il discorso è molto articolato, né ho qui le risorse intellettuali o lo spazio per produrre uno studio dettagliato, ma posso certo dire di essere rimasto molto colpito da questa descrizione, proprio nel momento in cui, per ragioni personali, mi trovavo a riflettere sul progressivo dissolversi di ogni sensibilità per il sovrannaturale e l'ultraterreno nella società contemporanea europeo-occidentale, in maniera molto più accentuata di quanto lo stesso filosofo tedesco avesse potuto osservare al suo tempo.
Ho perso da poco tempo due amici, e la loro scomparsa mi ha rimesso di fronte ad uno dei massimi misteri che hanno accompagnato il cammino dell'Uomo sin da quando ha potuto avere coscienza dei cambiamenti e le forze intellettive per riflettervi. La Morte è forse stato il fenomeno che per primo ha permesso, o costretto, ad un momento in cui le attività solite della vita, anche quelle necessarie alla sopravvivenza, si debbano arrestare, per rivolgere i pensieri, i gesti e i sentimenti verso un Oltre di cui nulla si sa, ma che allora come mai incombe sul Qui ed Ora, inghiottendolo e trionfandovi. Dalla considerazione della morte si è in qualche modo potuto e dovuto elaborare un primo perché a quanto ci accade, sforzandosi di immaginare cosa accada dopo a quella forza che sino a poco prima animava un corpo facendolo vivo, forte e attivo, e che dopo l'attimo fatale ha lasciato un cadavere freddo e inerte, per sempre. Ed è proprio quello l'evento decisivo che ha dovuto generare ogni sentire religioso, coi suoi riti, le sue formule e la sua mitologia, per poter dare una risposta all'ignoranza su quell'Oltre che, a ben vedere, dopo milioni di anni è rimasta più o meno la stessa, ad onta delle religioni sempre più diffuse ed elaborate comparse in epoca storica. Generazione dopo generazione, il pensiero umano è stato influenzato e persino intriso di quel sentire smarrito di fronte alla fine di tutto, e pur non avendo mai trovato la risposta definitiva, ha generato tesori di arte, pensiero e rito che combinandosi variamente hanno prodotto le civiltà, o anche La Civiltà.
Non sono il primo ad aver notato come, a partire da un momento che è difficile stabilire, ma che deve essere caduto fra il ridimensionamento del ruolo della Chiesa nella vita civile e il nascente predominio dell'economia e della tecnica, quest'interrogativo è stato gradualmente sminuito ed emarginato dagli spazi del vivere sociale, prima relegandolo alla sfera privata, per poi, negli ultimissimi tempi, escludendolo persino da questa. Un mio caro amico e parente, professore di filosofia in pensione, mi raccontava di come, se sino ai primi anni del suo insegnamento, attorno al 1980, introducendo l'argomento del rapporto del pensiero filosofico con la Morte, si poteva avvertire sorgere nell'uditorio un'interesse specifico, più tardi, con gli anni '90 e 2000, la reazione collettiva era una toccata di oggetti metallici per le ragazze e una tastata di testicoli per i maschi. Al di là dell'aspetto grottesco, da film di Pierino, il raccontino conferma come quello che è stato un pensiero centrale nella riflessione filosofica sull'esistenza umana, al punto che per Socrate tutta la filosofia è preparazione alla Morte, nella società odierna viene ormai esorcizzato come un qualcosa di iettatorio, un tabù da non nominare neppure. E non mi sembra un caso che questo accada nel momento in cui le vite vengono assorbite da aspetti economicisti, come il lavoro, la sua ricerca, e il consumo dissennato e fine a sé stesso.
