Per apprezzare pienamente il baratro in cui viviamo, basterebbe scorrere la lista dei ministri degli esteri italiani degli ultimi dieci/dodici anni, magari accompagnata da una breve biografia degli stessi. Ci si renderà conto immediatamente di una cosa: sono tutti massimamente incompetenti nella materia che dovrebbero padroneggiare, materia (fra le altre cose) di primaria importanza nella stessa esistenza di uno Stato come entità politicamente attiva. Dall'ex-maestro di sci (e che per quello, magari, avrà saputo due o tre parole di inglese) all'ex studentessa Erasmus a cui, a Strasburgo, il mai troppo rimpianto Buonanno disse platealmente “Lei non conta un ca..o”, mentre l'interessata ridacchiava col vicino come se la cosa non la interessasse. Abbiamo visto sfilare alla Farnesina vecchie signore col turbante esperte in aborti con pompa della bicicletta e tromboni nati e cresciuti nelle segreterie di partito, tutta gente ignara non solo di storia diplomatica, ma persino di geografia, sino all'apoteosi del pentastellato: uno che, in modo conclamato, non aveva avuto esperienza lavorativa di nulla fatta eccezione la vendita di bibite, messo lì a tenere i rapporti diplomatici di un Paese un tempo quarta potenza economica mondiale. E non è stato neppure un caso limitato all'Italia: recentemente il ministro degli esteri britannico andò a dire a Lavrov che non avrebbe mai riconosciuto la sovranità russa sulle regioni di Voronezh e Rostov, ignorando che non solo non si trovavano nel Donbass, ma che erano sotto Mosca forse da cinquecento anni. La stessa forse per questo fu tanta apprezzata da finire per fare il Primo Ministro. Considerando che è durata appena 44 giorni, direi che per una volta la Provvidenza ha agito tempestivamente.
Se poi estendessimo l'analisi dal dicastero agli esteri agli altri, il panorama sarebbe altrettanto sconcertante: pare che per occuparsi di Sanità, Economia, Lavori Pubblici o Interni non serva alcuno studio o specializzazione anche solo tangenzialmente attinente alla materia: perfette nullità, incompetenti conclamati e semplici tirapiedi di partito si alternano in quelli che sono gli snodi fondamentali nella vita di una nazione come se niente fosse.
Cosa significa questo? Una cosa semplicissima: che non fa niente. Non possiamo certo pensare che la gestione degli interessi, delle risorse e delle ricchezze di uno stato con sessanta milioni di abitanti, un settore manifatturiero e un patrimonio naturale e artistico fra i primissimi al mondo non interessi a nessuno. Semplicemente, quelle persone messe lì nei ministeri-chiave non devono prendere alcuna decisione rilevante, ma solo, da perfetti passacarte, eseguire ordini ed istruzioni che arrivano da tutt'altra parte. E dove sia quella “parte” è facile indovinare. Di sicuro non in Italia.
