Viviamo in una società che genera esclusione. Gruppi sociali che, di per sé, neppure esisterebbero, vengono creati da dinamiche sistemiche e accomunati da emarginazione, difficoltà esistenziali e materiali, isolamento, malessere. Solo che non sono quelli propinati giornalmente dalla spazzatura giornalistica e accademica di regime.
Non si tratta né di migranti, né di donne (almeno intese come categoria a sé stante), né di omosessuali, anche perché, nonostante l'asfissiante propaganda che ce li descrive come perseguitati, sofferenti e costantemente a rischio, sono semmai fra le categorie più coccolate e legalmente privilegiate (nei fatti, quando non pure sulla carta) dei nostri giorni, in cui sta diventando una sciagura essere nato maschio, bianco ed etero. Mentre per le categorie sopra citate il problema attuale è quello di poter cambiare sesso a piacere all'anagrafe, scegliere in un catalogo di madri surrogate quella che possa sfornare il giocattolo (ops, il figlio), da esporre su Instagram, o reclamare maggiori quote rosa negli uffici pubblici e delle grandi aziende.
Di categorie emarginate, anche dalla discussione pubblica, ne ho individuate abbastanza facilmente subito tre. NEET, incel, padri separati. E scommetto che la definizione dei primi due gruppi sfugge alla maggior parte dei lettori, a dimostrazione del buon lavoro svolto dai presstituti di regime.
NEET sono i giovani che non sono occupati né nello studio, né in qualche formazione per il lavoro, né lavorano. Non fanno letteralmente niente, e vivono coi genitori, magari usufruendo del reddito di cittadinanza. Gli incel sono i giovani maschi tagliati fuori dal mercato sessuale, vergini ancora a 25 o 30 anni oppure ridotti a servirsi di prostitute, perché rifiutati sistematicamente da qualunque donna abbiano cercato di avvicinare. Mentre si capisce subito chi siano i padri separati, anche se il grande pubblico, pure in questo caso, non ha idea di cosa debbano affrontare i disgraziati che si vedano piombare un divorzio fra capo e collo.
Si tratta di gruppi sociali per niente esigui come si tenderebbe a pensare. Ve ne sono alcuni, come gli hikikomori, ossia i giovani che, già adolescenti, hanno rinunciato a vivere rinchiudendosi nella propria stanza, che sono numericamente stimabili a centomila, quindi non un problema di massa, anche se non ignorabile. Ma i NEET e gli incel, nonostante difficili da stimare tramite le statistiche ufficiali, sono tutt'altro che pochi, come scopre chiunque prenda a frequentare un qualsiasi blog o pagina social dedicata a loro. Quanto ai padri separati, è un fenomeno in crescita esponenziale esattamente come quello dei divorzi. Ma il problema di far parte di uno di questi gruppi, indipendentemente dalla loro consistenza numerica, è quello di essere invisibili. Perché della loro esistenza non importa praticamente nulla a nessuno. Peggio, quando si è costretti a farli entrare nel discorso pubblico, la tendenza è quella a stigmatizzarli tramite la colpevolizzazione.
Ho qualche esperienza diretta di ciascuno di essi. Ho rischiato di essere un padre separato, sono stato un incel e un hikikomori per anni. Anche un NEET, per non farmi mancare niente, ma in questo caso devo confessare che, per me, si è trattata della condizione più bella del mondo: vivere di rendita potendo dedicarsi alle proprie passioni senza dover rendere conto a nessuno è stato il periodo ideale della mia vita. Fra l'altro l'otium era privilegio delle classi alte e sia a Roma che nella Spagna del Siglo de Oro il lavoro era considerato degradante. D'altronde già la Bibbia, con infinita saggezza, lo aveva definito una maledizione divina (altro che nobilitare l'uomo...). Ma capisco al volo che non lo si può generalizzare alle ragioni che spostano, oggi in Italia, un giovane nella categoria NEET.
Questi gruppi realmente marginali, oggi, nel discorso pubblico non esistono, come dicevo. E ciò perché, sin dalla loro definizione, costringerebbero a guardare la realtà sociale in cui viviamo sotto ad una ben diversa luce da quella propinata dai liquami di regime.