Se a prima vista può sembrare che, semplicemente, si è riempito con qualcos'altro uno spazio rimasto vuoto, il risultato non è affatto quello immaginato. Non parliamo più della morte, e quando pure ne parliamo ci limitiamo all'aspetto più diretto, quello materiale dell'evento traumatico che ha fatto cessare qualcuno di respirare, limitandoci a qualche sospiro e deplorando il fatto come se fosse una disgraziata fatalità, e non il destino di ognuno. E questo non ha riempito un bel niente, così come l'edonismo onnipresente, la pratica sessuale orgiastica e compulsiva, la competizione per un successo cercato ovunque e comunque, non solo non ci hanno donato nulla di sostanziale in sostituzione di quella riflessione sul mistero della Morte, ma hanno defraudato altrettanti aspetti dell'esistenza del loro mistero, del loro fine e della loro utilità. Non mi dilungherò sul fatto che il consumismo ha tolto ogni valore al godimento dei frutti del proprio lavoro, la sfrenatezza sessuale ha annientato l'aspetto metafisico ed estatico della fusione di corpi ed anime, e la ricerca del successo fine a sé stesso ha spezzato i legami di solidarietà all'interno di ogni comunità. Ma è del tutto evidente come la loro pratica compulsiva e laicizzata non ci ha liberato né dal timore per la nostra morte fisica, né ci ha ripagato in qualche modo del rapporto con la Morte quale evento metafisico che permetteva a generazioni senza numero prima di noi di elaborare il lutto e guardare all'ignoto Dopo con qualche fiducia, in alcuni casi persino con attesa. E tutto questo senza svilire affatto il vivere l'oggi. Basterebbe leggere i pensieri di Marco Aurelio o le pagine di qualche dottore della Chiesa per rendersi conto che, ciascuna civiltà in differente misura, aveva trovato il modo di guardare al più terribile degli abissi con sguardo sereno e cuore fermo.
Oggi, invece, vedo sugli schermi le parate di gente isterica ed esagitata che, dopo una qualche fine abbastanza tragica da meritare l'attenzione morbosa delle telecamere, espone il volto del defunto su magliette, applaude il feretro come ad un numero di cabaret ben riuscito, e si sgola a dichiarare ai microfoni e con striscioni degni di una Curva Sud che il defunto sarà sempre (in saecula saeculorum?) vivo e con loro. E quando li vedo, mi dico che abbiamo perso davvero tanto, con la soppressione della religione, della fede e del loro spazio nelle vite sia pubbliche, nella società, che nel privato di ognuno. Abbiamo perso un rapporto dignitoso, discreto e intimo con uno dei principali misteri dell'esistenza, quello della fine, apparentemente inevitabile e irreversibile, quell'unica per la quale “non c'è rimedio”, e che costringe a riflettere, a mettersi di fronte a sé stessi, con le proprie mancanze e fragilità, e allo scorrere della sabbia nella clessidra che non ci lascia la possibilità di ricominciare daccapo in eterno. Un pensiero che è un tormento ma anche un'opportunità: quella di maturare, di non rimanere eterni bambini convinti che tutto ciò che si rompe poi si riaggiusta e che si viva in un eterno Luna Park senza mai conti da rendere a nessuno. Che è poi lo strano modello di esistenza che ci viene offerto dalla modernità, con vecchiette tanto rifatte da apparire grottesche caricature di gommapiuma, persa la dignità serena delle nostre nonne senza recuperare un'ombra di sex appeal dalle giovanissime a cui si ispirano, vacanzieri che hanno fatto più chilometri di Magellano senza ricordare bene neppure i nomi dei posti visitati (men che meno l'impressione lasciata), e carrieristi pronti a tagliare la gola del vicino di ufficio pur di “arrivare”, senza aver ben presente dove e a che pro, magari proprio ad un infarto. Per nulla dire del consumo abnorme di psicofarmaci dovuti all'incapacità di avere una relazione sana con una realtà fatta sempre delle stesse cose, da millenni, con anzi qualche non disprezzabile comodità in più per sopportarla meglio, e che sembra invece un peso sempre troppo gravoso per anime svuotate e quindi fragili come vetro. Fragilità di cui approfittano magari santoni saltati fuori dal nulla che rastrellano "fedeli" lasciandoli poi forse non alleggeriti nell'anima, ma sicuramente nei conti bancari.