Credo che tutti sappiano quale sia il concetto di “governo-fantoccio”. Dalla Treccani: governo f., governo nominale, che è in realtà uno strumento nelle mani di altri (e soprattutto nelle mani di un paese occupante). Bene, io mi convinsi che l'Italia è uno Stato-fantoccio nell'estate del 2010. era un periodo in cui nutrivo l'insana ambizione di entrare nel corpo diplomatico. Studiavo con passione (d'altronde lo studio della Storia è sempre stata una delle mie ragioni di vita) ma non potevo trascurare una delle leve fondamentali per accedere a qualsiasi posto di lavoro pubblico (e spesso anche privato, a dirla tutta) in Italia: le conoscenze. Arrivai per vie traverse sino ad essere ricevuto a casa di un ambasciatore, e lì, fra le varie, interessanti chiacchiere sul suo passato, il discorso cadde su Fini, che in quel momento faceva una fronda sempre più sfacciata a Berlusconi. “Niente mi toglie dalla testa che dietro a quello ci sia la CIA”, fu il commento che sentii. Fu come se fosse crollato il castello di carte che ritenevo essere il Mondo. Sapere, dalle labbra di persona ben addentro ai misteri dei palazzi del potere, che il nostro principale alleato brigava per abbattere il nostro governo eletto fu una mazzata. Per un bel pezzo temetti di parlare della cosa con chicchessia, e ne feci parte ai familiari stretti facendo bene attenzione che cellulari e altri dispositivi atti alla registrazione fossero distanti. Paranoia, forse, ma anni dopo furono ex-capi di Stato e di governo, fra cui l'insospettabile Zapatero, a confermare punto per punto la versione. Io capii allora, e lo compresi ancora meglio quando a Berlusconi successe Monti, che l'Italia era uno Stato-fantoccio i cui fili venivano tirato oltre confine, da centri di potere i cui piani erano quelli di avere, a Roma, dei governi-Quisling che eseguissero fedelmente il compito di dirottare le nostre risorse, la nostra ricchezza e il residuo peso internazionale a favore di interessi stranieri. Al limite, di spogliarci di tutto a favore d'altri. E tutto andò sempre in linea con questo quadro, come i pezzi di un puzzle. A Monti successe Letta, a Letta Renzi, a Renzi Gentiloni. Il primo dichiarava candidamente che suo compito era “distruggere la domanda interna”, il secondo riceve persino la Legion d'Honneur come uno scolaro che abbia fatto bene i compiti, il terzo arriva a tentare di vendere parti del territorio nazionale alla Francia, l'ultimo, quintessenza della nullità, esprime la “necessità di cedere sovranità nazionale”, non si sa per quale motivo (salvo quelli inconfessabili). Sino al penultimo, un banchiere legato a doppio filo a quella finanza internazionale che decide, tramite speculazioni e debito, chi e quanto a lungo strangolare e come politica estera sintetizza candidamente il nostro “allineamento” alle posizioni altrui. Non specifica se con o senza le mutande addosso, ma il concetto è chiaro.
Oggi, dopo l'apoteosi dello Zero, quel Di Maio che durante la finta mediazione internazionale prima dell'intervento russo in Ucraina andò a Mosca buon ultimo e si fece persino trattare da parassita mangiapane a tradimento da Lavrov senza neppure fiatare in risposta, si è arrivati al capolavoro: farlo seguire da un altro ancora più inconsistente. La larva (politicamente parlando) Tajani, uno che, da fedele di Berlusconi, ha dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio di sapersi piegare a chiunque e per qualunque uso, yes-man di provata fedeltà alle più indecenti ingerenze straniere da parte europea, vuoto su tutto e perciò perfetto per assicurare pronta acquiescenza agli “amici” (leggi: padroni) d'oltreatlantico, perinde ac cadaver (ovviamente i cadaveri saremmo noi). Se non altro, la classe politica italiana dimostra di saper ancora stupire, se pure in peggio.
Se poi estendessimo l'analisi dal dicastero agli esteri agli altri, il panorama sarebbe altrettanto sconcertante: pare che per occuparsi di Sanità, Economia, Lavori Pubblici o Interni non serva alcuno studio o specializzazione anche solo tangenzialmente attinente alla materia: perfette nullità, incompetenti conclamati e semplici tirapiedi di partito si alternano in quelli che sono gli snodi fondamentali nella vita di una nazione come se niente fosse.
Cosa significa questo? Una cosa semplicissima: che non fa niente. Non possiamo certo pensare che la gestione degli interessi, delle risorse e delle ricchezze di uno stato con sessanta milioni di abitanti, un settore manifatturiero e un patrimonio naturale e artistico fra i primissimi al mondo non interessi a nessuno. Semplicemente, quelle persone messe lì nei ministeri-chiave non devono prendere alcuna decisione rilevante, ma solo, da perfetti passacarte, eseguire ordini ed istruzioni che arrivano da tutt'altra parte. E dove sia quella “parte” è facile indovinare. Di sicuro non in Italia.