Un ragazzo o una ragazza finisce per tirare i remi in barca, oggi, e diventare un NEET, per semplice sconforto. Vivendo in un sistema in cui, sia nel pubblico che nel privato, vanno avanti solo i soliti, e i figli e i parenti e le amanti degli stessi, ci si rende conti sin dall'università che è tutto inutile. Un buon lavoro è praticamente impossibile da ottenere. Negli uffici, per concorso, si entra solo se si hanno grosse spinte, e i concorsi pubblici surreali a cui ho assistito, dal livello piccolo comune di provincia a quello ministeriale, me lo hanno confermato. Mettere su un'attività indipendente è un suicidio: lo Stato ti salta addosso per spolparti prima ancora di aver aperto la serranda per la prima volta. A che pro sbattersi per acquisire nozioni che nessuno ti chiederà mai, o sforzarsi di studiare per concorsi che tanto non si passeranno, se persino su una rete privata una giornalista, palesemente incompetente a gestire lo spazio della finanza che le è stato affidato, viene non licenziata, ma passata a leggere altra tipologia di “notizie”? Sono avvantaggiati i parassiti e i leccapiedi, e il merito è l'ultima cosa ad essere presa in conto. Alla faccia del liberalismo tanto proclamato à tort et à travers da tutti sempre e ovunque.
Analizzare cosa sia un incel, invece, è ancora più spinoso. Perché include necessariamente il concetto di “Pillola Rossa” o Red Pill, ossia quel vasto insieme di statistiche, analisi e teorie che spiegano la marginalizzazione nel contesto della cosiddetta Rivoluzione Sessuale, quando per le giovani donne si ampliò a dismisura il numero di partner sessuali disponibili mentre lo stesso si restringeva automaticamente per tutti quei giovani uomini che non potessero sfoggiare adeguati livelli di bellezza, denaro o status. L'esplodere del fenomeno social ha estremizzato la cosa, dato che non c'è una cozza che, pubblicando una foto qualsiasi, non si veda sommersa da complimenti e inviti bavosi, rovinandosi psicologicamente e pretendendo nulla di meno che un Brad Pitt.
I padri separati sono invece quei disgraziati che, portati in tribunale dalla ex, si vedono togliere la casa, i figli e la gran parte della liquidità presente e futura sapendo in anticipo che, dalle forze dell'ordine alla magistratura (dove a giudicare del suo caso troverà con buona probabilità un giudice donna) tutti gli daranno torto ex ante, in quanto uomo, anche se dovesse ricevere accuse inverosimili di maltrattamenti e violenze indimostrabili. La miseria e ridursi a dormire in auto sono la conclusione logica della loro parabola, nell'indifferenza generale.
Non so chi abbia mai provato a portare la discussione, in un circolo qualsiasi di persone, su uno di questi tre gruppi. Le reazioni sono quasi sempre universalmente rabbiose e accusatorie. Perché con la loro sola esistenza questi gruppi realmente marginali mettono in stato d'accusa l'intero sistema sociale, obbligando a rimetterne in discussione i pilastri ideologici su cui si regge.
È chiaro che per indurre un NEET a partecipare alla vita produttiva e sociale del Paese bisognerebbe svuotare uffici e segreterie di inetti e parassiti dai cognomi altisonanti o dalle spalle ben coperte. Ma essendo costoro parte integrante della stessa classe dirigente vile e inetta che decide le regole del gioco, quante probabilità ci sono che ciò avvenga?
È chiaro che per affrontare la marginalizzazione degli incel bisognerebbe smembrare l'impianto ideologico femminista che, da oltre mezzo secolo, ha infettato qualsiasi approccio ai problemi della nostra società, sovvertendo la stessa concezione dei diritti e della morale pubblica. Ma tanto varrebbe pretendere di imbottigliare un buco nero.