Il discorso è molto articolato, né ho qui le risorse intellettuali o lo spazio per produrre uno studio dettagliato, ma posso certo dire di essere rimasto molto colpito da questa descrizione, proprio nel momento in cui, per ragioni personali, mi trovavo a riflettere sul progressivo dissolversi di ogni sensibilità per il sovrannaturale e l'ultraterreno nella società contemporanea europeo-occidentale, in maniera molto più accentuata di quanto lo stesso filosofo tedesco avesse potuto osservare al suo tempo.
Ho perso da poco tempo due amici, e la loro scomparsa mi ha rimesso di fronte ad uno dei massimi misteri che hanno accompagnato il cammino dell'Uomo sin da quando ha potuto avere coscienza dei cambiamenti e le forze intellettive per riflettervi. La Morte è forse stato il fenomeno che per primo ha permesso, o costretto, ad un momento in cui le attività solite della vita, anche quelle necessarie alla sopravvivenza, si debbano arrestare, per rivolgere i pensieri, i gesti e i sentimenti verso un Oltre di cui nulla si sa, ma che allora come mai incombe sul Qui ed Ora, inghiottendolo e trionfandovi. Dalla considerazione della morte si è in qualche modo potuto e dovuto elaborare un primo perché a quanto ci accade, sforzandosi di immaginare cosa accada dopo a quella forza che sino a poco prima animava un corpo facendolo vivo, forte e attivo, e che dopo l'attimo fatale ha lasciato un cadavere freddo e inerte, per sempre. Ed è proprio quello l'evento decisivo che ha dovuto generare ogni sentire religioso, coi suoi riti, le sue formule e la sua mitologia, per poter dare una risposta all'ignoranza su quell'Oltre che, a ben vedere, dopo milioni di anni è rimasta più o meno la stessa, ad onta delle religioni sempre più diffuse ed elaborate comparse in epoca storica. Generazione dopo generazione, il pensiero umano è stato influenzato e persino intriso di quel sentire smarrito di fronte alla fine di tutto, e pur non avendo mai trovato la risposta definitiva, ha generato tesori di arte, pensiero e rito che combinandosi variamente hanno prodotto le civiltà, o anche La Civiltà.
Non sono il primo ad aver notato come, a partire da un momento che è difficile stabilire, ma che deve essere caduto fra il ridimensionamento del ruolo della Chiesa nella vita civile e il nascente predominio dell'economia e della tecnica, quest'interrogativo è stato gradualmente sminuito ed emarginato dagli spazi del vivere sociale, prima relegandolo alla sfera privata, per poi, negli ultimissimi tempi, escludendolo persino da questa. Un mio caro amico e parente, professore di filosofia in pensione, mi raccontava di come, se sino ai primi anni del suo insegnamento, attorno al 1980, introducendo l'argomento del rapporto del pensiero filosofico con la Morte, si poteva avvertire sorgere nell'uditorio un'interesse specifico, più tardi, con gli anni '90 e 2000, la reazione collettiva era una toccata di oggetti metallici per le ragazze e una tastata di testicoli per i maschi. Al di là dell'aspetto grottesco, da film di Pierino, il raccontino conferma come quello che è stato un pensiero centrale nella riflessione filosofica sull'esistenza umana, al punto che per Socrate tutta la filosofia è preparazione alla Morte, nella società odierna viene ormai esorcizzato come un qualcosa di iettatorio, un tabù da non nominare neppure. E non mi sembra un caso che questo accada nel momento in cui le vite vengono assorbite da aspetti economicisti, come il lavoro, la sua ricerca, e il consumo dissennato e fine a sé stesso.