Credo che tutti sappiano quale sia il concetto di “governo-fantoccio”. Dalla Treccani: governo f., governo nominale, che è in realtà uno strumento nelle mani di altri (e soprattutto nelle mani di un paese occupante). Bene, io mi convinsi che l'Italia è uno Stato-fantoccio nell'estate del 2010. era un periodo in cui nutrivo l'insana ambizione di entrare nel corpo diplomatico. Studiavo con passione (d'altronde lo studio della Storia è sempre stata una delle mie ragioni di vita) ma non potevo trascurare una delle leve fondamentali per accedere a qualsiasi posto di lavoro pubblico (e spesso anche privato, a dirla tutta) in Italia: le conoscenze. Arrivai per vie traverse sino ad essere ricevuto a casa di un ambasciatore, e lì, fra le varie, interessanti chiacchiere sul suo passato, il discorso cadde su Fini, che in quel momento faceva una fronda sempre più sfacciata a Berlusconi. “Niente mi toglie dalla testa che dietro a quello ci sia la CIA”, fu il commento che sentii. Fu come se fosse crollato il castello di carte che ritenevo essere il Mondo. Sapere, dalle labbra di persona ben addentro ai misteri dei palazzi del potere, che il nostro principale alleato brigava per abbattere il nostro governo eletto fu una mazzata. Per un bel pezzo temetti di parlare della cosa con chicchessia, e ne feci parte ai familiari stretti facendo bene attenzione che cellulari e altri dispositivi atti alla registrazione fossero distanti. Paranoia, forse, ma anni dopo furono ex-capi di Stato e di governo, fra cui l'insospettabile Zapatero, a confermare punto per punto la versione. Io capii allora, e lo compresi ancora meglio quando a Berlusconi successe Monti, che l'Italia era uno Stato-fantoccio i cui fili venivano tirato oltre confine, da centri di potere i cui piani erano quelli di avere, a Roma, dei governi-Quisling che eseguissero fedelmente il compito di dirottare le nostre risorse, la nostra ricchezza e il residuo peso internazionale a favore di interessi stranieri. Al limite, di spogliarci di tutto a favore d'altri. E tutto andò sempre in linea con questo quadro, come i pezzi di un puzzle. A Monti successe Letta, a Letta Renzi, a Renzi Gentiloni. Il primo dichiarava candidamente che suo compito era “distruggere la domanda interna”, il secondo riceve persino la Legion d'Honneur come uno scolaro che abbia fatto bene i compiti, il terzo arriva a tentare di vendere parti del territorio nazionale alla Francia, l'ultimo, quintessenza della nullità, esprime la “necessità di cedere sovranità nazionale”, non si sa per quale motivo (salvo quelli inconfessabili). Sino al penultimo, un banchiere legato a doppio filo a quella finanza internazionale che decide, tramite speculazioni e debito, chi e quanto a lungo strangolare e come politica estera sintetizza candidamente il nostro “allineamento” alle posizioni altrui. Non specifica se con o senza le mutande addosso, ma il concetto è chiaro.
Oggi, dopo l'apoteosi dello Zero, quel Di Maio che durante la finta mediazione internazionale prima dell'intervento russo in Ucraina andò a Mosca buon ultimo e si fece persino trattare da parassita mangiapane a tradimento da Lavrov senza neppure fiatare in risposta, si è arrivati al capolavoro: farlo seguire da un altro ancora più inconsistente. La larva (politicamente parlando) Tajani, uno che, da fedele di Berlusconi, ha dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio di sapersi piegare a chiunque e per qualunque uso, yes-man di provata fedeltà alle più indecenti ingerenze straniere da parte europea, vuoto su tutto e perciò perfetto per assicurare pronta acquiescenza agli “amici” (leggi: padroni) d'oltreatlantico, perinde ac cadaver (ovviamente i cadaveri saremmo noi). Se non altro, la classe politica italiana dimostra di saper ancora stupire, se pure in peggio.
Ecco, un tempo gli ambasciatori si fregiavano del titolo di “Eccellenza”, come i politici di “Onorevole”. Nei giorni in cui si dibatte comicamente sul merito e sui meritevoli, viene da sorridere amaramente su quanto sia totale l'assenza di eccellenza, di onore e di merito proprio fra coloro che questi titoli li hanno usurpati nel più totale sprezzo del pudore.