Ed è infine chiaro che per approcciare con un minimo di equanimità e giustizia la condizione del padre separato, che già soffre emotivamente per l'allontanamento dai figli, bisognerebbe chiudere la porta in faccia all'inutile e soprattutto infondato vittimismo che vede sempre la donna parte lesa e debole, quando invece è, nei fatti, quella privilegiata e coccolata da tutte le istituzioni e dalla stessa narrazione ufficiale dei fatti. E questo ovviamente senza negare che casi di maltrattamenti reali vi siano: qui si parla dell'uso sistematico di quest'accusa fatta in sede legale.
Molto più facile reagire colpevolizzando il marginale per la sua stessa marginalità, ottenendo il doppio risultato dello scaricare il barile della responsabilità su di lui e alleggerire la propria mettendosi dalla parte di chi distribuisce consigli. Quindi il NEET dovrebbe lui per primo farsi coraggio e non cedere al pessimismo, come se l'evidenza sconfortante dei fatti fosse una questione di stato d'animo. Per gli incel è anche peggio: ogni volta che ho provato, fuori dai gruppi Red Pill, ad approcciare l'argomento, praticamente tutte le presenti donne (ma non solo) mi sono saltate addosso con un armamentario di reazioni violente, biliose, o semplicemente insultanti, per ridurre la figura dell'incel a “sfigato”. Il meno che ho raccolto è stata la ricetta del “migliorarsi” che avrebbe risolto la solitudine del celibe involontario. Non capendo (o non volendo capire) le volenterose dispensatrici di buoni consigli che non c'è nulla che un individuo possa fare per raggiungere gli standard estetici irreali della ragazza media italiana, o diventare Briatore come per magia.
Per quanto riguarda i padri separati mi limito a stendere un velo pietoso: qui come minimo si passa a venir accusati di sostenere il femminicidio e la violenza domestica, come se le cose avessero un legame necessario con tutte le separazioni, e come se persino chi giunge a gesti estremi non abbia avuto la sua parte di inferno per arrivare a finire in un fatto di cronaca nera (aspetto che ha trattato, in modo più che equilibrato, l'amico Franco Marino in uno dei suoi articoli precedenti).
Il punto è che tutti questi casi di marginalizzazione ed esclusione hanno in comune molto. Viviamo in una società che esalta il successo e il raggiungimento di status in sé e per sé, e che, blaterando di meriti, fa del successo comunque raggiunto la prova dell'esistenza del merito stesso. Falsamente liberale, ha inoculato le tossine dell'ideologia religiosa protestante nel discorso pubblico, facendo credere che chi non ce l'abbia fatta sia per ciò stesso colpevole, come se gli mancasse il favore di Dio per qualche colpa grave o tara ereditaria. Chi già soffre per il proprio isolamento si trova quindi a venir persino additato dal giudizio pubblico come un incapace, un fannullone, un prevaricatore. Aggiungendo al danno la beffa, dato che a subire prevaricazioni e sfavori sono proprio loro.
Non mi nascondo dietro ad un dito: la società occidentale è tanto incancrenita che cercare di risolvere alla radice queste disparità equivarrebbe ad invocare la Rivoluzione. Ma non quelle pagliacciate arcobaleno fatte di travestiti e gessetti. Quella del Terrore, fatta di teste che cadono giornalmente e violenza di classe. Di sicuro non saranno le sinistre a sostenerla, essendosi fatte portavoce delle classi privilegiate parassitarie. Ma arrivano sempre momenti storici in cui la pressione, lungamente accumulata, travolge gli argini e a quel punto tutto può succedere. Specie le cose spiacevoli, che la narrazione generale ha bandito dalla mente obnubliata del pubblico come “cose che non succedono più”. E che invece stanno succedendo anche oggi, vicino, fra di noi, come la guerra. A quel punto anche gruppi statisticamente poco visibili potrebbero confluire in movimenti più ampi di malcontento guidati da personalità rimaste sino ad allora nell'ombra, e il minimo che possa accadere è che si accaniscano su chi impersona la propria frustrazione facendolo a pezzi. È sempre successo, succederà ancora. Perché non esistono soluzioni indolori a problemi gravi. E quando questi sono così gravi da essere irrisolvibili, il collasso generale che ne risulta è ancora più brutale.
