Siccome mia moglie è nata nell'ex-URSS ed ha sangue slavo nelle vene, conserva ancora tanto di quel buonsenso che le permette di emettere giudizi istantanei, per me fulminanti, su molti aspetti della nostra società. Così, apprendendo che il primo ministro inglese è un indiano etnico, ha commentato:

“Voi avete ormai provato di tutto, così tanto che non vi basta più niente, e dovete andare sempre oltre, oltre. Come per la droga...”.

Ci ho riflettuto, e l'analisi è singolarmente acuta. Abbiamo avuto da decenni capi di Stato e di governo donne, tanto che la cosa è ormai normalizzata, quindi si saluta con favore l'arrivo degli afroamericani e indiani. Poi ci sarà bisogno di omosessuali, trans, e chissà che altro. Una società che vive di eccessi, non ultimi quelli dei cosiddetti diritti civili e dell'integrazione, fa prima o poi assuefazione ad ogni situazione inedita, e per vivere una qualche sensazione deve andare oltre, come il tossicomane che deve assumere droghe sempre più pesanti e in dosi maggiori per ricavarne una qualche soddisfazione, sino a che non sarà un freddo cadavere. A quel punto sarà finita, credo.

Questa chiave di lettura mette in luce una tendenza alla superficialità che è tutt'altro che peregrina nel dibattito pubblico del sedicente Mondo Libero. Ormai i problemi sostanziali, come l'impoverimento, la deindustrializzazione, la sovranità monetaria e la denatalità sono derubricati e mai più affrontati direttamente,
vuoi perché delegati ad enti sovranazionali, come l'Unione Europea, che li concepisce in funzione di interessi che non sono mai quelli delle singole nazioni, vuoi perché si è rinunciato da tempo alla loro soluzione in quanto le élite nazionali hanno venduto l'anima a Mammona e trovano più lucroso puntare sulla rovina dello Stato nella speranza di riuscire ad abbandonare la nave in tempo. Il dibattito pubblico è dominato da tematiche che difficilmente sono il pane quotidiano di una famiglia-tipo italiana, come il riscaldamento climatico, i bagni transgender, le quote rosa, le battaglie sulle desinenze femminili o neutre e la sempreverde lotta al fascismo che non c'è. Il paragone con il tossicomane ha più di un'utilità di lettura di una società drogata che vive in maniera allucinata il proprio tracollo occupandosi, surrealmente, di tutto ciò che è marginale e senza mai vedere l'elefante che sta al centro della stanza.

Così è per l'ascesa a Downing Street del primo Premier britannico etnicamente indiano. Si è discettato per giorni e giorni sulle sue origini senza focalizzarsi neppure per un attimo sulle vere radici e sulle loro implicazioni a livello politico, nazionale e internazionale, di costui. Come quando, in pittura, si diffuse il cosiddetto Orientalismo: dipinti su dipinti diffusero fra il pubblico europeo un'immagine romanticizzata, edulcorata, fiabesca e del tutto irreale della società e del panorama umano e urbano del Vicino Oriente o del Nordafrica. Nel frattempo le stesse lande venivano ben diversamente spartite e sfruttate dai governi dei paesi occidentali nell'ultima ondata imperialistica fra Otto e Novecento. Quando poi qualche viaggiatore europeo o nordamericano aveva l'occasione di immergersi nei suk di Damasco o del Cairo, ne riportava un'immagine di sporco, cenciosità e insolenza (quando non delinquenza pura e semplice) ben diversa dalle tele piene di tappeti, ori, cammelli e odalische su cui si erano formati. Di Rishi Sunak si è detto molto e di tutto, si è discussa ed eviscerata la sua ascendenza e le sue origini, ma mai mezza parola si è azzardata su ciò che davvero la sua presenza a Downing Street potrebbe significare. Intanto il suo essere un uomo della finanza (l'ennesimo...) sposato alla figlia di un miliardario potrebbe avere un peso molto determinante sulle politiche fiscali ed economiche interne che lo porterebbero molto più vicino agli interessi delle conglomerate della City che ai negozianti sikh intervistati per giorni. Ma in secondo luogo, i suoi legami con l'India, se dovessero rivelarsi più che di vaga nostalgia (e un operatore della City non è, in genere, una creatura soggetta a nostalgia delle origini), meriterebbero ben altra considerazione.