Se a prima vista può sembrare che, semplicemente, si è riempito con qualcos'altro uno spazio rimasto vuoto, il risultato non è affatto quello immaginato. Non parliamo più della morte, e quando pure ne parliamo ci limitiamo all'aspetto più diretto, quello materiale dell'evento traumatico che ha fatto cessare qualcuno di respirare, limitandoci a qualche sospiro e deplorando il fatto come se fosse una disgraziata fatalità, e non il destino di ognuno. E questo non ha riempito un bel niente, così come l'edonismo onnipresente, la pratica sessuale orgiastica e compulsiva, la competizione per un successo cercato ovunque e comunque, non solo non ci hanno donato nulla di sostanziale in sostituzione di quella riflessione sul mistero della Morte, ma hanno defraudato altrettanti aspetti dell'esistenza del loro mistero, del loro fine e della loro utilità. Non mi dilungherò sul fatto che il consumismo ha tolto ogni valore al godimento dei frutti del proprio lavoro, la sfrenatezza sessuale ha annientato l'aspetto metafisico ed estatico della fusione di corpi ed anime, e la ricerca del successo fine a sé stesso ha spezzato i legami di solidarietà all'interno di ogni comunità. Ma è del tutto evidente come la loro pratica compulsiva e laicizzata non ci ha liberato né dal timore per la nostra morte fisica, né ci ha ripagato in qualche modo del rapporto con la Morte quale evento metafisico che permetteva a generazioni senza numero prima di noi di elaborare il lutto e guardare all'ignoto Dopo con qualche fiducia, in alcuni casi persino con attesa. E tutto questo senza svilire affatto il vivere l'oggi. Basterebbe leggere i pensieri di Marco Aurelio o le pagine di qualche dottore della Chiesa per rendersi conto che, ciascuna civiltà in differente misura, aveva trovato il modo di guardare al più terribile degli abissi con sguardo sereno e cuore fermo.
Oggi, invece, vedo sugli schermi le parate di gente isterica ed esagitata che, dopo una qualche fine abbastanza tragica da meritare l'attenzione morbosa delle telecamere, espone il volto del defunto su magliette, applaude il feretro come ad un numero di cabaret ben riuscito, e si sgola a dichiarare ai microfoni e con striscioni degni di una Curva Sud che il defunto sarà sempre (in saecula saeculorum?) vivo e con loro. E quando li vedo, mi dico che abbiamo perso davvero tanto, con la soppressione della religione, della fede e del loro spazio nelle vite sia pubbliche, nella società, che nel privato di ognuno. Abbiamo perso un rapporto dignitoso, discreto e intimo con uno dei principali misteri dell'esistenza, quello della fine, apparentemente inevitabile e irreversibile, quell'unica per la quale “non c'è rimedio”, e che costringe a riflettere, a mettersi di fronte a sé stessi, con le proprie mancanze e fragilità, e allo scorrere della sabbia nella clessidra che non ci lascia la possibilità di ricominciare daccapo in eterno. Un pensiero che è un tormento ma anche un'opportunità: quella di maturare, di non rimanere eterni bambini convinti che tutto ciò che si rompe poi si riaggiusta e che si viva in un eterno Luna Park senza mai conti da rendere a nessuno. Che è poi lo strano modello di esistenza che ci viene offerto dalla modernità, con vecchiette tanto rifatte da apparire grottesche caricature di gommapiuma, persa la dignità serena delle nostre nonne senza recuperare un'ombra di sex appeal dalle giovanissime a cui si ispirano, vacanzieri che hanno fatto più chilometri di Magellano senza ricordare bene neppure i nomi dei posti visitati (men che meno l'impressione lasciata), e carrieristi pronti a tagliare la gola del vicino di ufficio pur di “arrivare”, senza aver ben presente dove e a che pro, magari proprio ad un infarto. Per nulla dire del consumo abnorme di psicofarmaci dovuti all'incapacità di avere una relazione sana con una realtà fatta sempre delle stesse cose, da millenni, con anzi qualche non disprezzabile comodità in più per sopportarla meglio, e che sembra invece un peso sempre troppo gravoso per anime svuotate e quindi fragili come vetro. Fragilità di cui approfittano magari santoni saltati fuori dal nulla che rastrellano "fedeli" lasciandoli poi forse non alleggeriti nell'anima, ma sicuramente nei conti bancari.
Un risultato paradossale, se si ricorda che il razionalismo e lo scientismo abbiano mirato alla distruzione del pensiero mistico e religioso come ad un modo per rendere l'uomo più forte e libero. E dire che in questo aveva già avuto molto più successo un culto che aveva posto la Resurrezione come suo momento culminante.