Non si tratta né di migranti, né di donne (almeno intese come categoria a sé stante), né di omosessuali, anche perché, nonostante l'asfissiante propaganda che ce li descrive come perseguitati, sofferenti e costantemente a rischio, sono semmai fra le categorie più coccolate e legalmente privilegiate (nei fatti, quando non pure sulla carta) dei nostri giorni, in cui sta diventando una sciagura essere nato maschio, bianco ed etero. Mentre per le categorie sopra citate il problema attuale è quello di poter cambiare sesso a piacere all'anagrafe, scegliere in un catalogo di madri surrogate quella che possa sfornare il giocattolo (ops, il figlio), da esporre su Instagram, o reclamare maggiori quote rosa negli uffici pubblici e delle grandi aziende.
Di categorie emarginate, anche dalla discussione pubblica, ne ho individuate abbastanza facilmente subito tre. NEET, incel, padri separati. E scommetto che la definizione dei primi due gruppi sfugge alla maggior parte dei lettori, a dimostrazione del buon lavoro svolto dai presstituti di regime.
NEET sono i giovani che non sono occupati né nello studio, né in qualche formazione per il lavoro, né lavorano. Non fanno letteralmente niente, e vivono coi genitori, magari usufruendo del reddito di cittadinanza. Gli incel sono i giovani maschi tagliati fuori dal mercato sessuale, vergini ancora a 25 o 30 anni oppure ridotti a servirsi di prostitute, perché rifiutati sistematicamente da qualunque donna abbiano cercato di avvicinare. Mentre si capisce subito chi siano i padri separati, anche se il grande pubblico, pure in questo caso, non ha idea di cosa debbano affrontare i disgraziati che si vedano piombare un divorzio fra capo e collo.
Si tratta di gruppi sociali per niente esigui come si tenderebbe a pensare. Ve ne sono alcuni, come gli hikikomori, ossia i giovani che, già adolescenti, hanno rinunciato a vivere rinchiudendosi nella propria stanza, che sono numericamente stimabili a centomila, quindi non un problema di massa, anche se non ignorabile. Ma i NEET e gli incel, nonostante difficili da stimare tramite le statistiche ufficiali, sono tutt'altro che pochi, come scopre chiunque prenda a frequentare un qualsiasi blog o pagina social dedicata a loro. Quanto ai padri separati, è un fenomeno in crescita esponenziale esattamente come quello dei divorzi. Ma il problema di far parte di uno di questi gruppi, indipendentemente dalla loro consistenza numerica, è quello di essere invisibili. Perché della loro esistenza non importa praticamente nulla a nessuno. Peggio, quando si è costretti a farli entrare nel discorso pubblico, la tendenza è quella a stigmatizzarli tramite la colpevolizzazione.
Ho qualche esperienza diretta di ciascuno di essi. Ho rischiato di essere un padre separato, sono stato un incel e un hikikomori per anni. Anche un NEET, per non farmi mancare niente, ma in questo caso devo confessare che, per me, si è trattata della condizione più bella del mondo: vivere di rendita potendo dedicarsi alle proprie passioni senza dover rendere conto a nessuno è stato il periodo ideale della mia vita. Fra l'altro l'otium era privilegio delle classi alte e sia a Roma che nella Spagna del Siglo de Oro il lavoro era considerato degradante. D'altronde già la Bibbia, con infinita saggezza, lo aveva definito una maledizione divina (altro che nobilitare l'uomo...). Ma capisco al volo che non lo si può generalizzare alle ragioni che spostano, oggi in Italia, un giovane nella categoria NEET.
Questi gruppi realmente marginali, oggi, nel discorso pubblico non esistono, come dicevo. E ciò perché, sin dalla loro definizione, costringerebbero a guardare la realtà sociale in cui viviamo sotto ad una ben diversa luce da quella propinata dai liquami di regime.