Perché l'India è la “I” dei cosiddetti BRICS, ossia di quel gruppo di nazioni emergenti che, dopo quella economica, stanno creando un'area politica sempre più indipendente, quando non direttamente ostile, verso l'ormai lisa e inefficace velleità di governance globale degli ex-grandi del G7 e dell'Alleanza Atlantica. La guerra in Ucraina dovrebbe aver insegnato qualcosa anche ai più ottusi, e anche se l'ONU continua a dimostrarsi il più celebre e costoso degli enti inutili mondiali, pure le sue patetiche risoluzioni di condanna sono servite di avviso su quale fronte si stia coagulando attorno ad interessi trasversali che tutto sono fuorché europeo-occidentali. Brasile, India, Cina, insieme alla maggior parte delle nazioni africane, sudamericane e asiatiche, hanno regolarmente rifiutato di partecipare alla guerra economica contro alla Russia, fregandosene bellamente della retorica occidentale sull'inviolabilità delle frontiere e della sovranità nazionale (che gli USA e il loro braccio armato, la NATO, hanno trattato ben diversamente quando hanno avuto bisogno di radere al suolo un obbiettivo, vedi Serbia, Libia o Iraq). Il dubbio che è lecito porsi, è se, nel caso sempre meno peregrino di una situazione di contrasto o crisi aperta con l'India, un premier con legami personali e familiari con quest'ultimo Paese sia la persona adatta a difendere gli interessi nazionali britannici.

E questo mi porta al punto generale della riflessione. Il filosofo Oswald Spengler pubblicò, nel 1933, un libro, tradotto l'anno successivo in italiano come “Anni decisivi” e riportante un'introduzione dell'accademico Beonio Brocchieri che fu attribuita da molti allo stesso Mussolini. Il modello è quello del pamphlet, il tono incendiario e le conclusioni sconfortanti, ma le idee di fondo sono le stesse già formulate, in modo più metafisico, nel “Tramonto dell'Occidente”. Una in particolare mi colpì già in prima lettura, quella della guerra mondiale delle razze non-bianche contro quella bianca. Nel capitolo “La rivoluzione mondiale di colore” è descritto un assalto concentrico dei popoli della terra estranei alla civiltà occidentale, e che l'avevano sinora subita, verso il suo stesso centro, con l'intenzione di scalzare i padroni sin dalle loro case e senza esclusione di colpi. Il metodo avrebbe comportato l'uso delle stesse istituzioni e delle strutture del centro contro di esso. I popoli coloniali, infiltratisi nella politica, nell'economia e nelle società dei padroni, avrebbero usato le loro stesse armi a proprio vantaggio, senza che questo ne comportasse l'asservimento o l'indebolimento spirituale che avevano infettato invece i popoli dominatori. Rivolta degli schiavi secondo il più classico concetto nietzscheano, insomma, che quando incontrai per la prima volta, ormai oltre vent'anni fa, mi sembrò un'esagerazione smentita dai fatti. Ero talmente intossicato di progressismo che neppure vedevo i segni della catastrofica realizzazione attorno a me. Oggi è l'ennesima profezia sin troppo avverantesi negata solo dalle quinte colonne di quella rivoluzione a cui stiamo soccombendo senza speranza, e di cui Rishi Sunak è solo uno dei segni, anche se particolarmente evidente.

Certo, si potrebbe obbiettare che un uomo non stravolge da solo la Storia. Ma se il marxismo ci ha insegnato qualcosa di vero, foss'anche una sola cosa (magari mutuata dall'idealismo hegeliano), è che gli sviluppi storici che viviamo sono caratterizzati da movimenti generali, di magnitudo colossale messi in moto da forze inarrestabili a cui le azioni individuali possono solo concorrere e meno che mai opporvisi, definite come tendenze storiche, che hanno lentamente ma inesorabilmente portato, volta per volta, al tramonto di determinati modelli di società e alla loro sostituzione con altri. Così, che Rishi Sunak sia un segreto agente dell'India o un membro di quella borghesia finanziaria apolide che segue solo il denaro e la carriera, poco importerà, se alla fine avrà contributo a spostare ancora la società britannica verso la sparizione come soggetto nazionale e la sua dissoluzione nel modello multirazziale, centrato sulla finanza speculativa e senza più alcuna sostanza identitaria.

Cosa di cui non dubito.

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Friedrich von Tannenberg
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