Un ragazzo o una ragazza finisce per tirare i remi in barca, oggi, e diventare un NEET, per semplice sconforto. Vivendo in un sistema in cui, sia nel pubblico che nel privato, vanno avanti solo i soliti, e i figli e i parenti e le amanti degli stessi, ci si rende conti sin dall'università che è tutto inutile. Un buon lavoro è praticamente impossibile da ottenere. Negli uffici, per concorso, si entra solo se si hanno grosse spinte, e i concorsi pubblici surreali a cui ho assistito, dal livello piccolo comune di provincia a quello ministeriale, me lo hanno confermato. Mettere su un'attività indipendente è un suicidio: lo Stato ti salta addosso per spolparti prima ancora di aver aperto la serranda per la prima volta. A che pro sbattersi per acquisire nozioni che nessuno ti chiederà mai, o sforzarsi di studiare per concorsi che tanto non si passeranno, se persino su una rete privata una giornalista, palesemente incompetente a gestire lo spazio della finanza che le è stato affidato, viene non licenziata, ma passata a leggere altra tipologia di “notizie”? Sono avvantaggiati i parassiti e i leccapiedi, e il merito è l'ultima cosa ad essere presa in conto. Alla faccia del liberalismo tanto proclamato à tort et à travers da tutti sempre e ovunque.
Analizzare cosa sia un incel, invece, è ancora più spinoso. Perché include necessariamente il concetto di “Pillola Rossa” o Red Pill, ossia quel vasto insieme di statistiche, analisi e teorie che spiegano la marginalizzazione nel contesto della cosiddetta Rivoluzione Sessuale, quando per le giovani donne si ampliò a dismisura il numero di partner sessuali disponibili mentre lo stesso si restringeva automaticamente per tutti quei giovani uomini che non potessero sfoggiare adeguati livelli di bellezza, denaro o status. L'esplodere del fenomeno social ha estremizzato la cosa, dato che non c'è una cozza che, pubblicando una foto qualsiasi, non si veda sommersa da complimenti e inviti bavosi, rovinandosi psicologicamente e pretendendo nulla di meno che un Brad Pitt.
I padri separati sono invece quei disgraziati che, portati in tribunale dalla ex, si vedono togliere la casa, i figli e la gran parte della liquidità presente e futura sapendo in anticipo che, dalle forze dell'ordine alla magistratura (dove a giudicare del suo caso troverà con buona probabilità un giudice donna) tutti gli daranno torto ex ante, in quanto uomo, anche se dovesse ricevere accuse inverosimili di maltrattamenti e violenze indimostrabili. La miseria e ridursi a dormire in auto sono la conclusione logica della loro parabola, nell'indifferenza generale.
Non so chi abbia mai provato a portare la discussione, in un circolo qualsiasi di persone, su uno di questi tre gruppi. Le reazioni sono quasi sempre universalmente rabbiose e accusatorie. Perché con la loro sola esistenza questi gruppi realmente marginali mettono in stato d'accusa l'intero sistema sociale, obbligando a rimetterne in discussione i pilastri ideologici su cui si regge.
È chiaro che per indurre un NEET a partecipare alla vita produttiva e sociale del Paese bisognerebbe svuotare uffici e segreterie di inetti e parassiti dai cognomi altisonanti o dalle spalle ben coperte. Ma essendo costoro parte integrante della stessa classe dirigente vile e inetta che decide le regole del gioco, quante probabilità ci sono che ciò avvenga?
È chiaro che per affrontare la marginalizzazione degli incel bisognerebbe smembrare l'impianto ideologico femminista che, da oltre mezzo secolo, ha infettato qualsiasi approccio ai problemi della nostra società, sovvertendo la stessa concezione dei diritti e della morale pubblica. Ma tanto varrebbe pretendere di imbottigliare un buco nero.
Ed è infine chiaro che per approcciare con un minimo di equanimità e giustizia la condizione del padre separato, che già soffre emotivamente per l'allontanamento dai figli, bisognerebbe chiudere la porta in faccia all'inutile e soprattutto infondato vittimismo che vede sempre la donna parte lesa e debole, quando invece è, nei fatti, quella privilegiata e coccolata da tutte le istituzioni e dalla stessa narrazione ufficiale dei fatti. E questo ovviamente senza negare che casi di maltrattamenti reali vi siano: qui si parla dell'uso sistematico di quest'accusa fatta in sede legale.
Molto più facile reagire colpevolizzando il marginale per la sua stessa marginalità, ottenendo il doppio risultato dello scaricare il barile della responsabilità su di lui e alleggerire la propria mettendosi dalla parte di chi distribuisce consigli. Quindi il NEET dovrebbe lui per primo farsi coraggio e non cedere al pessimismo, come se l'evidenza sconfortante dei fatti fosse una questione di stato d'animo. Per gli incel è anche peggio: ogni volta che ho provato, fuori dai gruppi Red Pill, ad approcciare l'argomento, praticamente tutte le presenti donne (ma non solo) mi sono saltate addosso con un armamentario di reazioni violente, biliose, o semplicemente insultanti, per ridurre la figura dell'incel a “sfigato”. Il meno che ho raccolto è stata la ricetta del “migliorarsi” che avrebbe risolto la solitudine del celibe involontario. Non capendo (o non volendo capire) le volenterose dispensatrici di buoni consigli che non c'è nulla che un individuo possa fare per raggiungere gli standard estetici irreali della ragazza media italiana, o diventare Briatore come per magia.
Per quanto riguarda i padri separati mi limito a stendere un velo pietoso: qui come minimo si passa a venir accusati di sostenere il femminicidio e la violenza domestica, come se le cose avessero un legame necessario con tutte le separazioni, e come se persino chi giunge a gesti estremi non abbia avuto la sua parte di inferno per arrivare a finire in un fatto di cronaca nera (aspetto che ha trattato, in modo più che equilibrato, l'amico Franco Marino in uno dei suoi articoli precedenti).
Il punto è che tutti questi casi di marginalizzazione ed esclusione hanno in comune molto. Viviamo in una società che esalta il successo e il raggiungimento di status in sé e per sé, e che, blaterando di meriti, fa del successo comunque raggiunto la prova dell'esistenza del merito stesso. Falsamente liberale, ha inoculato le tossine dell'ideologia religiosa protestante nel discorso pubblico, facendo credere che chi non ce l'abbia fatta sia per ciò stesso colpevole, come se gli mancasse il favore di Dio per qualche colpa grave o tara ereditaria. Chi già soffre per il proprio isolamento si trova quindi a venir persino additato dal giudizio pubblico come un incapace, un fannullone, un prevaricatore. Aggiungendo al danno la beffa, dato che a subire prevaricazioni e sfavori sono proprio loro.
Non mi nascondo dietro ad un dito: la società occidentale è tanto incancrenita che cercare di risolvere alla radice queste disparità equivarrebbe ad invocare la Rivoluzione. Ma non quelle pagliacciate arcobaleno fatte di travestiti e gessetti. Quella del Terrore, fatta di teste che cadono giornalmente e violenza di classe. Di sicuro non saranno le sinistre a sostenerla, essendosi fatte portavoce delle classi privilegiate parassitarie. Ma arrivano sempre momenti storici in cui la pressione, lungamente accumulata, travolge gli argini e a quel punto tutto può succedere. Specie le cose spiacevoli, che la narrazione generale ha bandito dalla mente obnubliata del pubblico come “cose che non succedono più”. E che invece stanno succedendo anche oggi, vicino, fra di noi, come la guerra. A quel punto anche gruppi statisticamente poco visibili potrebbero confluire in movimenti più ampi di malcontento guidati da personalità rimaste sino ad allora nell'ombra, e il minimo che possa accadere è che si accaniscano su chi impersona la propria frustrazione facendolo a pezzi. È sempre successo, succederà ancora. Perché non esistono soluzioni indolori a problemi gravi. E quando questi sono così gravi da essere irrisolvibili, il collasso generale che ne risulta è ancora più brutale.
Sarebbe bene che qualcuno aprisse gli occhi per vedere questa realtà, invece di delirare delle magnifiche sorti e progressive di un mondo multirazziale, transgender e femminazi con tanto di unicorni arcobaleno. Perché il risveglio potrebbe essere molto duro.